Il “Maxiprocesso” è il soprannome che fu dato a livello giornalistico al più grande processo penale della storia italiana e mondiale celebrato a Palermo per crimini di mafia, chiamato così per le sue enormi proporzioni.
Fu un processo veramente lungo: durò dal 10 febbraio 1986 al 30 gennaio 1992, coinvolse 475 imputati e 200 avvocati difensori per un totale di 2.665 anni di reclusione.
Ora, vi starete sicuramene chiedendo cosa c’entri il Maxiprocesso di Palermo con l’anidride solforosa utilizzata nel vino.
Ovviamente non c’entra, ma offre delle similitudini perché il processo alla solforosa è di certo il processo al vino più lungo della storia, ha coinvolto tantissime persone e sembra non avere fine.
Partiamo dall’inizio: perché viene utilizzata l’anidride solforosa in enologia?
Principalmente per i seguenti motivi, ma molto dipende dal tipo di uva e dalle sue caratteristiche:
1) Azione solvente: utilizzata nel mosto, sia per i vini bianchi che per quelli rossi, per arrestare inizialmente la prima fermentazione ovvero quella alcolica e per favorire l’estrazione del colore.
2) Azione antiossidante: per limitare il contatto con l’ossigeno ed evitare l’eventuale processo di ossidazione.
3) Azione antisettica e antimicrobica: per impedire il proliferare della flora batterica che potrebbe deteriorare il prodotto.
Ma cos’è è esattamente l’anidride solforosa? Che delitti atroci ha commesso? Perché questo Maxiprocesso?
Andiamo per gradi: L’anidride solforosa è un componente fondamentale per l’enologia – quella moderna e non – e forse il più utilizzato, ma è al centro di accese discussioni da oramai più di un decennio.
Se si analizzasse l’anidride solforosa esclusivamente come componente chimico (SO2) altro che processo! Andrebbe al gabbio per giudizio direttissimo…
L’anidride solforosa è un gas che, in quantità eccessive, può essere molto pericoloso per la salute dell’uomo. E’ irritante, pericoloso per il tratto respiratorio e in dosi massicce può provocare addirittura la morte.
Quindi? Subito ergastolo, no?
Attenzione però: questo processo può avere risvolti più complessi, perché l’anidride solforosa è utilizzata comunemente nell’industria agroalimentare.
Come tutti i composti chimici antiossidanti è possibile che possa provocare reazioni allergiche in soggetti predisposti, ma questo vale anche per tanti altri elementi presenti in natura o derivanti da processi chimici.
Ma torniamo a noi. Perché questo Maxiprocesso al vino? La solforosa è ovunque, non solo nel vino.
Bene, stavamo dicendo che l’anidride solforosa è fondamentale per la sua azione antiossidante e antisettica ma, se utilizzata in grandi quantità, può essere dannosa per l’uomo e per la sua salute, pur essendo considerato un elemento molto importante per preservare alcune caratteristiche fondamentali del vino.
Quando si parla di salute, tutto deve essere regolamentato da parametri di massima.
Le dosi massime di anidride solforosa da aggiungere nel vino variano a seconda delle normative dei singoli Paesi.
La legge italiana stabilisce la quantità massima di solfiti ammessa in aggiunta al vino: nei vini rossi il limite è 150 mg/l, nei vini bianchi 200 mg/l, nei vini dolci 250 mg/l, nei vini passiti e muffati 400 mg/l.
Alcune nazioni hanno introdotto delle modifiche a questa Legge, per esempio in alcune il limite si può elevare a 40 mg in più durante annate negative.
A tale proposito è opportuno ricordare che nei soggetti predisposti e sensibili all’anidride solforosa, questa può essere motivo di emicranie o di altri disturbi come crisi allergiche, o almeno così si è sempre detto.
Dunque, sempre di più questo processo sta prendendo una brutta piega per gli avvocati difensori.
Oltretutto l’anidride solforosa può anche conferire al vino sentori non del tutto gradevoli. Peggio di così!
Considerando che se vogliamo essere precisi l’anidride solforosa non è presente allo stato naturale ma è prodotta da alcuni lieviti durante la fermentazione, come va classificata? Prodotto naturale? Mah, anche qui la faccenda inizia a farsi complicata.
Andiamo avanti: va inoltre detto nell’esposizione dei fatti che una parte di questa sostanza si combina con una serie di componenti presenti nel mosto e nel vino, mentre una parte viene chiamata libera, ovvero la parte che svolge l’opera antiossidante. Meno si combina, meno è dannosa considerando che la libera viene chiamata così perché volatile. Comunque libera + combinata = solforosa totale.
