La Campigna è una piccola località di Santa Sofia, un comune italiano della provincia di Forlì-Cesena nell’appennino forlivese, da cui dista circa 24 km.
Attorniata dalle cime del Monte Falco (1657 m), Monte Falterona (1654 m) e Monte Gabrendo (1540 m), Campigna è il paesino più piccolo e alto della Valle del Bidente e si trova molto vicino al confine toscano.
Le prime notizie certe sulla zona si hanno intorno al 1561 quando cominciano a insediarsi pastori e boscaioli, nulla di più.
In queste spettacolari foreste, che per lungo tempo sono appartenute al Granducato di Toscana, convivono principalmente faggi, abeti bianchi e tantissimi animali selvatici da piuma e da penna.
Vivere la montagna non è mai stato facile ieri come oggi, e per chi non riusciva ad affrontare un duro destino, l’unica scelta era scendere a valle a cercare occupazione.
La prima sedia a dondolo è stata realizzata in Nord America nei primi anni del 1700. A quel tempo, c’erano già culle a dondolo per far dormire i bambini. Si pensa che Benjamin Franklin – scienziato, politico e tra i fondatori degli Stati Uniti – possa esserne addirittura l’inventore.
Vi chiederete cosa c’entra una piccola località dell’Appennino Tosco-Romagnolo con una sedia a dondolo e magari anche con un grande camino, uno di quelli di una volta, un vecchio focolare delle grandi case coloniche della metà dello scorso secolo.
Ecco, tutti e tre gli elementi per chi conosce la Campigna, portano ad un indizio: il Poderone, una grande casa di montagna costruita interamente in pietra, che risale al ‘400.
Il Poderone è un luogo magico e quella vecchia sedia a dondolo è occupata, da sempre, dalla signora Lorenza, anzi la Lorenzina, come tutti oramai la chiamano, quasi volesse – con questo diminutivo – bloccare il tempo alla sua prima gioventù.
Per raggiungerlo dovete approfittare della strada provinciale che da Forlì porta direttamente in Campigna.
Prima di arrivare un piccolo cartello indicherà appunto il Poderone sulla destra; un ultimo sforzo di qualche minuto ed eccovi arrivati a destinazione.
Troverete un casolare di montagna che di notte è baciato dal silenzio, di giorno bagnato dal sole e nel periodo invernale dalla neve.
È abitato fin dagli anni 70 da un mezzadro, poi, con il grande esodo verso la città di Ravenna e Forlì, non viene risparmiato nemmeno lui; chiude le porte e viene messo in vendita.
Lo acquista negli anni ’80 una signorina del luogo, all’epoca giovane e scattante, con l’intenzione di farne la propria abitazione e null’altro.
Questa signorina inizia gli studi a Galeata e li completa a Forlì diplomandosi in Ragioneria. Azzarda anche l’università a Bologna ma il richiamo dei genitori non le permette di arrivare sino in fondo.
Il suo nome è Lorenza Benelli e, dal momento del suo ritorno, la montagna avrà un altro sapore.
Insomma, torna per aiutare i genitori nella gestione dello Chalais della Burraia, sempre nei pressi della Campigna. Obiettivo: dare una mano solo per qualche tempo, ma alla Burraia la Benelli ci rimane sino al 1994, ovvero per quasi trent’anni.
Tutte le cose iniziano e poi finiscono e anche l’attività alla Burraia si conclude. E adesso? Poco male, quel casolare di montagna che doveva essere casa sua prende immediatamente un’altra forma e diventa un agriturismo con ristorazione, e che agriturismo!
Nasce un mito.
Ma chi è la Lorenzina? Lorenza Benelli nasce a Castagnoli, una minuscola località sempre in provincia di Santa Sofia. Lorenza ha lunga memoria della sua gioventù e della vita di montagna: “Quando nevicava poteva significare anche lunghi periodi di isolamento, senza dubbio erano altri tempi. L’inverno dettava le sue regole. Si cenava alle 18.00 quando faceva buio”.
