Partiamo da un’attenta analisi del mercato-vino: nei primi cinque mesi di questo 2020 calano le vendite di vino italiano nel mondo.
Pesa, ovviamente, – non è una novità – la pandemia e la crisi economica che ne è derivata. Basti pensare che in Cina il consumo di vino italiano fra gennaio e maggio 2020 è crollato in misura del 44%.
Nel Regno Unito le vendite sono diminuite quasi del 12% (colpa anche delle tensioni legate alla Brexit), la Francia ha incamerato una flessione del 14%.
In Germania e Stati Uniti – due dei principali mercati per le bottiglie di vino italiane – viene evidenziato un calo di poco più dell’1%.
In Italia per il vino in bottiglia (da una ricerca di Federvini e Tradelab), si stima una chiusura d’anno con una perdita del 29% rispetto ai consumi del 2019, mentre il calo dei consumi del mercato fuori casa – complessivo del food&beverage – dovrebbe essere del 33% circa. Per la ristorazione i risultati dovrebbero essere migliori, soprattutto per i locali di fascia medio alta.
I ristoranti di fascia alta – anche grazie a pranzi/cene di nuovo a regime – stanno reagendo meglio; ovvio che lo smart working, specialmente nelle grandi città, penalizza notevolmente (anche se nella maggior parte dei casi i problemi sono più per i bar con piccola ristorazione che per i ristoranti puri). Il punto dolente è rappresentato dalla riduzione del turismo proveniente dall’estero e quindi dalla piccola e media ristorazione che vive in parte di questo. Qui la flessione è più alta (circa il 63%) ed effettivamente è un grosso problema. Inoltre, i consumi di vino del segmento alberghiero sono quasi azzerati a causa del blocco del turismo.
Questa è la lettura e quanto si mormora, ma le voci di corridoio e l’analisi dei numeri – ma non degli esseri umani e le loro reazioni agli eventi – spesso non coincidono.
Ad aprile si è registrato un incredibile picco negativo nel mercato del vino in Italia con una inversione di tendenza a partire da giugno per stimare una chiusura a dicembre a -6%, se il mondo ovviamente procedesse spedito nei consumi anche in autunno come in questo periodo estivo (esportazioni a parte).
La crisi Covid ha inciso anche sulle vendite di vino nei supermercati. Il secondo trimestre si chiude con un +10% per il vino fermo e +5.5% per gli spumanti, un grande risultato ma non così importante come ci si aspettava.
Ma arriviamo alle vendite online, per tanti nuova fonte di salvezza dell’economia del vino italiano. Se parliamo di pre-Covid, l’approvvigionamento di vino attraverso e-commerce incideva per poco più dell’1% sul totale dell’economia italiana del vino; ora, possiamo anche andare al raddoppio a chiusura 2020 ma parliamo di numeri piccoli e non credo che ad oggi possa essere il canale di sfondamento per il futuro dell’economia del vino italiano.
Ma come può un’Italia in questi mesi estivi sviluppare numeri cosi incoraggianti nel consumo fuori casa del vino nonostante la crisi non abbia permesso ai visitatori ed amanti del Belpaese di sbarcare per le vacanze? La risposta è semplicissima: quattro amici (italiani ovviamente …) ad un tavolo di un ristorante, rilassati durante le vacanze, nell’arco di quattro ore sono capaci di consumare 3 o 4 bottiglie di vino, nonostante tutto siamo italiani e la bella vita a noi è sempre piaciuta.
Uno straniero (a parte gli abitanti di qualche paese europeo più simile a noi per costumi alimentari) è meno attento e meno legato al vino. Più consumatore di birra, meno tempo passato con i piedi sotto la tavola di un ristorante e ovviamente meno bottiglie di vino bevute durante un pranzo o una cena. La ricetta del successo è tutta qui.
L’italiano è rimasto in Italia ed è stata la nostra vera salvezza e chissà che, oltre le prelibatezze enogastronomiche, magari non riscopra anche quelle paesaggistiche e artistico-culturali.
La speranza è sempre l’ultima a morire.