La difesa scricchiola a questo punto, ma un momento…
Obiezione vostro onore! (Silenzio in aula)
Prosegue la difesa: “Vostro Onore, a questo punto avrei alcune prove schiaccianti che possono determinare l’innocenza e l’assoluzione immediata del mio cliente!”
– Ma l’anidride solforosa non preserva i sapori e gli aromi nei vini? Senza di questa i vini non sarebbero come li beviamo oggi.
– Non è per caso vero che l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha esaminato i livelli di Anidride Solforosa accettati dall’organismo, stabilendo che la dose massima giornaliera è di 0,7 mg per 1 kg di peso; mentre quella letale è di 1,5 g/kg, somma di tutta l’anidride solforosa presente negli alimenti e ingerita quotidianamente?
– Vostro onore, non è per caso vero che il vino è considerato uno degli alimenti che contiene meno anidride solforosa? (Vedi tabella a pagina 94).
– Non è considerata da tutti, e ripeto tutti, indispensabile per la conservazione del vino preservandolo dall’ossidazione?
– Non è per caso vero che senza la solforosa non esiste una perfetta stabilizzazione del prodotto che potrebbe indurre ad una rifermentazione e quindi ad un’alterazione qualitativa del prodotto?
– Non è per caso vero che recenti studi hanno scagionato i solfiti dalle responsabilità del famoso “mal di testa” che alcune persone provano dopo aver bevuto qualche bicchiere di vino e queste responsabilità sono dovute alle “ammine biogene”, sostanze che si creano durante la vinificazione ad opera di batteri lattici in grado di produrre composti negativi per la nostra salute?
– Non è per caso vero che vini a cui viene data la possibilità di svolgere un maggiore affinamento in bottiglia assorbono e smaltiscono l’anidride solforosa?
– Non è per caso vero che un’opportuna ossigenazione prima del consumo – operazione che può anche essere svolta facendo roteare il calice – libera circa il 30-40% dell’anidride solforosa contenuta nel vino?
Silenzio in aula.
Il Maxiprocesso di Palermo fu veramente lungo, tanto lungo ma necessario per portare ordine, una reazione importante dello Stato.
L’omertà, ma soprattutto la leggerezza, permisero l’espandersi di Cosa Nostra in ogni dove.
Questo processo sarà molto più lungo, continuerà a coinvolgere tante altre persone e nessuno finirà in galera perché la solforosa nel vino non ha mai ammazzato nessuno a differenza della Mafia.
Ma è giusto fare chiarezza una volta per tutte su un argomento che continua a dividere non solo l’Italia ma il mondo intero.
Signori della Corte, è ancora troppo presto per ritirarsi a deliberare.
Potrei dire che, secondo me, l’imputato è assolto per non aver commesso il fatto o perché il fatto non sussiste o perché il fatto non costituisce reato.
Ma io non sono un giudice e non sono coinvolto quindi, come tutti voi, ascolto e leggo.
Tutto qui.
Gli effetti dell’anidride solforosa possono essere raggruppati in quattro categorie: antiossidante, stabilizzante, solvente e modificatore del gusto. Nel mosto e nel vino sono presenti diverse sostanze che tendono a ossidarsi, modificando sia l’aspetto sia il gusto. L’impiego dell’anidride solforosa previene l’ossidazione di queste sostanze e in particolare delle sostanze coloranti, dei tannini, degli aromi, dell’alcol e del ferro. I rischi dell’ossidazione durante la produzione del vino sono piuttosto alti, un processo che inizia sin dal momento in cui il grappolo è raccolto dalla vite e trasportato in cantina. Inoltre, ogni volta che si compiono delle operazioni sul vino, la possibilità di contatti con l’ossigeno è sempre molto elevata, un rischio che aumenta ulteriormente nel caso in cui il mosto o il vino sia ricco di enzimi e muffe – come la Botrytis Cinerea – e metalli catalizzatori, come ferro e rame. Per questi motivi, l’impiego dell’anidride solforosa può limitare gli effetti dell’ossidazione, assicurando quindi una maggiore qualità e conservazione del vino.
