BREVE INTRODUZIONE AL VITIGNO
Un corteo di frutti freschi, luminosi, profumatissimi e saporitissimi, ha illuminato le nostre tavole estive: pesche, nettarine, albicocche. Le stesse fragranze che esaltano il moscato, che lo rendono diretto, facile da riconoscere, godibilissimo, appagante. Questo vitigno delle feste e dei periodi festivi, quindi anche di bella stagione, o del suo prolungamento, del sole dolce di settembre, di maturità, di bellezza, di colore.
Perché il suo potenziale aromatico sia reso efficace, è necessaria una cura enologica delicatamente estrattiva, che lo esalti e lo custodisca, E che punti innanzitutto all’integrità, alla definizione. Base di partenza per un buon Moscato è la purezza. La prima regola è trattenere nel vino il meglio: i profumi devono essere cristallini, privi di sbavature. Poi viene il resto, e cioè una serie di variabili “gustolfattive” legate alle differenti espressioni “familiari”, alla tipologia di appartenenza, al terroir d’origine.
Un mondo complesso, fatto di varietà, sottovarietà, biotipi; una famiglia di origine mediterranea, numerosa e fertilissima, che nel tempo ha varcato i confini originari, radicandosi ovunque senza particolari problemi. Il muscat blanc à petits grains, apprezzato per la sua finezza; il moscato di Alessandia (o zibibbo), molto aromatico, speziato, quasi piccante; il moscato ottonel, celebre per la sua dolcezza, per la sua densità; l’esuberante moscato giallo (o moscato fior d’arancio), lo speziatissimo moscato di Scanzo (a bacca nera), il floreale moscato rosa (a bacca rosata).
Il Moscato è soprattutto dolce, spesso dolcissimo. Più rare le versioni secche, che tuttavia possono essere eccellenti. Dona il meglio del proprio repertorio proprio quando i residui zuccherini si fanno generosi. In Italia il Moscato d’Asti (muscat blanc à petits grains e che in seguito vedremo in dettaglio) e il Moscato di Pantelleria (moscato di Alessandria o Zibibbo) rappresentano le denominazioni più note. Ma il moscato è diffuso ovunque nella Penisola. Per questo i territori e le denominazioni eccellenti sono numerose, spesso non opportunamente conosciute: Chambave in Valle d’Aosta (muscat à petits grains), i Colli Euganei in Veneto (con il moscato giallo), la Valcalepio in Lombardia (moscato di Scanzo), il Circeo nel Lazio (moscato di Terracina), l’Alto Adige (per il moscato rosa e il moscato giallo). Senza dimenticare la Toscana, la Puglia, la Sardegna, la Calabria, la Basilicata. In Europa la Francia meridionale e l’Austria. Nel mondo il Sudafrica, l’Australia, gli Stati Uniti d’America.
UNA MERITATA PERORAZIONE IN FAVORE DEL MOSCATO D’ASTI
Nel “palato” di noi degustatori c’è sempre il vino ideale. Un vino ideale nel senso più consolatorio del termine. E non si tratta del vino più grande: niente coccole dai vini più sofisticati, semmai passioni travolgenti e rapporti controversi. Il vino ideale è, se mai, quello che ti fa godere quando ne hai bisogno: è quello che si concede, ti rincuora, ti accontenta. Al di la di tutto.
Il Moscato d’Asti è il mio vino ideale. Una vera risorsa dell’enologia italiana troppo spesso adombrata dal fratello maggiore (un industriale che si chiama Asti che gira tra le mani di modelle mozzafiato infilandosi solo in feste glamour senza senso), oppure troppo spesso riposta in un cassetto che, ahimè, si apre solo a Natale e Pasqua o giù di lì.
