La Trattoria Visconti è l’archetipo della trattoria. L’idea platonica della buona tavola di famiglia, in puro stile italico.
Ambiente rustico ma assai curato, con tavoli vestiti da candide tovaglie e pizzi gozzaniani alle finestre.
Servizio empatico e caloroso, sempre pronto a cogliere i desideri degli ospiti. Bella cantina, ricca di etichette note e meno note proposte a prezzi corretti.
E, su tutto, una magistrale cucina d’impianto tradizionale: preparata con ingredienti di qualità, generosa nei sapori (e pure nelle porzioni, il che non guasta), fine nelle presentazioni.
Una descrizione che è utopia?
No, perché un tale locale esiste. Così – al netto della triste considerazione che queste situazioni si dimostrano merce sempre più rara da scovare – è sufficiente mettersi in auto e raggiungere Ambivere, pittoresco paese della collina bergamasca, giusto allo sbocco della Valle San Martino, nei secoli passati confine fra la Serenissima e i domini sforzeschi.
Nelle vie del piccolo centro, fra muri di pietra ben tenuti, si incontra un grande cancello che introduce a un ordinatissimo giardino e a una bella e antica dimora che, attraente già dall’esterno, promana amorevole cura e sobrio decoro: la Trattoria Visconti.
Dal 1932 è la dimora della famiglia Visconti, da quando Leone e sua moglie Adelina la acquistarono con i terreni annessi, con «il diritto a subingredire nella licenza di trattoria, per il prezzo di lire trentottomila» (come da trascrizione del Regio ufficio delle ipoteche di Bergamo, in data 25 aprile 1932, X° anno dell’era fascista).
È una coppia affiatata la loro: lui si occupa di accogliere gli avventori, della cantina, della coltivazione dei vigneti e dei terreni circostanti, lei cucina gli animali da cortile allevati intorno alla casa. Sono due grandi lavoratori e il successo presto gli arride: la trattoria è sempre al completo, e nei giorni di festa le famiglie del paese sono solite ritrovarsi ai loro tavoli.
Dei cinque figli è Alfredo, nel 1969, a raccogliere il testimone. Insieme alla moglie Ida (autrice della ricetta dei casoncelli che ancora oggi viene eseguita in cucina) porta la fama della trattoria al di fuori del circondario: gli ospiti iniziano a giungere non solo da Bergamo ma pure dalla pianura. Nel 1992 la giovane Maria Fiorella, assieme al marito Giorgio Caccia, subentra al padre: nata e cresciuta fra sala e cucina decide di rinnovare completamente gli ambienti, senza però rinunciare in nulla alla genuina atmosfera familiare che sin dall’inizio ha caratterizzato questa insegna.
Da qualche anno una nuova generazione – la quarta – si è ormai affiancata alla precedente: i due figli – il bravo Roberto in cucina e l’appassionato Daniele in sala – stanno imprimendo alla Trattoria Visconti un ulteriore cambio di passo, sempre però senza tradire la lunga tradizione di famiglia.
In un tal contesto, ove imperano lasciti e tramandamenti, ovvio è che ai fornelli si sia rimasti fedeli a ricette e usanze ormai collaudatamente centenarie. E si sia rimasti fedeli, soprattutto, a quel tratto schietto che contraddistingue la gastronomia bergamasca, divisa fra pianura e montagna, fra laghi e colline.
Già Leone e Adelina, un po’ per necessità, un po’ per scelta, proponevano piatti preparati con materie prime reperite nel circondario, e con quegli ortaggi che coltivavano nell’appezzamento dietro casa. Proprio perché fedeli non vuol dire immobili, i giovani Roberto e Daniele, sono partiti da questa cucina a km zero ante litteram per riflettere e reinterpretare alla loro maniera i piatti di nonni e bisavoli.
Così, dichiarano con orgoglio. «In ogni nostro piatto è la verdura l’ingrediente principe», nel senso che, coltivata (secondo principi biologici) in quell’orto ‘antico’ creato da Leone, meglio mostra il legame indissolubile del passato col futuro, nell’eterno procedere delle stagioni che detta semine e raccolti, in un ininterrotto susseguirsi di patate, pomodori, melanzane, zucchine, cavoli, verze, insalate, coste, erbette, porri, peperoni, zucche, fagiolini, piselli, fagioli, cipolle, scalogni… Eppoi, immancabile, il mais, coltivato nella varietà autoctona denominata Rostrato rosso dell’Isola, da cui si ricava la farina per polenta e dolci.
IN CARTA
Nei piatti – proposti in una carta che cambia all’incirca tredici volte l’anno – traspare tutta questa amorevole attenzione per la tradizione, ogni giorno resa viva e contemporanea: secondo un’ idea di pacata evoluzione piuttosto che di dissennata innovazione.
Non sono solo la leggerezza nelle preparazioni o la loro elegante presentazione a colpire: lo è più che altro l’attenta costruzione della pietanza, nel suo gioco di mutazioni e accostamenti.
La golosa variazione di carciofi, per esempio, concentra i profumi e i sapori di questa pianta asteracea in tre momenti, differenti per gusti e consistenze: crudo in insalata con scaglie di Formai de Mut (formaggio vaccino dell’alta Val Brembana), ripieno e in flan.
Mentre i ravioli ripieni di pesce di lago con bottarga, missoltini e pomodorini essiccati mostrano, con le loro tendenze dolci e le loro punte sapide, come si possa maneggiare con sapienza una materia ‘difficile’ come carpe, tinche e persici reali. Fra le carni, notevoli sono invece la morbidissima guancetta di manzo brasata, scevra da ogni eccesso di unto, e il coniglio «alla bergamasca 2.0»: cotto nel vino rosso ma con il suo lombo sagacemente scottato alla griglia.
Lo studio della gastronomia locale prende forma anche nella reinterpretazione di piatti storici, come l’insalata di pollo nostrano biologico con arancia candita, uvetta e pinoli, secondo una ricetta seicentesca di «Cocho bergamasco» (un cuciniere del quale la Storia non ha conservato il nome, autore di un ricettario manoscritto). O come nei già citati casoncelli «della nonna Ida» – una ricetta di famiglia che è ormai diventata la ricetta per antonomasia del casoncello – il cui ripieno, una magica sinfonia di pane grattugiato, Grana, macinato di salame, carne bovina arrostita, amaretti, uva sultanina e spezie, «non deve essere troppo dolce» e la cui sfoglia deve essere assai sottile.
LA CANTINA
Ma un altro vanto della Trattoria Visconti è la cantina, che Daniele cura con passione. La selezione è imponente e spazia dalle colline lombarde alle più celebri AOC francesi e ai soavi Riesling tedeschi, dividendosi con attenzione fra piccole realtà che lavorano in regime biologico e celebri maison note per le loro etichette di pregio. Daniele, però, si è spinto oltre costruendo, in spazi appena rinnovati, una parete di vere e proprie ‘cassette di sicurezza’ per vino, con tanto di chiavi personalizzate.
L’idea, proposta in pochissimi casi in Italia da un ristorante, prevede la possibilità di stoccare a temperatura e umidità controllata dodici o diciotto bottiglie, dietro pagamento di una modica fee annuale il cui valore è totalmente spendibile – durante l’anno solare – ai tavoli della trattoria.