Giacomo Tachis era un uomo come tanti altri, mai banale, pungente al punto giusto e meticoloso in ogni sua cosa. Nasce nel 1933 a Poirino, un comune italiano della città metropolitana di Torino, all’epoca prevalentemente agricola.
Il padre di Giacomo era meccanico tessile, la madre casalinga, persone modeste che riuscirono con grandi sacrifici a far studiare i loro figli: il più grande Antonio Mario e Giacomo. Antonio Mario diventa un conosciuto e brillante scienziato famoso in tutto il mondo nel campo della ricerca sul nucleare, mentre Giacomo – in famiglia chiamato “Mino” – dopo le Elementari e le Scuole Medie si iscrive all’Istituto Agrario “Umberto I” di Alba.
L’incontro con Antinori
Sceglie enologia non per la smisurata passione che all’epoca nutriva per il vino, ma perché ai tempi, in Piemonte, ti buttavi nel settore enologico o in quello delle auto. La nonna aveva alcuni parenti che lavoravano alla Martini&Rossi, così decide di iscriversi a quella facoltà.
È il professore Rainer a farlo innamorare perdutamente del vino.
Uscito dalla scuola – siamo a metà degli anni ’50 – inizia a lavorare per la Martini&Rossi come da previsione della nonna, poi si sposta a Imola dove collabora con una ditta di distillati e, dopo qualche anno, sbarca in Toscana; proprio qui incontra per la prima volta il Marchese Niccolò Antinori.
Durante questo periodo entra in contatto con la persona più importante per la sua carriera: Émile Peynaud; enologo, professore e ricercatore francese, considerato da tutti il capostipite dell’enologia moderna.
Negli anni ’70 il Marchese Niccolò Antinori parte per un viaggio in Francia con il figlio Piero per visitare i santuari del mondo vinicolo francese. Vuole conoscere in quella occasione Ribereau Gayon, tra i più grandi luminari dell’enologia francese.
Purtroppo Gayon non è in Francia. Incontra per caso al suo posto colui che diverrà uno tra i più grandi enologi francesi, suo collaboratore: Emile Peynaud.
Peynaud non conosce ancora a fondo i vini italiani ed il loro stile, eccezion fatta per quelli piemontesi. Il Marchese Niccolò Antinori e il figlio Piero lo invitano in Toscana: lo scopo è conoscere e provare i vini provenienti dalle vigne delle loro tenute. Da qui nasce un rapporto di consulenza molto importante.
Tachis e Peynaud
Questi anni sono fondamentali per la storia dei Marchesi Antinori e dell’enologia italiana. Si inizia a piantare il Cabernet e fare tagli con il Sangiovese, ma soprattutto ad utilizzare la barrique francese.
Peynaud e Tachis si piacciono e si piacciono da subito. La loro collaborazione spazzerà via qualsiasi convinzione enologica. Da qui un nuovo concetto ristrutturerà un’arte allora contadina, introducendo un nuovo modo di fare vino attraverso una nuova melodia. Arrivarono processi nuovi, tecniche come la fermentazione malolattica e l’invecchiamento in barrique.
Il Marchese Niccolò Antinori capisce di vino, è un grande appassionato e comprende da subito che il Sangiovese da solo non poteva stare in piedi. Aveva bisogno di un appoggio, di tanto in tanto, di vitigni internazionali.
È così che, nel 1970, nasce il Tignanello, il primo rosso toscano senza utilizzo di uve bianche. Il blend è composto da un 80% di Sangiovese e un 20% di Cabernet Sauvignon e il passaggio è in barrique francese.
La nascita di questo vino ha rappresentato un trampolino di lancio mondiale per l’azienda Antinori.
Ma facciamo un passo indietro: la vera svolta di Giacomo Tachis arriva nel 1968, anno nel quale gli Antinori lo presentano al cugino Marchese Mario Incisa della Rocchetta che, più che produttore di vino, è un allevatore di cavalli da corsa, considerando che il miglior cavallo del secolo – Ribot della razza Dormello Olgiata – è di loro proprietà.
Il Sassicaia
Il Marchese Mario Incisa della Rocchetta seleziona alcuni cloni di Cabernet Sauvignon importati dalla Francia che decide di piantare a Bolgheri, zona conosciuta all’epoca per la produzione di vini rosati e di bianchi da uve Vermentino. Le condizioni climatiche si rivelano perfette per far nascere uve eccezionali che permettono di produrre Cabernet Sauvignon e Cabernet Franc di una qualità eccellente.
Così nasce, grazie all’intuizione di Giacomo Tachis, il Sassicaia, primo vino italiano in grado di competere con gli Chateau dei nostri cugini francesi. Nel 1972 vede la luce la prima etichetta di Sassicaia, figlio della vendemmia del 1968. Per questo vino Tachis crea un taglio di diverse annate, a partire dal ’65 per finire nel ’69, indicato poi con l’annata 1968 in etichetta.
La consacrazione internazionale arriva da Londra durante una degustazione alla cieca organizzata da Hugh Johnson: il Sassicaia 1972 è tra i migliori vini del mondo. Nel 1985 Robert Parker gli assegna 100/100 e a distanza di anni si chiede ancora oggi se sia il miglior vino rosso degli ultimi 50 anni.
