Ci sono ristoranti, come il D’O di Davide Oldani, che non ti stancheresti mai di frequentare. Dopo un lungo purgatorio in attesa di un tavolo libero, siamo tornati lì di recente. Di Oldani si è già detto tutto: ha talento, è innovativo, ha piglio manageriale, ha capito prima di tanti altri che l’opulenza nell’alta ristorazione, se non è morta, oggi quantomeno è anacronistica. Soprattutto possiede quel savoir faire che fa di lui il miglior ambasciatore di un’idea di cucina rivelatasi vincente, quella dallo stesso Oldani definita POP, nel senso di “popolana” ancor prima che “popolare”. In sintesi un vero avanguardista che – forte delle solide esperienze formative fatte con Albert Roux, Alain Ducasse, Pierre Hermé e Gualtiero Marchesi – diversi anni fa spiazzò tutti proponendo una cucina concettualmente evoluta a prezzi popolari, anticipando in tal modo un trend ormai obbligatorio, alla luce delle difficoltà economiche del momento. La ricetta? Puntare su prodotti stagionali e tendenzialmente “poveri”, approvvigionarsi da fornitori a pochi passi dal ristorante, gestire la sala a turno mediante la stessa brigata di cucina: così Oldani ha reso possibile la classica quadratura del cerchio.
E il successo della scommessa è stato tale che per ottenere un posto al D’O si devono mettere nel conto mesi di attesa, quando, di regola ormai, molti ristoranti anche di qualità annaspano in cattive acque e vedono rarefarsi la clientela. Il leit motive delle sue proposte consiste in divertissement intesi come pascaliana distrazione o allontanamento dalla noia di modelli gastronomici precostruiti, per riproporne altri simili nelle forme ma sorprendenti nei sapori. Ne è una testimonianza ormai famosa la mitica cipolla caramellata con Grana Padano 27 mesi Riserva D’O (nella foto in alto), opera prototipale della sua cucina che incrocia con disinvoltura dolce e salato, caldo e freddo, morbido e croccante.
Performance da vero fuoriclasse quella inscenata con il risotto con marron glacè, bottarga sbriciolata e buccia di agrumi! Cottura e mantecatura straordinarie e una successione di sapori perfettamente legati ma chiaramente distinguibili, ognuno con il proprio impeto: per mettere insieme la bottarga con i marron glacè ci vuole decisamente genio e sregolatezza.
E classe da vendere. Abbiamo poi bissato con un altro risotto da encomio solenne: allo zafferano con panettone e uvetta! Altro colpo da maestro il nasello al vapore con caviale, tapioca e una toccante salsa al burro bianco che dona soavità ed eleganza (oltre alla giusta acidità) ad una portata che nasce povera sulla carta ma che diventa nobilissima nel piatto. Un susseguirsi di giravolte, di fughe in avanti, di improvvisi flashback, il tutto intriso di una tecnica sopraffina. E dopo aver assaggiato, passando ai dolci, l’opera di mascarpone e cioccolato (lontana a più non posso dagli stereotipi a cui siamo abituati), il canederlo dolce e il caffè bianco rappreso e aver pagato il conto in allegria (menù a 11,50 € e a 32 €) ci si rimetterebbe subito in fila per il prossimo tavolo libero al D’O.
Di Simone Rosti