Mi ero ripromessa di non partecipare alle discussioni nate dopo l’articolo di M. Leonardon pubblicato su The Vision in data 18 settembre 2017 intitolato “Perché non c’è nulla di etico nella vita di un vegano” (http://thevision.com/scienza/vita-di-un-vegano-non-etica/). La mia indole mi porta sempre molto lontano dalle discussioni ed evito sempre di entrare in polemiche sterili. Non è un defilarsi, ma semplicemente non trovo interessanti i dibattiti che nascono senza la reale volontà di un confronto sano per approfondire delle tematiche in un clima sereno e di rispetto. In tanti però mi hanno chiesto di esprimermi al riguardo ed ho pensato che il pubblico interessato ed attento de La Madia Travelfood avesse il diritto di leggere il mio pensiero al riguardo.
Letto il titolo dell’articolo in questione, si pensa subito ad uno dei numerosi attacchi ai vegani a cui ultimamente ci stanno facendo il callo un po’ tutti (vegani compresi); in realtà ho trovato l’articolo esilarante e comico. Già, perché solo così si può interpretare un articolo strappa like che ha la presunzione di insegnare il significato della parola “etica”, di bacchettare i “vegani” e denigrarli con della demagogia spiccia, aggiustando dei dati reali a suo piacimento per accaparrarsi condivisioni sui social. Tra l’altro l’articolo cita Aristotele e Socrate che, ça va sans dire, fortemente influenzati dalla scuola pitagorica, seguivano un’alimentazione vegetariana. (“Amici miei, evitate di corrompere il vostro corpo con cibi impuri; ci sono campi di frumento, mele così abbondanti da piegare gli alberi dei rami, uva che riempie le vigne, erbe gustose e verdure da cuocere. La terra offre una grande quantità di ricchezze, di alimenti puri, che non provocano spargimento di sangue né morte.” Cit. Pitagora)
LE PROBLEMATICHE ETICHE ED AMBIENTALI SONO A CARICO DI TUTTI
Secondo l’autore pare che il “vegano” discuta di “etica” ogni santo momento della sua vita, che ce la infili in ogni discussione, non importa che si stia parlando di cibo o delle piastrelle nuove da mettere in bagno. Il vegano sbandiera l’etica a destra e a sinistra, affermando di essere l’unico a detenere lo scettro di “il più etico del mondo” ed atteggiandosi baldanzoso con aria compiaciuta. Sempre secondo l’autore dell’articolo, il vegano si siede a tavola soddisfatto per la sua presunta supremazia nel consumo globale ed esclusivo di quinoa, avocado, mandorle, anacardi e soia. Peccato però – aggiunge M.L. – che la produzione di questi alimenti vegetali nasconda crudeltà e sfruttamento umano e delle risorse ambientali. Peccato però, aggiungo io, che le terrificanti condizioni dei lavoratori nei paesi in via di sviluppo e non solo, il consumo di ingenti quantità di acqua e più in generale tutti i problemi ecologici e di sfruttamento non valgono unicamente per questi alimenti che l’autore vuole far credere siano a solo uso e consumo dei vegani. Non vi è alcun dubbio che tutte le coltivazioni intensive conducano a serissimi problemi etici ed ambientali: anche il caffè, il tè, le banane, il cacao presentano le stesse problematiche di quinoa, avocado, etc., ma è altrettanto vero che il depauperamento dei terreni non si possa attribuire alla dieta vegana. Senza andare troppo lontano, ci siamo dimenticati della schiavitù nei Paesi industrializzati come il nostro, quando si parla ad esempio dei raccoglitori di pomodori e delle angurie nel Sud d’Italia? Nessuno di questi due cibi è esclusiva vegana, la pasta e la pizza ca’ pummarola n’copp e l’anguria come merenda d’estate le mangiamo tutti!
QUINOA ED ANACARDI: L’ITALIA LI PRODUCE
Quest’articolo è un po’ come la scoperta dell’acqua calda, anzi un’accozzaglia di mezze verità, messe lì in fila una dopo l’altra come se stesse rivelando gli ultimi clamorosi gossip del panorama mediatico. Elenca una serie di verità, peraltro non al 100% corrette, ricontestualizzandole insidiosamente per scoperchiare le malefatte dei “vegani”, assolvendo i “carnivori”. Inoltre cita prodotti vegetali esistenti da migliaia di anni, prima ancora che si iniziasse a parlare di veganismo (la Vegan Society nacque nel 1944 come distaccamento della Vegetarian Society nata nel 1847).
