La storia di Antonio Ferrari non è quella di un uomo, figlio di contadini, svezzato in un paese dalla radicata tradizione vinicola. La storia di Antonio Ferrari, nato nel 1913 aGalliate, in provincia di Novara – e sempre vissuto, fino alla morte, nel 2003, in quella terra di confine tra Piemonte e Lombardia – è la storia di un uomo al quale la natura ha donato una grande intelligenza, un grandissimo intuito e uno splendido palato. E’ la storia di un uomo, figlio di operai, completamente autodidatta in campo enologico, che ha dedicato la vita a fare vini e a commerciarli, come un Ulisse attratto da una personale sirena: la Puglia. Perchè alla fine degli anni ’30, quando intraprese l’attività, e anche per molti anni ancora, il mosto pugliese si usava in Piemonte per tagliare il vino locale, per dargli nerbo e sale, come diceva Antonio. Solo che lui non voleva tagliare nessun vino, ma vincere una scommessa: dimostrare a tutti che da quelle uve meravigliose del sud, se sapientemente usate, poteva sgorgare un vino maestoso.
Antonio Ferrari era un uomo generoso, benvoluto da tutti, che amava girare in bici, nuotare, suonare il violino. Amava Teresina, la moglie oggi splendida ottantasettenne, e la sua cucina. Amava le vigne centenarie, quelle che affondano le radici nel ventre sapido della terra. A quel tempo avrebbe potuto farsi un patrimonio, perchè i vigneti costavano poche lire, ma di terra non ne ha mai voluta comprare. Anche perchè un terreno avrebbe significato ancorarsi ad un vigneto, che per quanto eccezionale, poteva in certe annate dare uve inespresse.
Lui invece, rabdomante, se ne andava in giro a scegliere costantemente l’uva migliore. Aveva abituato i contadini che avevano le vigne piú belle, già allora, a diradare i grappoli e a non concimare. A loro compensava la resa inferiore pagando anche il doppio, e in contanti, e i contadini avevano il piacere di dare ad Antonio il migliore frutto delle loro vigne.
E’ la storia di un uomo che vendeva i suoi vini alle famiglie di Galliate, alla locale Casa del Popolo, a prezzi estremamente popolari: rosati vecchi di vent’anni al prezzo di vino da tavola. E’ la storia di un idealista che, nella sua lunga carriera vinicola, ha scelto, con conoscenza ed intuizione, quattro vini per farli invecchiare: dai trenta ai sessanta anni . Primitivi tra i primitivi. Erano la sua scommessa, il suo sogno, la sua solitudine.
Un artigiano può dominare la tecnica, replicare l’esistente, ma la sua opera fatica a sfiorare l’anima, ad emozionare. Antonio Ferrari, con metodo induttivo, ha appreso le tecniche, senza farsi dominare, e ha cercato, riuscendoci, di trasmettere al vino la pienezza simbolica del suo essere.
Per questo i suoi vini emozionano. Conservano, nel colore, nel panorama di sapori, nella misticanza di aromi, l’intimità profonda dell’artefice e la bellezza antica, primitiva, della terra d’origine. Quasi si specchiano, nel mare rubino dei suoi primitivi, le onde dello Ionio e le vigne affacciate sul mare.
Come si avverte, in questi vini così vivi, generosi e passionali, la generosità di Antonio e le sue passioni forti, schiette e vive. Questo tesoro, ora, è nelle mani dei suoi tre figli, di Gianangela, in particolare, che col marito Rosario distribuisce, lungo le strade del piacere, bottiglia per bottiglia, l’eredità del padre. Fino a quando non ce ne sarà piú.
Intervista a Gianangela Ferrari e Rosario Meo
Come nasce l’attività di Antonio Ferrari?
G.F. Ha iniziato ad appassionarsi ai vini a diciassette anni, frequentando un commerciante di vini di Galliate. A vent’anni ha fatto il suo primo viaggio in Puglia e le prime uve le ha pigiate nel 1938. Andava nelle vigne, assaggiava un acino e faceva la gradazione del mosto con una approssimazione ottima . Aveva un palato incredibile. Non ha mai toccato una sigaretta per non rovinarlo. Non cercava i bei grappoli, le foglie verdi. Sceglieva i grappolini miseri, dagli acini rinsecchiti e la foglia gialla. Sceglieva le uve filare per filare, personalmente. Mio padre si fidava di tutti su tutto, tranne che nel vino. Era proibitivo stargli vicino perchè non aveva la capacità di spiegare quello che faceva. Lui dava ordini. E quando gli si chiedeva il motivo, diceva: “ Lo so io e basta” . Ma ha lasciato un grande ricordo nelle persone che hanno lavorato con lui. “Che persona, nessuno come lui conosceva le uve”. Mio papà non ha fatto mai un contratto scritto, la sua firma era la stretta di mano.
