Di La Madia
Scontato ma efficace quel giochino del “BASTA!” lanciato da Rai 1 per dare un pizzicotto alle sonnolente domeniche televisive: si rimesta nel calderone dei malumori popolari e può venirne fuori qualcosa che va bene anche per il “fondino” di Michele Serra.
Perchè non allora anche per noi?!
E così abbiamo fatto rimbalzare il basta tra amici, colleghi, abbonati, conoscenti e chiunque abbia chiamato in redazione negli ultimi venti giorni, limitando ovviamente al nostro specifico settore il campo visivo delle intolleranze, ma depurando subito il panorama del dissenso da alcune idiosincrasie stagionali, come quella nei confronti delle Guide novembrine che, come le corna, saranno pure fastidiose ma possono aiutare a mangiare… (se non i clienti, almeno i ristoratori e gli editori). Ecco allora, dal referendum delle telefonate e delle e-mail, l’hit parade dei basta, a partire da uno zoccolo duro prevedibile, per approdare a certi fastidi epidermici che ci hanno un po’ sorpreso.
Quindi, basta:
• alla cucina sotto i riflettori (viva la cucina dell’operoso silenzio, che non ha bisogno della televisione per esistere)
• ai tele-esperti ignoranti
• alla prosopopea e alle sceneggiate intorno al vino, anche e soprattutto al ristorante
• ai prezzi assurdi del vino
• ai lamenti sulla crisi dei ristoranti: quelli che hanno saputo far coincidere la domanda con l’offerta continuano a lavorare, pur nella difficoltà contingente
• ai piatti “di ricerca” per giustificare costi “da smarrimento” (si ricercasse il modo di far pagare il giusto, anche se “firmato”)
• alle troppe riviste di cucina (tanto è come per il sesso: se ne scrive, lo si guarda, ma non si pratica)
• alla globalizzazione del gusto nei piatti (viva le differenze: non basta che la cucina sia regionale; deve essere provinciale, comunale, di quartiere, di casa)
• al lardo di Colonnata, ai Pachino, ai formaggi di fossa, al pecorino di Pienza, al Castelmagno (non basta citare territorialismi – spesso falsi – e costosità per sdoganare una cucina priva di vera creatività)
• ai pomodori ciliegini (hanno sostituito la rucola nella classifica delle banalità insapori)
• alle fiere, mercatini, sagre (la maggior parte dei prodotti “tipici regionali” sono le borse taroccate di Prada, gli incensi indiani e gli occhiali similArmani) alle manifestazioni, serate a tema, convegni gastronomici
• ai JRE (Jeunes Restaurateurs d’Europe) che in media hanno 40 anni! (e chi sono loro, Peter Pan?)
Però adesso basta.