
Lo Champagne era l’unico vino che le donne potevano condividere con gli uomini, ed è forse per questo che oggi, tre secoli dopo l’esplosione delle prime bollicine, le donne continuano a decretarne il successo ; lo Champagne è, ancor oggi, il loro vino preferito, quello che le mette di buon umore e stravolge i loro sensi.
Ogni anno si vendono più di 330 milioni di bottiglie, di cui quasi il 65% è acquistato da donne.
Fin dal XVIII sec., le Signore partecipano alla produzione di questo vino che, con il loro aiuto, si trasforma in una sinfonia di aromi e sapori, infatti molto del suo successo lo deve proprio alle donne che, da sempre, hanno per prime apprezzato la finezza delle bollicine, hanno dato il loro seno (la leggenda vuole sia stata Madame Pompadour) per fissare la forma del calice perfetto, sono anche intervenute direttamente nella produzione, soprattutto… le vedove!
Barbara Nicoletta Ponsardin nel 1799 sposa Francois Clicquot, proprietario di vigneti e banchiere.
Ma nel 1805 Madame è già vedova e, nonostante le varie sollecitazioni esterne, è coraggiosa e non vende l’azienda; non solo, ma riesce anche ad incrementarne gli affari, superando con coraggio anche i saccheggi seguiti alla disfatta di Waterloo.
Quando le truppe alleate vittoriose contro Napoleone fanno razzia nelle sue cantine, ella imperturbabile dichiara: “Lasciate pure che bevano, capiranno quanto è buono e mi pagheranno più care le prossime bottiglie!”
E’ stata la prima ad inventare un vino rosè, mischiando vino bianco a vino rosso, la prima a creare uno Champagne millesimato, la prima a provare a spedire bottiglie di Champagne a San Pietroburgo.
Di 10.000 bottiglie ne rimarranno solo la metà (le altre si rompono o vedono saltare i tappi), ma il resto arriverà a destinazione alla Corte dello Zar, in quel momento la più importante d’Europa.
Il successo del vino di madame fu eclatante, lo Champagne entrò nei menu ufficiali e da quel momento in poi si affermò anche in tutti le altre corti d’Europa.
La Grande Dame (così chiamata perchè divenuta assai corpulenta e sempre vestita di nero), dirigerà l’Azienda fino all’età di 88 anni (1866).
Ma un’altra vedova intanto divenne ancora più celebre: Louise Mellin sposò nel 1836 Louis Pommery, proprietario di una piccola azienda vinicola di champenoise.
Qualche anno dopo, anche lei rimasta vedova e, fino ad allora, lontana dagli affari, decise di dedicare la propria vita all’Azienda, rivelando subito un fiuto formidabile. Ella, in particolare, avvertì una nuova esigenza che si andava sempre più manifestando: lo Champagne era vino che alle Corti europee si desiderava bere sempre di più a tutto pasto, ma il gusto dolce di quei tempi mal si abbinava alle pietanze salate.
Ciò avveniva in parte perché la tecnologia del tempo non permetteva un compiuto controllo della fermentazione alcolica, in parte perché il gusto dei consumatori tendeva ad una maggiore morbidezza, rispetto all’aggressività del gusto secco.
Ma andiamo con ordine: i nonni (o anche i bisnonni) dei ‘viveurs’ parigini della fine ottocento, nelle notti trascorse al Moulin Rouge, certamente applaudivano il nuovo ballo dell’epoca, il Can Can, brindando con Champagne dolce, infatti a quel tempo era in voga il metodo di aggiungere molto altro zucchero alle bottiglie, dopo l’espulsione dei sedimenti della seconda fermentazione.
Furono i commercianti di vino inglesi ad iniziare a richiedere alle case produttrici di Champagne un vino più secco, che potesse essere bevuto a pasto ed in diverse altre occasioni.
La prima casa vinicola a spedire in Inghilterra una partita di Champagne secco fu la Perier-Jouet, che nel 1848 inviò a Londra un piccolo quantitativo di tale vino, che però non ebbe immediato successo, tanto che la Maison ne dismise la produzione e proseguì a fornire Champagne dolce.
Fu dunque M.me Melin ved. Pomery, nel 1874, a lanciare un nuovo Champagne dal gusto dry (secco), che in breve tempo venne chiamato “brut”, in quanto ricordava lo “stato bruto” dei vini giacenti in cantina prima di essere fissati dal liqueur d’expedition.
Ella iniziò a proporre tale gusto prima alla Francia, poi ai principali Paesi importatori di Champagne (Inghilterra e Stati Uniti) avvalendosi di una mossa di marketing straordinaria: chiamò il suo Champagne dal ‘Gout Americain’, richiamando così alla memoria il sogno americano in voga a quei tempi.
Il successo fu improvviso e definitivo, tanto enorme che, per alloggiare la quantità crescente di bottiglie da immagazzinare, la Vedova perforò la collina di Reims creando diciotto chilometri di cantine dalle bellissime strutture in stile gotico, sopra le quali fece approntare un magnifico parco: da questa sua nuova e grande residenza non si dovevano vedere che alberi, solo in un tratto il bosco si apriva, in un piccolo varco, per inquadrare la Cattedrale di Reims.
Da allora il gusto dello Champagne si diresse verso il secco e tutti i produttori si adeguarono via via a tale novità: oggi infatti trovare in commercio Champagne dolce è assai raro.
Nel 1837 viene fondata da Henry Marc De Venoge la omonima Maison; al decesso del nipote Gaetan De Venoge nel 1898 subentra nella conduzione aziendale la sua vedova Marie Papelart, coadiuvata dal genero, il Marchese Adrien De Mun.
Quest’ultimo, uomo di grande fascino e di nobile retaggio, lancia il marchio De Venoge nell’alta società Parigina ed annovera tra i clienti fissi Sarah Bernhardt, la Contessa De Sègur, la Principessa di Ligne ecc.
L’innovativa tradizione aziendale di apporre sulle bottiglie etichette colorate, venne continuata ed arricchita dal un gusto tipicamente femminile di Marie; Ella fa nascere così, anche in questo caso con primato assoluto, in abbinamento ai fantasiosi disegni delle etichette, i nomi delle varie cuvèe, alcune delle quali sono ancor oggi famose.
La Maison De Venoge, grazie al lavoro di Marie e di Adrien, diventa una delle più esclusive e ricercate marche, facendo parte di quel ristrettissimo numero di Negociant che potevano vantarsi di vendere oltre un milione di bottiglie all’anno.
Anche “Lili” Bollinger, vedova di Jaques, regge l’azienda dal 1941 al ‘71; di lei si narra che durante l’occupazione nazista, rivolgendosi ai Tedeschi che requisivano le sue bottiglie, disse: “Se bevete tutto ora, con cosa festeggerete poi la vittoria?”… e ancora alla domanda: “Ma quando madame, secondo lei, si dovrebbe bere lo Champagne?” Rispondeva: “Io lo bevo quando sono contenta, o quando sono triste ; talvolta quando mi sento sola… quando ho compagnia lo considero obbligatorio. Lo sorseggio quando non ho fame e lo bevo quando ne ho… altrimenti non lo tocco, a meno che non abbia sete!”