Quella del turismo è diventata la più grande industria “invisibile” al mondo, con 1.150 milioni di viaggiatori in movimento, contro i 22 milioni di 50 anni fa.
Questo fenomeno, benefico per l’enorme indotto economico che crea e per l’avvicinamento a Paesi lontani soprattutto causa di motivi razziali o politici, si sta rivelando una terribile bomba a orologeria per l’Italia.
Ormai sono noti gli ingenti danni che sta subendo Venezia, la cui corsa all’intercettazione di clienti, persino mediante l’accesso “in centro” delle grandi navi, la sta seppellendo di rifiuti sparsi senza riguardo soprattutto da un turismo mordi e fuggi di basso livello.
Ma persino ogni più recondita spiaggia della Sardegna e della Sicilia soffre uno tsunami di avventori che poco si curano di mantenerne intatta la bellezza: le auto arrivano fino alle calette nascoste e scaricano porcheria umana e materiale ovunque.
Non si salvano i siti archeologici, ora depredati, ora danneggiati da gente senza scrupoli e senza quella educazione storico-artistica che potrebbe renderli consapevoli di ciò che visitano: le nostre bellezze ambientali e architettoniche non possono valere solo qualche stupido selfie.
E dire che il turismo italiano sta subendo un enorme calo di presenze, colpa soprattutto di una grande concorrenza più qualificata da parte degli altri Paesi (il Louvre, per esempio, con 9.300 milioni di visitatori l’anno batte i 3 milioni del British Museum e i 6 milioni dei Musei Vaticani o i 2 degli Uffizi).
Le masse sterminate, dunque, ormai fisiologiche e inarrestabili, potrebbero essere un’enorme occasione di prosperità per tutti, ma solo se ben gestite.
Con questa consapevolezza Francia, Spagna e Stati Uniti si stanno organizzando per trasformare il turista in un “cittadino temporaneo” consapevole del proprio ruolo e all’altezza del luogo che visita.
Da noi, per ora, solo sanzioni e controlli severi possono contrastare il malcostume turistico in atto.
Ma al momento, senza un piano preciso, neanche questo può bastare.