L’azione stabilizzante e antisettica dell’anidride solforosa è molto importante e contribuisce alla migliore conservazione del vino. L’effetto stabilizzante si utilizza anche nel mosto ottenuto dalle uve bianche, poiché ritardando l’avviamento della fermentazione, consente la decantazione delle parti solide favorendo l’illimpidimento del mosto. L’anidride solforosa distrugge o blocca momentaneamente lo sviluppo dei batteri della fermentazione malolattica (generalmente evitata nei vini bianchi) e quelli che provocano malattie gravi del vino, come l’acescenza e lo spunto lattico. Importante è inoltre l’azione selettiva svolta dall’anidride solforosa nei ceppi dei lieviti naturalmente presenti nel mosto. Ogni tipo di lievito risponde a delle caratteristiche proprie e si comporta in modo diverso durante la fermentazione. Con lo scopo di assicurare una migliore e più omogenea fermentazione, l’anidride solforosa risulta utile anche in questo caso. Alcuni lieviti e molti batteri sono particolarmente sensibili agli effetti dell’anidride solforosa che svolgerà quindi un’opportuna operazione di selezione.
Alcuni ceppi di lieviti, poco attivi nella fermentazione e che producono sostanze secondarie indesiderate ai fini della qualità del vino, sono fortunatamente più sensibili agli effetti dell’anidride solforosa, mentre altri che svolgono un’azione benefica durante la fermentazione – e in particolare il Saccharomyces Cerevisiae – sono più resistenti. Grazie all’anidride solforosa è pertanto possibile eliminare i lieviti e i batteri indesiderati, mantenendo invece i lieviti considerati positivi ai fini della fermentazione alcolica. L’anidride solforosa svolge un effetto solvente favorendo l’estrazione di certe sostanze presenti nelle bucce dell’uva. Durante la macerazione delle bucce di uve rosse nel mosto, l’anidride solforosa favorisce il passaggio in soluzione delle sostanze coloranti e dei tannini. Per questo motivo è sempre preferibile evitare il solfitaggio delle uve bianche poiché questo porterebbe all’ingiallimento del mosto e all’arricchimento di tannini. Nei mosti di uve bianche, l’aggiunta di anidride solforosa è sempre effettuata dopo la separazione delle parti solide, cioè dopo la sgrondatura. Fra gli altri effetti solventi, l’anidride solforosa favorisce l’estrazione delle sostanze minerali e degli acidi.
L’anidride solforosa svolge anche un’azione positiva sul gusto e sugli aromi del vino. Dal punto di vista organolettico, evita l’ossidazione degli aromi, in particolare quelli fruttati tipici nei vini giovani, elimina il cosiddetto “gusto di svanito”, attenua i gusti di marcio e di muffa. Per ottenere questi effetti positivi, l’anidride solforosa deve essere aggiunta quando la fermentazione alcolica è terminata completamente. Qualora si aggiunga troppo presto rispetto alla fine della fermentazione (cioè quando la temperatura del vino è ancora troppo elevata), si possono sviluppare aromi e gusti sgradevoli di anidride solforosa, di mercaptano e di uova marce.
L’anidride solforosa svolge infine una blanda azione chiarificante, poiché favorisce la coagulazione delle sostanze colloidali presenti nel vino e nel mosto, favorendo quindi la spontanea precipitazione delle fecce. L’anidride solforosa, aggiunta in quantità elevate nel mosto, è utilizzata per ottenere il cosiddetto “mosto muto”, cioè non fermentescibile, a causa del blocco dell’attività dei lieviti.
Nonostante gli effetti dell’anidride solforosa in enologia siano indispensabili e importanti, è comunque e sempre opportuno limitare il suo uso e impiegare le dosi minori possibili, soprattutto per limitare gli effetti nella salute dei soggetti particolarmente sensibili a questo gas. Tale precauzione è particolarmente importante nella produzione di vini che richiedono dosi elevate di anidride solforosa, in particolare nei vini dolci o comunque con un residuo di zuccheri elevato, vini nei quali si possono utilizzare, anche secondo i termini di legge, quantità maggiori di SO2. In ogni caso, dopo l’aggiunta di anidride solforosa, è sempre opportuno mescolare il vino o il mosto in modo molto omogeneo, cercando di essere il più precisi possibile nella preparazione della dose: sempre e comunque il minimo indispensabile. Infine, è opportuno ricordare che è sempre preferibile aggiungere anidride solforosa il meno spesso possibile anche se a dosi più elevate. L’aggiunta frequente e ripetuta di piccole dosi determina infatti una aumento della quantità di anidride solforosa totale. Gli effetti antiossidanti e stabilizzanti nel vino e nel mosto – è bene ricordarlo – sono unicamente svolti dall’anidride solforosa libera e non da quella combinata.