Chilometro zero sì, chilometro zero no. La risposta dipende in gran parte dalla zona e dallo stile di cucina. Nel caso di Andrea Tantucci, marchigiano di Cingoli, in provincia di Macerata, è decisamente affermativa, visto che nel suo Gallo rosso, aperto due anni fa a Filottrano, è la prossimità a dettar legge. Senza eccezioni alla regola. Un lavoro che rappresenta il filo conduttore della biografia di un cuoco, passato per le stellate Busche di Montecarotto, l’agriturismo dell’Oasi degli Angeli, dove “la materia era eccellente o non era”, la pasticceria La Mimosa di Tolentino con Roberto Cantolacqua, prima di diventare chef nel 2010 al Maiale Volante, altro agriturismo dove lavorava carni e ortaggi dell’azienda agricola. “Cosicché ho imparato a conoscere il prodotto e i produttori”.
A Filottrano tocca ai bovini di razza marchigiana, ai suini neri di Parma, agli agnelli, ai capretti e agli animali di bassa corte di Doriano Scibè, che da vent’anni pratica un allevamento estensivo e a ciclo chiuso grazie alla produzione di foraggio proprio. “Ci sentiamo una volta alla settimana e quando macella scelgo il pezzo che mi interessa mettere in menu. Sono sempre bestie mature, per esempio i maiali hanno almeno tre anni”. Mentre le verdure provengono da un’azienda agricola biologica di Filottrano, con rifornimenti quotidiani; i legumi e le farine da Cingoli. Bandita la grande distribuzione, anche di qualità, forestieri sono praticamente solo il burro di Normandia e il sale di Trapani.
Il menu degustazione costa 37 euro; la carta dei vini, per il 70% marchigiana, surfa la nouvelle vague del Verdicchio (subito fuori si stende il cru di Cupramontana). Si può iniziare con i crostini di pan brioche, spuma di fegato di marchigiana, riduzione di Rosso Piceno e nocciole tostate oppure con la coratella di agnello, cotta in umido di pomodoro, cipolla e guanciale, più un goccio di grappa, poi servita nel pentolino. Oppure con l’ottimo coniglio proposto per una volta lesso, come si faceva un tempo in campagna, quando la carne valeva, su crema di finocchio alla liquirizia. Delicatissimo, quasi un negativo di porchetta, in un ripescaggio ispirato al tonno di coniglio.
Il ciavarro è una zuppa di cereali e legumi (ceci, cicerchie, lenticchie, fagioli zolfini, cannellini, borlotti, farro e orzo, tutti prodotti da un’azienda di Cingoli), tradizionalmente preparata dai contadini al momento di procedere al nuovo raccolto, per svuotare i contenitori di stoccaggio. Le cotture sono tutte separate, in modo da esaltare le differenze, poi si procede all’assemblaggio con salsa di pomodoro e salsiccia. Oppure i ravioli ripieni di marchigiana (carne di un toro di 8 anni, stufata lentamente), conditi con burro di Normandia e Parmigiano delle vacche rosse, la cui pasta, a base di uova di galline ruspanti e farina locale macinata a pietra, è stesa sulla spianatoia dalla sfoglina Gina, mamma del cuoco.
Il piatto firma di Tantucci però è l’oca di Filottrano cotta nel Verdicchio, che in forno pian piano si restringe, lasciando un carico di profumi e una misurata acidità che bilancia la dolcezza, non senza reazione di Maillard. Sul piatto con patate e olive taggiasche per il contrappunto amaro. Puristica e soave. Per dessert la panna cotta allo zucchero di canna e vaniglia con gelatina alla birra, seguita magari da una crema di zabaione con mandorle sabbiate e meringhe. Corretta e autentica come una cucina, che forse si gioverebbe di un uso più esteso delle erbe.