Il Solaia
Siamo negli anni ’70, più precisamente nel 1978, Tachis ed Antinori producono un altro capolavoro: il Solaia; stesso uvaggio e sistemi di lavorazione simili al Tignanello ma con mix opposto: 20% Sangiovese ed 80% Cabernet Sauvignon.
“Ricordo la sua nascita quasi come un gioco” racconta Piero Antinori “quell’anno c’era stata un’abbondanza di Cabernet di ottima qualità e Tachis pensò di approfittarne per provare un nuovo vino. Era nata la nostra punta di diamante. L’annata ’97 segnò la svolta con il premio come miglior vino dell’anno della prestigiosa classifica di Wine Spectator: la prima volta per un vino italiano”.
il Guado al Tasso
È l’inizio di una nuova era; la Toscana non è più quella del Chianti prodotto da un mix di uve a bacca rossa e bianca: ora è la regione di Tachis, Antinori, Incisa della Rocchetta e dei Supertuscans.
Il tempo passa e Tachis diventa sempre più famoso, sempre più si parla dei suoi vini e della sua visione.
Arrivano gli anni ’90 e Tachis mette a punto il Guado al Tasso nella Tenuta di Bolgheri della famiglia Antinori.
Un tris senza precedenti.
“Abbiamo un grosso debito di gratitudine verso questi prodotti e soprattutto verso Giacomo Tachis – racconta il Marchese Antinori – non solo noi, ma tutta la viticoltura: i vini italiani erano prima considerati come dei prodotti di basso prezzo e solo a partire da queste sperimentazioni si capì che eravamo capaci di intercettare anche altri tipi di domande.
Il grande merito di Giacomo è stato cambiare, oltre al vino, anche la figura dell’enologo: non più un chimico pronto a intervenire sul vino in caso di urgenze, ma colui che segue il vino dalla vigna alla bottiglia e che sa renderlo da buono a perfetto, cogliendo quelle sfumature che fanno la differenza. Il suo era un vero tocco d’artista”
La Sardegna
Nel 1992 Giacomo Tachis decide di lasciare Antinori e nonostante le numerose ed importanti offerte, preferisce iniziare una carriera da consulente esterno.
Mentre i suoi Supertuscans sono oramai nell’olimpo dei vini più famosi al mondo, lui comincia a valorizzare principalmente le isole, soprattutto la Sardegna creando vini come il Terre Brune di Santadi o il Turriga di Argiolas.
Di vini famosi nella sua lunga carriera ne ha firmati tanti: Cervaro della Sala – in stretta collaborazione con Renzo Cotarella – San Leonardo, Sammarco, Vigna di Alceo, Chianti Classico di Castell’in Villa, Saffredi, Guidalberto, Brunello di Montalcino di Argiano, Camartina e Batar a Querciabella.
La Sicilia
In Sicilia il Rosso del Conte di Tasca d’Almerita, Milleunanotte e Ben Ryé a Donnafugata, Litra all’Abbazia di Sant’Anastasia. Il Pollenza e Il Pelago nelle Marche che, alla sua prima uscita nel 1994, ottenne il massimo riconoscimento all’International Wine Challenge di Londra nel 1997 come miglior vino in assoluto.
Un’impressionante serie di etichette di grande valore, come forse nessun altro in Italia può vantare di aver contribuito a realizzare. Tachis instaurò una vera e propria rivoluzione che spianò la strada non solo a un gran numero di vini – quelli che la rivista americana Wine Spectator anni dopo avrebbe definito “Supertuscans” – ma anche a un nuovo modo di pensare il vino italiano, finalmente pronto a quel salto di qualità capace di portarlo sulle migliori tavole del mondo.
Mescolavin
Giacomo Tachis muore nel 2016 all’età di 83 anni.
Ha passato una vita intera a collezionare libri e trattati sul vino; un patrimonio immenso, oltre 3.500 libri e documenti – italiani e stranieri – che raccontano la storia del vino dal 1500 ai giorni nostri.
Alla sua morte sono stati devoluti alla Fondazione Chianti Banca in modo tale che possano essere fonte di ispirazione per le generazioni successive.
Si affibbiava il nome “Mescolavin” – raccontano – lo faceva perché un grande enologo, sempre alla ricerca della qualità, sempre attento a far sì che i vitigni sprigionino tutto il loro potenziale, al termine di tutto deve mettere mano. È il tocco dell’artista.
Spesso ripeteva, durante i suoi interventi: “Rispettiamo la natura e la semplicità del vino e attenti alla genetica, perché la natura si ribella”.
Quando si rilassava raccontava alle persone che erano in sua compagnia: “Degustando il vino in poltrona si può vedere l’immenso”.
Ecco, questo era Giacomo Tachis, un uomo comune, l’uomo comune del rinascimento enologico italiano.
[Questo articolo è un estratto del numero di Novembre-Dicembre 2022 de La Madia Travelfood. Leggilo online oppure abbonati alla rivista cartacea!]