Nello specifico affronta il discorso della quinoa, affermando che è utilizzata di frequente nell’alimentazione vegana per l’alta concentrazione di proteine e questo ha determinato una maggiore domanda e quindi maggiore sfruttamento. I cambiamenti portati dalla crescente domanda di quinoa sono invece dovuti dall’aumento delle richieste del mercato interno ed esterno alla Bolivia. Il boom della quinoa è antecedente alla crescita vegana di questi ultimi anni (la cui popolazione è peraltro esigua rispetto al resto della popolazione mondiale) ed è stata portata alla ribalta dai radical chic della gastronomia. Inoltre il costo della quinoa è il quadruplo rispetto, ad esempio, al riso integrale ed ai giorni nostri non tutti sono disposti a spendere 15/20€ al Kg per un cereale. Inoltre in Italia esiste la quinoa italiana, un esempio quella coltivata proprio nelle Marche da www.quinoaitalia.com.
Il discorso poi passa alla questione degli anacardi, prodotti ben noti a tutti i consumatori più attenti per via dei pericoli affrontati dai lavoratori nella catena produttiva (i fumi derivati dalla tostatura del frutto possono causare dermatiti simili ad ustioni) e per lo sfruttamento, ad esempio, degli ex tossicodipendenti che vengono impiegati per la lavorazione in Vietnam. C’è da dire che non tutti gli anacardi vengono dal Vietnam e non tutti vengono rilavorati utilizzando gli ex tossicodipendenti. Di certo la stragrande maggioranza dei consumatori consapevoli, vegani in primis, prediligono l’utilizzo di anacardi del commercio equo e solidale o in mancanza di una certificazione vera, si “accontentano”, ad esempio, delle noci italiane, delle gustose nocciole delle Langhe e delle preziose mandorle e pistacchi italiani. A proposito delle mandorle, l’articolo parla delle risorse idriche depauperate per la produzione di questo eccellente elemento, causato dalla smania dei vegani per creare le basi per cheesecake crudiste, mozzarelle vegetali, formaggi, creme e salse a base di mandorle.
Ma davvero crediamo che i vegani siano sempre in cucina a perdere ore ed ore per fare delle preparazioni crudiste? Ha idea questo signore di cosa voglia dire in termini di impegno e tempo fare cucina crudista in una famiglia con figli, marito, una casa ed un lavoro? Siamo proprio sicuri che tutti acquistino le mandorle inquinate della California, se già con le pregiate risorse italiane che troviamo solo tra Puglia e Sicilia abbiamo delle scelte di prim’ordine? Queste affermazioni sono un modo indiretto per asserire che il consumatore moderno è poco attento, ma le ultime statistiche hanno dimostrano come negli ultimi anni l’utente sia diventato sempre più attento e consapevole delle proprie scelte.
AVOCADO E SOIA NON SONO CIBI SOLO VEGANI
L’annosa questione dell’avocado è un altro degli elementi affrontato nello scritto. Vorrei solo capire come si possa far credere che l’avocado sia prerogativa di chi non mangia carne e formaggi, quando la crescente domanda di questo frutto è correlata più al fatto che sia un frutto salutare (e qualcuno crede pure afrodisiaco). Il guacamole, originario del Messico, è apprezzato dalla cucina americana ed è diventato parte di essa stessa da decenni, ben prima che ci ponessero di fronte alle diatribe mediatiche “vegano sì, vegano no”. Io stessa, nel numero di ottobre 2017, avevo affrontato il discorso sull’eticità della provenienza di questo frutto e sul fatto che sia un prodotto attualmente consumato da tutti senza distinzione di diete e/o ideologie e che tutti siamo chiamati a scegliere consapevolmente. Anche per l’avocado ricordo che ci sono coltivazioni italiane in Sicilia, eseguite da aziende serie e certificate biologiche che coltivano rispettando le stagionalità ed escludendo le colture intensive. Non suona irrispettoso nei confronti delle popolazioni Messicane parlare delle guerre che li vedono coinvolti loro malgrado insinuando al contempo attacchi ai vegani?
Non poteva non mancare il discorso sulla soia, uno dei legumi più coltivati al mondo in maniera intensiva e che – secondo M.L. – sta causando disastri proprio a causa dei vegani. Il Sudamerica è il primo produttore di cereali e legumi da foraggio al mondo; si ha idea di quanta area agricola in Brasile è destinata alla sola produzione di mangimi? La scomparsa della Foresta Pluviale Amazzonica non è certo dovuta alla produzione di tofu, essendo per lo più trasformata in campi coltivati per la produzione di cereali e legumi destinati agli allevamenti. Dati alla mano, è risaputo che produrre un chilo di carne di manzo, in media, richiede 15.000 litri di acqua e dai 10 ai 15 chili di cereali/legumi e che l’80% della soia prodotta al mondo è trasformata in mangimi per animali da allevamento. Tutti gli allevamenti intensivi sono la prima causa al mondo di inquinamento ambientale attraverso la produzione di gas serra, l’inquinamento che ne scaturisce è persino maggiore a quello prodotto da tutte le macchine, le navi e gli aerei del mondo messi assieme. I maggiori consumatori di tofu per eccellenza sono gli onnivori del continente Asiatico e non i vegani occidentali. Già perché il tofu è da sempre un alimento consumato in Asia, basta fare un viaggetto ad Hong Kong senza dire di perdersi nelle campagne cinesi, per scoprire che il tofu lo trovate infilato nei loro piatti principali come le zuppe, insieme al pesce ed alla carne.
