Intendiamo farci promotori di una redefinizione delle Doc e delle Docg.
E’possibile continuare a tirare avanti presumendo nei consumatori competenze che in realtà non ci sono o, se ci sono, non risultano tali da garantire scelte consapevoli e giustificate? Evidentemente sì, visto e considerato che il polveroso sistema delle doc e delle docg continua imperterrito a governare un mondo, quello della nostra enologia, che negli ultimi anni ha conosciuto sviluppi e mutazioni assolutamente epocali. Ma le maglie delle reti in cui tutto ciò è accaduto sono rimaste clamorosamente larghe, lasciando che passasse di tutto e di piú. È noto che il consumatore medio, colui che ritiene di avere una passione piú o meno consapevole per il buon vino, circoscrive i suoi criteri di scelta a quanto recita l’etichetta, a meno che non si trovi di fronte ad una bottiglia già nota o caldamente consigliata. Ed è altrettanto noto che sono le indicazioni di denominazione di origine controllata, o addirittura quelle di origine controllata e garantita, a pesare considerevolmente sulla scelta definitiva. Perché da anni la doc o la docg si sono trasformate in certificazioni di qualità mentre invece, a conti fatti, si limitano sempre piú spesso a certificare l’origine territoriale di un vino. E nulla piú, come peraltro dimostrano le classifiche contraddittorie delle piú prestigiose guide del settore. In cui eccellono vini che, svincolati da disciplinari che in molte circostanze non hanno piú ragione d’essere, hanno scelto coraggiosamente la strada dell’Igt rinunciando a quel fittizio marchio di qualità che nell’immaginario collettivo è diventata la doc. Il gusto degli appassionati è mutato, la globalizzazione enoica ha imposto adeguamenti produttivi impensabili fino ad un solo lustro fa, ma i disciplinari sono rimasti cristallizzati quasi a voler eternare un’enologia che non è piú. Una doc e così sia, requiescat in pace. Alcuni hanno provato a ribellarsi, indicando una strada che per le medesime ragioni non può essere certo considerata quella piú corretta per garantire al consumatore un prodotto di qualità. L’igt infatti ancora una volta si limita a dare certezze sulle origini del prodotto ma non certo sulla sua qualità. Altri hanno tentato le strade della politica, imponendo con la forza dei loro numeri la creazione di nuove doc giusto per garantirsi un briciolo di notorietà. Come se il mare magnum delle denominazioni non fosse già sufficientemente inflazionato. È evidente che il sistema richiede procedure al passo con i tempi, ma soprattutto certificazioni di garanzia a vantaggio del consumatore. Il quale dovrebbe essere messo nelle condizioni di sapere dove affondano le radici storiche, culturali e produttive che hanno creato il nettare che sta per sorbire. E che, d’altro canto, dovrebbe essere allertato rispetto a certi vini che, pur manifestando tronfi la loro bella docg dorata al centro dell’etichetta, non hanno la forza di imporsi per corpo e robustezza. Il sistema delle doc e delle docg andrebbe dunque rivisto e corretto. I disciplinari ridiscussi con i produttori, specie quelli seri. I metodi e i criteri aggiornati con un occhio al mercato e uno alla tradizione. Le etichette, finalmente, nobilitate con marchi che certifichino davvero ciò che c’è da certificare. Mentre oggi, al contrario, si tratta di parole spesso prive di significato: quello che vorrebbero avere ma che è stato loro sottratto da chi ha approfittato di libertà che dovevano essere garanzie e che invece si sono rivelate trappole alle volte fin troppo “sofisticate”.