Una donna d’altri tempi, l’archetipo dell’accoglienza: si è sempre caricata tutto sulle spalle contro tutto e contro tutti, anche politicamente.
Senza di lei “quella” montagna non sarebbe la stessa.
Se la gente si sposta verso quel tratto appenninico è anche grazie a lei.
Dunque, il Poderone apre i battenti il 19 novembre 1995, il giorno di San Fausto. L’affianca nella prima parte della sua avventura il padre Tullio, quotidianamente impegnato nell’azienda e prezioso collaboratore.
Quando si entra al Poderone – un autentico rifugio del luogo totalmente in pietra ed edificato nel ‘700-il tempo si ferma, gli orologi rallentano e tutto vive un’altra dimensione. Al Poderone oggi come ieri si respira lo stesso senso di condivisione: in inverno il fuoco arde sempre nel grande camino davanti al quale ci si ferma a chiacchierare e a bere un bicchiere di vino.
Le tradizioni fanno parte del bagaglio personale di Lorenza: per lei è naturale preparare e condividere.
La svolta definitiva si verifica all’arrivo di Nicola – il nipote prediletto – detto Nicolino, anche lui conosciuto col diminutivo come Lorenza, vuoi per l’esile corporatura, vuoi per tradizione, ma oggi è lui “la bestia”,come lo definisce Lorenza. Nicola è un grande studioso, alleva e coltiva qualsiasi cosa venga portata in tavola ed è un fermo promotore e sostenitore della cultura biologica e della biodinamica.
Dice sempre: “lo fai se ci credi”.
Accanto al Poderone non esistono agricoltori, tutto è incontaminato, proprio per questo Nicola crede che sia possibile applicare un concetto che ammicca alla biodinamica.
Produce autonomamente di anno in anno i semi delle piante per le risemine, alleva la grande tradizione degli animali da penne da cortile: galline, oche, anatre – che si cibano principalmente degli insetti dannosi – oltre a conigli e tacchini.
Il menù è uno e dipende da quello che la natura ha concesso, non esiste una carta, non esiste una scelta. I piatti vengono sporzionati direttamente al tavolo e quando il cibo finisce non ce n’è più per nessuno.
La storia racconta di piatti memorabili, preparati – oggi come allora – con cura e secondo la più rigida tradizione tosco-romagnola: lasagne, pasta al forno, zuppe di stagione e ribollita, i brodi tipici, la zuppa imperiale (piatto sublime del Poderone) e la polenta di mais, figlia di una varietà antica registrata insieme all’università di Pavia e di cui Nicola è il custode. Anche tutti gli insaccati sono derivati da animali di proprietà e utilizzati direttamente per l’agriturismo.
Inoltre è attivo il girarrosto a legna – oramai introvabile – dedicato alle carni come anatra, costine, coniglio, pancetta arrotolata, pezzi più o meno pregiati tipici della cultura romagnola.
Stagionalmente, in onore dei vecchi tempi, vengono proposti piatti come la scottiglia, un piatto antico composto da varie carni dove erano presenti animali da penna, selvatici, coniglio e maiale, tutto cotto in un unico brodo. Un piatto conviviale dove le carni arrivavano separatamente dalle varie famiglie che partecipavano al pranzo o alla cena.
La sfoglia è fatta in casa e tirata al mattarello. Nicola è inoltre proprietario di un mulino privato dedicato alla macina di tutte le sementi coltivate e per la produzione della farina di castagne.
Lo scopo di Nicola è raggiungere l’autosostenibilità per tutte le materie prime dell’ orto di circa un ettaro e mezzo, grazie a un particolare ecosistema ottenuto da un humus autogenerativo frutto di cinque anni di trattamenti biodinamici ai terreni.
Lorenza, comunque, la trovate sempre lì accanto al camino a dondolarsi sulla sua sedia: “La mia scelta è possibile solo perché io so cos’è la solitudine, ma ho sempre trovato rifugio nei libri e nella musica. Tutto questo mi ha sempre tenuto compagnia”.
E se non fosse così, questo gioiello di pietra incastonato tra le pietre della montagna, non potrebbe esistere.