E’ probabilmente lo chef più interessante della sua generazione. Ha scelto Milano come punto d’approdo e la città ambrosiana ha scelto lui, conformemente allo spirito ecumenico e meritocratico che la caratterizza. Lui è Marco Ambrosino, 34 anni, isolano di Procida e viaggiatore per vocazione. Attenzione, però. Oggigiorno sono tutti globetrotters dei fornelli con esperienze equamente ripartite tra la cucina di nonna, la brigata stellata di Washington e lo chef eremita delle montagne. Marco Ambrosino si è invece imbattuto in un percorso diverso, transitando attraverso trattorie per turisti e spaghetti alle vongole, banchi di università e numeri, Libera Iovine e Noma. Approdando, infine, nell’unico luogo italofono dove “tutto è possibile (forse)”: Milano, sponda Naviglio, il porto di mare sforzesco. Al timone di “28 Posti”, tra la nuovissima Darsena e la riva del Naviglio Pavese, dove migliaia di persone di tutte le età, provenienze, ceti sociali, costumi si incontrano e dibattono, nell’area democratica di Milano dove bohème, graffiti, politica e gin tonic convivono in un matrimonio d’amore. Il nome dice tutto. Sono, appunto, 28 posti ripartiti tra due piccole stanze, arredi di materiale ecosostenibile fabbricati dai carcerati di Bollate, attenzione totale verso gli sprechi e una cucina immediatamente riconoscibile: marina, iodata, balsamica. Mediterranea nelle sfumature meno consuete. Quelle delle asperità delle alghe e dell’intensità dei ricci di mare. Quelle della salsedine intensa, a volte acre e persistente dei porti delle grandi città del sud. Istanbul, Atene, Barcellona, Napoli, Marsiglia. Cariche di voci, persone, odori, spezie, prodotti e di quel “nonsoche” di indefinito. Come racconta lo scrittore francese Jean Claude Izzo: “Nelle città del Mediterraneo..non trovi mai davvero quello che eri venuto a cercare. Forse perché questo mare, i porti che ha generato, le isole che culla, le linee e le forme delle sue rive rendono la verità inseparabile dalla felicità. l’ebbrezza stessa della luce non fa che esaltare lo spirito di contemplazione”. In questa verità inseparata dalla felicità troneggiano alcuni ingredienti, che sono ricordo, sapore, sensazione. Per il marsigliese Izzo sono aglio, menta e basilico. Per Ambrosino, le mille sfaccettature ancestrali del mare.
“Ho iniziato a cucinare per gioco, come tutti i ragazzi della mia età”, racconta. “Quando avevamo 14 anni andavamo tutti a prestare aiuto in qualche ristorante turistico, a fare spaghetti alle vongole e impepata di cozze. Poi ho studiato più o meno seriamente, ho frequentato il liceo e la facoltà di economia all’università. Interrotta, quando sono andato al Melograno di Ischia, il ristorante di Libera Iovine, la prima cuoca stellata del Meridione”. Quello è stato il momento del cambiamento, la sottrazione definitiva dai libri dei consigli di amministrazione.
“La cucina “materna” di Libera mi ha insegnato tantissimo, ma ben presto ho sentito la necessità di provare qualcosa di diverso, di innovativo. Sono stato un anno in Spagna, nel pieno boom del Bulli di Adrià, che purtroppo non mi ha aperto le sue porte. Non mi sono perso d’animo. Sono rimasto un po’ in terra iberica e poi mi è stato concesso uno stage di soli due mesi al Noma di Copenaghen. Quella è stata l’esperienza che ha davvero cambiato le mie prospettive perché mi ha fatto capire che cucina non è solo nutrimento, è anche filosofia, attività multidisciplinare e, soprattutto, racconto. Da Renè Redzepi non si trascorrono soltanto ore a pulire erbe e verdure, ma c’è la possibilità di essere a contatto con un microbiologo che fa la stessa cosa per finalità completamente diverse: arrivare a costruire insieme un piatto che ha una differente profondità rispetto a quella del piatto di un ristorante qualsiasi”. Tuttavia, la cucina di Ambrosino non è la solita “felice sintesi” di elementi partenopei e nordici. La scuola di Redzepi ha insegnato un metodo di lavoro, non un compendio di ricette. “Attraverso gli insegnamenti di Redzepi, ho capito come raccontare il mio Mediterraneo, con le sue bellezze e i suoi contrasti, a volta spiazzanti”.
I piatti di Ambrosino oggi rappresentano forse l’estrema avanguardia della cultura campana: la pasta di Gragnano con mandorle, pomodoro secco e lattuga di mare; i tagliolini con porro fondente, polvere di cappero e limone candito; le eliche al pistacchio, noccioli di oliva e salicornia sono tutti fortemente caratterizzati da elementi isolani ma spingono sulle acidità e sugli elementi spigolosi dell’ingrediente in modo inconsueto, al limite dello stupore. La Chiaiozza è un racconto nel racconto, forse l’estrema sintesi dell’arte di Ambrosino: ispirato all’omonima baia, luogo d’infanzia dello chef, è un crudo di canocchie, gelato di ricci di mare, cavolo cappuccio, olio al pino marittimo sopra una sabbia di nero di seppia e carapaci di crostacei che suscita immagini di onde lievi e mare in bonaccia, luci abbaglianti del mattino e porti pescosi. 28 Posti vuole essere proprio questo: un porto, con tutte le sue caratteristiche. Crocevia di genti e atmosfere, caos e rifugio, punto di partenza e di arrivo. Sempre con le tinte azzurro intenso, il profumo dei limoni, e i contrasti del Mediterraneo, nel porto immaginario più internazionale d’Italia.
28 POSTI
Via Corsico, 1 – Milano
Tel. 02 839 2377