Che gioia, invece, la quotidianità della sua spuma, bianchissima e soffice, la grana sottile della sua carbonica, l’articolazione vivace e pura dei suoi profumi, l’elastica dolcezza della sua struttura, il ricamo sartoriale della sua persistenza. Nonostante l’enologia abbia un ruolo fondamentale nella sua genesi, è un vero vino artigiano: dietro c’è un terroir unico per storia e consuetudini, vigne superbe e vignaioli eccellenti
A volte i grandi vini, quelli più osannati, hanno un approccio organolettico difficoltoso. Sono famosi gli alti e bassi di quelli molto reputati, l’espressione minerale di quelli più “sinceri” che per il tecnico è eccellenza, ma per la fisiologia del palato è devianza, complicanza. I vini più aristocratici, i vini d’essai, quelli che infervorano gli spiriti dei critici più autorevoli, sono lenti, spesso non completamente a fuoco nei profumi, contratti, complessi e dunque complicati durante tutto lo sviluppo gustativo. Tutte le volte occorre rodare il palato, adattarlo a tipologie eccezionali sotto ogni punto di vista. Per quei vini c’è bisogno di preparazione, di studio, di attitudine perché non di rado sovvertono gli equilibri e la fisiologia del gusto elementare. Non è più sufficiente l’istinto primordiale, il giudizio epidermico del buono o cattivo, e nemmeno il talento puro, che invece potrebbe bastare a un naso profumiere. Si entra in un meccanismo cerebrale che ti allontana dall’idea di bocca e di “pancia” e che ti spinge nel virtuoso mondo del critico “con la penna rossa”. Ecco perché ogni volta che ho bisogno di sentirmi “a casa” mi rifugio in una buona bottiglia di Moscato d’Asti. E’ il vino del buon ricordo, diverso e curioso, che ti fa star bene. Non pretendi lo spessore, da lui, ma ti nutri della sua esuberanza: lo bevi con la merenda in giardino, con la frutta in spiaggia, con gli amici in un comodo dopocena. E’ il re della dolcezza senza ambiguità, è un efficace vino estivo che ha bisogno di poco: un buon calice (un modello “Chardonnay” andrà benissimo), una temperatura adeguata (intorno agli 8 gradi, non di più) e sempre l’ultima annata in commercio (quelli del 2007 imbottigliati in marzo sono il meglio che ti possa capitare). Gli dai del “tu” senza formalismi, evitando inutili preliminari: qui è l’inclinazione al godimento che comanda. E lui ti risponde con altrettanta schiettezza, da vero fuoriclasse del brio, della spumosità, della fragranza. Peccato che sempre di più lo “costringiamo” al panettone e alla colomba. Un’ingiustizia enograstronomica alla quale il mio istinto vuol porre rimedio.
“LE FABULEUX DESTIN” DU MOSCATO D’ASTI
Il miglior Moscato d’Asti è un vino bianco (paglierino/verdolino lucido, luminoso), molto dolce, certo, ma di un dolce intenso e succoso. E’ caratterizzato da una vena aromatica spiccata (di muschio, di nettarine, di fiori gialli, di agrumi, di salvia), dotato di una spuma cremosa ma evanescente (non come quella di una Trappista per intendersi) e di un perlage fine, lento ma continuo nello sviluppo. La gradazione alcolica è bassa (da 4.5 al 5,5 gradi), l’anidride carbonica essenziale ma sufficiente ad alzare i ritmi dello sviluppo al palato: aiuta nella penetrazione e nell’articolazione, sorregge insieme all’acidità il peso degli zuccheri in centro bocca, e sempre con l’acidità (e un velo di sapidità) migliora le prestazioni di “spinta” in chiusura di bocca. Una buona combinazione tra acidità, zuccheri e carbonica contribuisce anche al contrasto gustativo, che in questa tipologia è determinante: la dolcezza senza l’alcol rischia di annoiare e appiattire, mentre qui si fa al contempo luminosa e cremosa.
I migliori sono grassi, sferici, coprenti, eppure vivi ed elastici, mai pesanti, mai monotoni. La chiusura e la persistenza possono confermarti la cifra del suo talento. Se non chiude zuccheroso e caramelloso, oppure acido e metallico, oppure molle, stanco, ma al contrario lo senti reattivo e succoso, allora sei davanti a un Moscato d’Asti d’autore. Il “dopobocca” sarà una miscellanea aromatica senza precedenti, scie aromatiche definite e geometriche stimoleranno qualsiasi poro dei tuoi sensi: aromatici, sapidi, emozionali. Quando un Moscato d’Asti è ben interpretato appare puro, cristallino, intatto: è uva fatta vino.
In questa tipologia lo si produce da sempre (è lui il papà dell’Asti, non viceversa), ma solo grazie all’avvento della tecnologia nelle piccole cantine (autoclavi, filtri sotto vuoto e frigoriferi industriali sono strumenti indispensabili per una produzione di qualità) tra la metà degli anni ’70 e i primi anni ’80 del secolo scorso si riscoprirono le sue virtù. Virtù per molti anni schiacciate dal successo dell’ Asti spumante (stesso territorio, stessa denominazione, per certi versi stessa razza, sono con qualche deviazione stilistica e tipologica non marginale).
