
Sembra molto lontano quel 2 dicembre 1973 in cui gli italiani si trovarono costretti a vivere la loro prima domenica a piedi a causa del divieto imposto dal governo Rumor sulla circolazione di tutti i mezzi a motore.
Lo chiamarono “austerità” e fu un periodo storico caratterizzato da una pesantissima crisi energetica e dal conseguente taglio drastico dei consumi di luce, gas e benzina, con chiusura anticipata di bar, ristoranti, negozi, e persino di programmi televisivi.
Paradossalmente la storia si ripete e ripresenta il suo conto salato senza che noi abbiamo posto alcun rimedio, nel frattempo, alle problematiche di allora.
Abbiamo sempre affidato ai partiti di turno – che mai e dico mai hanno dimostrato lungimiranza, efficienza e sollecitudine, se non per se stessi – quelle politiche ambientali, fonti rinnovabili incluse, che ci avrebbero potuto in parte tutelare dagli inevitabili rovesci che la storia ripropone.
Guardiamo al disastro della recente alluvione delle Marche, dovuto soprattutto ad incuria, menefreghismo e a indecente burocratismo; guardiamo allo stupore inerte davanti all’endemico e prevedibile problema della siccità e per contro guardiamo pure al colabrodo della rete idrica nazionale che disperde un terzo dell’acqua immessa nelle tubature, (il 50% al sud) quantitativo che potrebbe servire al fabbisogno di ben 10 milioni di persone!
Noi, ricordiamolo, siamo la nazione del crollo del ponte Morandi e delle sue 42 vittime, noi siamo quelli che pagano a dismisura una compagnia aerea nazionale con infinite sovvenzioni di Stato, ma privatizzano le manutenzioni stradali, le forniture di gas, acqua e luce esponendoci a speculazioni più assassine delle stesse guerre.
Di fatto, siamo noi stessi a pagare i sicari delle nostre piccole esistenze, pronti come siamo a delegare acriticamente le scelte che ci riguardano, fidandoci di promesse irrealizzabili e autorizzando, di fatto, ormai sistematiche pugnalate alle nostre traballanti certezze.
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