Porsche, Mercedes e Trollinger. Sono questi i tre brend grazie ai quali Stoccarda è conosciuta nel mondo, simboli di eccellenza e perfezione qualitativa. Ma se i primi due si riferiscono al mondo dell’automobile, e non stupisce più di tanto vederli associati al capoluogo del Baden Württemberg, diverso è per l’ultimo, visto che si tratta di un vino, anzi del vino per antonomasia che, e qui lo stupore è lecito, va per la maggiore in quello che si può considerare uno dei comprensori vinicoli più importanti della Germania. Che la birra da queste parti sia ancella rispetto al vino lo si capisce non appena si scende dal treno alla stazione centrale. Usciti nel piazzale, a colpire sono i morbidi pendii delle colline circostanti che si spingono fin sui marciapiedi della circonvallazione, tutte coltivate a vite.
Vigne un po’ dappertutto, persino in centro, a fare da quinte decisamente inusuali ad una città nota nel mondo per le sue industrie automobilistiche. E che non si tratti di una trovata turistica lo certifica il fatto che ben 18 ettari di quei pendii sono di proprietà comunale, a salvaguardia cioè di quello che viene considerato – e non c’è alcuno stupore da quelle parti per questo – uno dei maggiori patrimoni cittadini. E che per consentire ai viticoltori di raggiungere agevolmente i campi sono stati realizzati oltre 400 Stäffele, ovvero rampe e sentieri che si snodano in centro per oltre venti chilometri.
D’altronde Porsche e Mercedes sono arrivate qui che l’uva era coltivata già da un millennio e mezzo: pare siano stati gli imperatori romani ad esportare le prime vigne, probabilmente vittime di nostalgia organolettica nonostante la birra lassù avessero imparato a farla bene fin da subito. Nel XVI secolo, e queste sono notizie storiche certe, Stoccarda costituiva uno dei capisaldi vitivinicoli del sacro Romano Impero con i suoi Lemberger, Spätburgunder e soprattutto Trollinger, il vero cavallo di battaglia dell’enologia “barbarica”. Era, ed è rimasto, un vino fruttato, leggero, dal colore rosso tenue, da gustare ed apprezzare in giovane età: un prodotto, in tutta sostanza, assai simile a quello realizzato in Trentino Alto Adige con il vitigno denominato Schiava. Se poi sia plausibile l’interpretazione etimologica che vuole il termine Trollinger una storpiatura di Tirolinger, ovvero originario del Tirolo, non si può dire. Tuttavia l’interpretazione è suggestiva, e nemmeno tanto improbabile. Negli anni recenti del boom si sono aggiunte poi varietà di maggior presa come Kerner, Silvaner, Müller Thurgau e Sauvignon Blanc, coltivate con rigore teutonico per realizzare vini che stanno mietendo allori su allori a tutte le manifestazioni enologiche tedesche, e non solo. L’influentissima guida gastronomica Gault Millau ha assegnato il premio di miglior vino tedesco del 2012 al Mönch Berthold della cantina cooperativa Weinmanufaktur Untertürkheim, mentre l’anno prima era toccato al Fellbach di Gerhard Aldinger e Rainer Schnaitmann, ma non c’è gara in cui i produttori di Stoccarda non portino a casa qualche importante riconoscimento.
Non a caso è proprio a Stoccarda che si svolge ogni anno a fine estate il festival enologico più importante di Germania, ovvero la Stuttgarter Weindorf, una kermesse come solo i tedeschi riescono ad organizzare, in cui, se si hanno energie e fegato sano, è possibile assaggiare oltre 500 vini tutti quanti made in Baden Württemberg. E poi, a ottobre, il Fellbach Festival. Inoltre, se si fosse mancata l’occasione, si può puntare alla Besenwirtschaften, tipica istituzione sveva grazie alla quale, per dodici settimane all’anno, grazie ad un decreto di Carlo Magno, i viticoltori possono trasformare le loro cantine in osterie e distribuire vino e pietanze tradizionali: le si riconosce dalla presenza di una scopa appoggiata sulla porta, segnale concordato per indicare che lì si mesce a volontà. Per dire che il vino, da quelle parti, è una delle componenti più significative della società, a livello economico certo (nel 2011 gli oltre 22mila ettari coltivati a vite nell’intera regione hanno permesso di produrre due milioni e mezzo di ettolitri di vino, una quantità simile a quella prodotta nella Rheinhessen, ovvero lungo il Reno, altra zona rinomata della Germania in cui il vino ha soppiantato la birra nelle abitudini degli appassionati), ma soprattutto culturale. Ecco perché l’amministrazione di Stoccarda ha perseguito con pervicacia il progetto di ristrutturazione del Museo della Vinicoltura (foto a fondo pagina), antica istituzione cittadina per qualche anno abbandonata a se stessa ma da pochi mesi (l’inaugurazione si è svolta nel settembre dello scorso anno) tornata ai fasti di un tempo. Ospitato nell’antica cantina di Uhlbach, ai piedi della collina chiamata Württemberg, ovviamente circondato da vigneti, il museo oggi riflette l’evoluzione dell’attività vitivinicola nella regione e permette di comprenderne i complessi passaggi attraverso modalità espositive moderne ed efficaci. Inutile aggiungere che la visita si conclude nella Vinothek, dove ogni mese è possibile degustare 16 diversi vini regionali ammirando col bicchiere in mano l’esposizione sottostante. Non bastasse, l’efficientissimo ufficio turistico cittadino organizza dei veri e propri tour guidati lungo la Strada del Vino del Baden Württemberg, una delle maggiori attrazioni turistiche della zona. Nessuna sorpresa rispetto a decine di altri percorsi simili, anche dalle nostre parti. Visitando qualche cantina però è possibile farsi un’idea precisa dei motivi per cui, anche in un terreno ostile com’era quello della vitivinicoltura germanica fino a qualche lustro fa (i tradizionalisti comunque non temano, visto che Stoccarda rimane da decenni sede della Cannstatter Volksfest, una delle feste della birra più note e rinomate del Paese), i tedeschi oggi si propongano come riferimenti sempre più illuminanti. Dalla nostra, è vero, abbiamo il clima e il territorio. Ma l’impressione, assaggiando qua e là, è che inizino a non essere più sufficienti. E che con i vini del Baden Württemberg i nostri palati dovranno prima o poi rassegnarsi a fare i conti.
Di Gianluca Ricci