È giovane, ma già esperto, Giuseppe Lisciotto, che da quando ha preso in mano le redini della cucina del ristorante Les petites Madeleines del Tourin Palace Hotel di Torino è cresciuto costantemente, lavorando seriamente con passione, sperimentando, confrontandosi e, perché no, qualche volta osando. A conferma, se mai ce ne fosse bisogno, che credere e investire nei giovani talenti sia stata un’ottima scelta da parte del gruppo gestionale del ristorante e in particolare del suo direttore Piero Marzot.
Percorriamo prima la Via Po e poi la Via Roma. Alla sinistra l’affollata stazione ferroviaria di Porta Nuova,poi l’attraversamento del grande corso e, dopo pochi passi, l’ingresso dell’hotel. C’è aria di una nuova stagione nei raggi del sole e nei piatti della carta del ristorante.
Questi ultimi due anni sono stati segnati da oggettive difficoltà per chi lavora nel mondo della ristorazione e dell’ospitalità. Mesi e mesi che hanno però, quasi per assurdo, un merito: avere regalato tempo!
E questo, per chi ha saputo approfittarne, è stato il momento buono per approfondire le proprie competenze, ma anche per riflettere sull’approccio nell’elaborazione di un piatto e su come proporlo alla clientela. È il caso di Giuseppe Lisciotto che, tra uno stop e l’altro, ha colto la palla al balzo per vivere nuove esperienze operative.
Una riflessione di concetto che ha consentito di strutturare la nuova carta de Les Petites Madeleines con una identità netta per ogni proposta, ogni piatto, con un’attenzione profonda all’uso degli ingredienti e dei loro abbinamenti. Un osare diverso, con meno sperimentazione e più attenzione alla sensibilità gustativa. Sapori scanditi, puliti e un’alta riconoscibilità degli ingredienti, il tutto contraddistinto dalla semplicità. Chiare e decise le linee guida praticate, non solo nel definire i piatti del menù, ma anche il loro impiattamento, in cui l’eleganza e il buon gusto sono ben presenti.
Il contenuto regala sorprendenti armonie, mentre la forma appaga la vista. Sapori evocativi della migliore cultura gastronomica regionale italiana, capaci di contaminarsi senza prevaricarsi, a partire dal risotto con crema di topinambour, ’nduja, aglio nero e liquirizia, un piatto eccellente in cui le origini calabresi dello chef abbracciano ingredienti di altre terre, creando un mosaico di piacevolezze.
La gentilezza del personale di sala è rassicurante, gli abbinamenti enologici del sommelier molto convincenti e tutto il resto del mondo resta alle spalle per tutto il pranzo.
Capesante, vellutata al Vermouth e puntarelle; petto di quaglia e carote alla brace: duegli antipasti consigliabili. Per i primi anche degli gnocchi di barbabietola, fonduta di “Blu del Monviso” e spugnole (morchelle). Per i secondi, astice, fagioli bianchi in casseruola e bietole e ancora petto d’anatra, cardo gobbo e arancia. Per il dolce nessun dubbio sulla piacevolezza della vaniglia con nocciola, mela Red Moon, cannella e karkadè.
Carta molto ampia con proposte gourmet per veri intenditori con l’obiettivo di sviluppare l’offerta culinaria facendo della semplicità il vero tratto distintivo di ogni piatto, lasciando la parola alla qualità degli ingredienti e alla forza dell loro abbinamento.
Dietro ogni ricetta uno studio attento ed approfondito di ogni componente per cercare di valorizzarli al meglio.