all’Istituto Agrario di San Michele all’Adige
Che nel mondo dell’enologia italiana ci sia bisogno di una maggiore specializzazione e di professionalità più specifiche è noto da tempo. Che però si fatichi a individuare la strada da percorrere per raggiungere questo obiettivo lo è altrettanto. Al punto che la spinta propositiva si è lentamente esaurita, fino a rarefarsi in qualche dotto convegno o poco altro.
Una risposta chiara è però arrivata dall’Istituto Agrario di San Michele all’Adige, in Trentino, da sempre assai attento ai segnali provenienti dal mondo del vino, pronto più di altri a intercettare i malumori e a trasformarli in stimoli positivi. Come quando, un anno fa esatto, ha provato a mettere in piedi un master destinato a formare “maestri di spumante”: nelle scorse settimane le quindici “cavie”, superato lo scoglio delle 750 ore di formazione, si sono brillantemente diplomate, diventando le prime figure istituzionalmente riconosciute a potersi fregiare di una specializzazione che, spesa sul mercato, dovrebbe permettere loro di trovare rapidamente una sistemazione e alle aziende delle bollicine di avvalersi delle competenze di specialisti della fermentazione. «L’obiettivo – spiega Massimo Bertamini, responsabile del settore della formazione post secondaria della Fondazione Edmund Mach – era proprio questo, offrire l’opportunità di una specializzazione tecnica di alto livello in modo da formare figure professionali in grado di confrontarsi con competenza col settore della spumantizzazione. Un settore – prosegue Bertamini – che al di là della flessione legata alla crisi generale di questi ultimi due anni sta vivendo una fase di sviluppo straordinaria. Sviluppo che, in un’ottica di globalizzazione dei mercati, deve essere governato da veri e propri professionisti, come accade ormai da qualche tempo in Francia».
Uno sguardo altrove
È infatti Oltralpe che i responsabili dell’istituto trentino sono andati a curiosare, scoprendo una realtà che ancora una volta relega il nostro Paese nelle posizioni di rincalzo. Da anni l’Università di Bordeaux organizza corsi di specializzazione post-universitari destinati alle figure chiave del mondo del vino: le tecniche della produzione di bollicine sopra tutte, ma non solo. Si è fatta largo l’idea che la concorrenza dei prodotti provenienti dal Nuovo Mondo possa essere arginata solo puntando alla qualità estrema, raggiungibile soltanto attraverso un processo formativo di altrettanto elevata qualità. Presto nei vigneti e nelle cantine francesi si aggireranno solo tecnici specializzati, in grado di valorizzare gli acini d’uva meglio di chiunque altro. Un processo inevitabile, in una società ormai dominata da una filosofia produttiva che si incardina su questi principi.
Ed è stato lì che sono andati ad attingere i responsabili dell’Istituto Agrario di San Michele per configurare un processo formativo che non vuole limitarsi, nonostante gli enormi sforzi profusi, al mondo degli spumanti, ma coinvolgere tutte le specificità più significative del mondo del vino italiano. Terminata la faticosa esperienza con le bollicine, ora a San Michele le energie vengono investite sui vini del territorio: 550 ore di didattica frontale in collaborazione con gli esperti della Facoltà di Agraria dell’Università di Milano, più 200 di stage da effettuare nelle aziende convenzionate. Il tutto per sfornare tecnici specializzati nella produzione di uve autoctone specifiche e nella loro trasformazione: delle vere e proprie sentinelle in grado di tutelare al massimo grado vini oggi destinati all’oblio o confinati tra le produzioni di nicchia delle cantine che se lo possono permettere. Sempre in ossequio al principio che la qualità non può prescindere dalla formazione specifica di alto livello.
Nuovi corsi molto specifici
«Dal campo abbiamo percepito l’esigenza di valorizzare le specificità, perché, probabilmente, oggi non lo facciamo così bene come sarebbe necessario. Le nuove norme europee e italiane sul vino, Ocm e la recente modifica alla legge sulle Doc, ci obbligano a reagire in tal senso».
Ma in Trentino si punta assai più in alto: «Non nascondiamo i nostri futuri obiettivi – conferma Bertamini – che sono quelli, compatibilmente con energie e investimenti, di diventare un punto di riferimento formativo per l’enologia italiana come lo sono per quella francese l’Università di Bordeaux e quella di Montpellier. Entro l’anno speriamo di dare vita ad altri corsi, in questo caso assai più specifici e settoriali, concentrati su moduli di contesto quali la microbiologia, la filtrazione, i vitigni: un’idea che non è comparsa dalla sera alla mattina ma è stata in qualche modo sollecitata dallo stesso mondo del vino, a caccia di specializzazioni. E noi ci crediamo al punto che abbiamo intenzione di ristrutturare il nostro centro per adattarlo a queste nuove esigenze, con la realizzazione di laboratori scientificamente all’avanguardia, per esempio, per l’analisi sensoriale».
Il futuro, insomma, è arrivato. E probabilmente a breve dovremo rimuovere dal nostro immaginario le figure campestri della tradizione iconografica – il contadino col cappello di paglia sul suo trattore sferragliante per i filari – e sostituirle con altre, assai più asettiche e professionali, magari con tanto di camice bianco. Perché per il romanticismo, ormai, l’ora pare segnata.