Mandorle, soia, avocado, quinoa, anacardi e moltissimi altri alimenti non sono quindi ad uso esclusivo vegano. Sarebbe stato interessante se nella miriade di dati infilati qua e là nell’articolo, ci fossero anche delle statistiche relative al consumo di questi prodotti da parte di vegani e dagli onnivori, considerando che attualmente in America meno del 4% della popolazione totale è vegetariana di cui l’1,6% è vegano. Si può avere un’alimentazione vegetale utilizzando tutto ciò che troviamo semplicemente nei confini italiani, volendo anche nell’orto di casa. Il vegano consapevole che conosce la stragrande maggioranza delle nefandezze del capitalismo e dello sfruttamento sa bene che può scegliere altro al di fuori dei prodotti incriminati scegliendo frutta e verdura direttamente dal produttore: viviamo in Italia una piccola grande terra che offre una varianza di prodotti vegetali incredibile.
LE SPECULAZIONI NON SONO QUELLE DEI VEGANI
Di cosa stiamo parlando allora? Perché associare al vegano le colpe del comportamento del capitalismo e di speculazione dell’uomo? Le basi della legge della domanda e dell’offerta le sappiamo tutti: la crescita esponenziale della popolazione mondiale, richiede maggiore disponibilità di prodotti in un sistema economico e politico che vuole tutto al prezzo più basso possibile, senza porsi scrupoli sul come ottenerlo. E’ il sistema economico ad essere malato e non la scelta di mangiare vegan.
Oggi come oggi sta al consumatore informarsi sui retroscena della produzione di qualsiasi prodotto e deciderne eventualmente di non acquistarlo più.
Chi è vegan per spirito di compassione, oltre a non mangiare carne, è il primo fra tutti a boicottare nel limite delle proprie conoscenze e possibilità, i cibi e tutti gli altri prodotti che fanno del male alle persone, agli animali e al pianeta stesso. ( “ […] a philosophy and way of living which seeks to exclude – as far as is possible and practicable – all forms of exploitation of, and cruelty to, animals for food, clothing or any other purpose; and by extension, promotes the development and use of animal-free alternatives for the benefit of humans, animals and the environment. In dietary terms it denotes the practice of dispensing with all products derived wholly or partly from animals..” (estratto dallo Statuto della Vegan Society registrato nel 1979).
IL VEGANO È ALTRUISTA. GLI ATTACCHI SONO PRETESTUOSI
Si critica il vegano sul cibo come se fosse l’unico argomento che desti il suo interesse in materia di eticità dei prodotti. Anche nel campo dell’abbigliamento, dell’industria della moda, della cosmesi, della nostra salute, dell’industria della telefonia e di tutti gli apparecchi elettronici e tanto altro ancora, si passa per la sperimentazione animale, la crudeltà e lo sfruttamento dei lavoratori, degli animali e dei territori. Anche questi prodotti sono prerogativa vegana? Nessuno di noi può pensare di comprare eticamente al 100%. tuttavia ognuno si può impegnare di più, facendo del proprio meglio, giorno dopo giorno, provando a nuocere il meno possibile in relazione alle proprie possibilità materiali e non.
Appurato che al 100% non potremo mai essere “etici” (vegani compresi), cosa vuol dire essere vegano? Il vegano, quello vero a favore degli animali, non ha il fine di riempirsi di belle parole come l’“etica”.
Non è il salutista, non è l’hipster, non è il modaiolo, il foodie, l’ambientalista , non è il reducetarian, non fa il digiuno e non è breathariano. Veganismo è altruismo, è la preoccupazione per il benessere degli animali, il rispetto per la vita, la compassione e la gentilezza per gli animali, le persone e la terra, basando la propria esistenza nel tentativo di eliminare ogni crudeltà e sopraffazione. Tutto ciò è forse un po’ utopistico, poiché abbiamo un passato in cui l’essere umano è specista per sua natura, sempre alla ricerca del profitto e della supremazia su tutto e tutti. Saranno necessari centinaia di anni per far capire alle persone quanto sia sbagliato il concetto di mangiare carne ed affini e sarebbe controproducente e contro la logica vegana obbligare nella scelta in questo senso, ma invitare coloro che mancano ancora di questa sensibilità ad avere un approccio più salutistico ed ambientalista per se stessi, i propri figli e tutto ciò che ci circonda, è l’unico modo al momento possibile ed attuabile per discuterne ed arrivarci. Sono fiduciosa che avremo una risposta positiva e che non sarà mai troppo tardi, perché ciò vorrà dire che tutti avremo compreso il significato della Vita.