Il vitigno moscato predilige le colline intorno ai 300/400 metri s.l.m. di natura marnoso-calcarea. Si trova a suo agio anche su suoli più dotate di sabbia e di arenarie, mentre nei terreni più profondamente argillosi perde gran parte delle sue scorte aromatiche, diluendole in vini più grossi, meno fini. Ad altitudini superiori ai 400 metri s.l.m. gioca un ruolo fondamentale l’esposizione che in questi casi deve essere a pieno sud. È una varietà di seconda epoca, matura cioè verso la metà di settembre, vigoroso e generoso dal punto di vista produttivo. Occorre dunque non sacrificarlo troppo nella potatura: da una parte lo devi lasciare sfogare dal punto di vista vegetativo, dall’altro devi gestire attentamente la quantità del frutto. I comuni più legati al Moscato d’Asti confinano con le Langhe del Nebbiolo. Si parte da Castagnole Lanze (a pochi passi da Neive), per approdare progressivamente nel cuore dell’area: Neviglie, Trezzo Tinella, Castiglione Tinella, Camo, Mango, Santo Stefano Belbo, Calosso. Per tacere di Canelli, ancora oggi vera e propria bandiera del moscato nel mondo (uno dei tanti pseudonimi del vitigno è proprio Moscato di Canelli). E’ in questo vasto areale, tra l’altro “favoloso” per via di una campagna d’altri tempi (leggi, se puoi, i racconti del Pavese e ti renderai conto che l’intestino delle colline è rimasto intatto) che si trovano gli interpreti d’eccezione – i più appassionati, i più coraggiosi – dell’intera denominazione.
ANNATA 2007, I MIEI MOSCATO D’ASTI PREFERITI
Quella del 2007 è stata una buona vendemmia anche per il Moscato d’Asti. Un millesimo – peraltro eccellente in modo trasversale un po’ in tutto il Piemonte vitivinicolo – che ha fornito zuccheri, acidità e buon potenziale aromatico. A mio avviso era dal 2004 che non si ottenevano vini così completi.
Cristallino e radioso il Piemonte Moscato d’Autunno 2007 di Paolo Saracco forse il più grande interprete – per continuità e sostanza – della tipologia, la cui sede è nel centro del villaggio di Castiglione Tinella. Impressionante è la sua capacità di restituirti l’uva di partenza, autentica è la sua stoffa, coinvolgente la sua flessibilità, la sua succosità, la sua dolcezza.
Incantevole è la prova del Moscato d’Asti 2007 di Aldo Vajra a Barolo. Vignaiolo immenso, mostra una sensibilità eccezionale per tutte le varietà a disposizione: Nebbiolo, Dolcetto, Riesling e Moscato, appunto. Un Moscato d’Asti (le uve provengono da Mango) di misura e di temperamento, denso e brillante, di purezza memorabile.
Superbo il Moscato d’Asti 2007 elaborato da Gianni Doglia – un outsider che oggi merita un posto in prima fila tra i “moscatisti” d’autore. Andate a trovarlo a Castagnole Lanze, saprà sorprendervi anche con dei rossi ambiziosi. Il suo Moscato d’Asti possiede una densità zuccherina monumentale, ma anche grazia, tensione e sorprendenti capacità evolutive. Stupisce per via di una fisicità notevole eppure mai ingombrante, per un’aromaticità infiltrante, per una persistenza ricamata.
Eleganza, succosità e vivezza sono i tratti salienti che emergono dall’assaggio del Moscato d’Asti Ciombi 2007 della Tenuta Il Falchetto di Santo Stefano Belbo. Spinge e copre al palato con la giusta grinta, ne apprezzi la pienezza e il contrasto, la dolcezza tonica ed elastica dei migliori vini della denominazione.
Impossibile, poi, dimenticare la dolcezza cremosa del Moscato d’Asti Bel Piano 2007 di Cascina Fonda e quella più incisiva e vibrante del Moscato d’Asti Lumine 2007 di Cà d’Gal, due straordinarie aziende familiari nel cuore vitato della denominazione: la prima ha sede a Mango, la seconda a Santo Stefano Belbo.
Impossibile tacere del talento di due grandi “moscatisti” di Castiglione Tinella. Da una parte il vecchio saggio Romano Dogliotti, uno di quelli che alla denominazione ha dato dignità, continuità e genio. Ottima è l’ultima versione del Moscato d’Asti La Galeisa. Un 2007 dolce, sinuoso, dinamico. Un vero classico. Dall’altra un giovane veterano, uno dei più precoci produttori della zona, un ottimo vignaiolo. Si chiama Stefano Perrone: il suo Moscato d’Asti Sourgal 2007 esprime traiettorie aromatiche tipiche, uno sviluppo naturale e una persistenza tanto sottile quanto interminabile.