La storia della Solaria Ionica 1959 sembra un romanzo!
G.F. La Solaria è la nostra reginetta, è proprio un vino che non ne esiste eguale. E’ un Torricella del 1959 fatto con uve sovramature dei vigneti del Barone Bardoscia, che digradavano centenari verso il mar Ionio, vendemmiate ai primi di ottobre, al termine di un estate che in seguito si è saputa la piú calda del secolo. La notte precedente la vendemmia sembrava che cambiasse il tempo. Mio padre era terrorizzato: dormì nella Fiat 1100 tra le vigne e fece preparare le torce perchè se il tempo fosse peggiorato, avrebbe fatto fare la vendemmia di corsa, nella notte. Invece il giorno seguente fu torrido, spazzato da un vento caldo. Dopo la pigiatura, fatta a Galliate, disse: “Questo vino qui lo blocco per dieci anni, e vedrete cosa ne esce!”. Durante la fermentazione la Solaria era un vulcano, e così mio padre. Non andava a dormire, la controllava tutte le notti, metteva sacchi bagnati sopra la vasca per abbassare il calore di quel mosto infuocato. E’ l’unico vino che ha lasciato nel legno, in vecchie e grandi botti per dieci anni , perchè odiava le barrique. “La barrique dà una costituzione al vino che di suo non ha”. Quando lo ha travasato nella vasca di cemento, il vino in eccedenza lo ha messo nelle damigiane, e lo ha poi utilizzato per fare i rabbocchi, perchè mai li avrebbe fatti con il primitivo dell’anno. Nel 1969, dopo aver brevettato l’etichetta con la quale adesso è in commercio, assaggia il vino e dice: “Questo vino dura ancora dieci anni!”. Ed è andata avanti così, di dieci anni in dieci anni. Nel 1994, per il matrimonio di nostra figlia, ci ha fatto la sorpresa: hanno servito la Solaria a metà pranzo, accompagnato da una fetta di gorgonzola piccante con una colata di miele e mezza pera cotta ai vapori del vino. Lo ha imbottigliato per lei e poi lo ha utilizzato anche per il matrimonio della seconda figlia. Ma di venderlo, neanche a parlarne.
Se non voleva vendere i vini, chi ha scoperto Antonio Ferrari?
G.F. Siamo stati noi, io e mio marito, a cercare di fare conoscere mio padre, a sua insaputa. Nel 1997 abbiamo telefonato al Gambero Rosso e raccontato a Marco Sabellico la storia della Solaria.
Gli abbiamo mandato un campione. Dopo pochi giorni, Sabellico chiama a casa e mi dice: “Non ho parole per ringraziarla di aver pensato a me. Con la Solaria ho provato la piú grande emozione nell’assaggiare un vino”. Nello stesso periodo avevo scoperto Luigi Veronelli. Con lui ho fissato un appuntamento, gli ho portato una bottiglia di ’59, in seguito una di ’54 e una del ’49. Ci amava; negli ultimi tempi, quando la sua vista era molto diminuita , mi riconosceva dalla voce e mi abbracciava dicendo: “Ah, Solaria Ionica, salve!”.
Il primo vino che Antonio mise a meditare fu nel ’49.
R.M. E’ un vino prodotto con uve primitivo di Torricella, di una finezza straordinaria. Antonio, passando accanto alla vasca, diceva: “Questo vino è troppo fine, non so se lo capiscono”. Ha un’acidità volatile di 0.61, come un vino giovane. È incredibile come sia ancora fresco e vivo. Il suo gusto ha un andamento sinusoidale: sboccia immediato, poi scende, sembra che valga meno, e poi si rialza ed esplode nuovamente. Paolo Teverini lo serve con un formaggio Bitto di dieci anni. Abitualmente suggeriamo di degustare i nostri vini a dieci-dodici gradi, in modo tale che poi riscaldandosi, arrivando a temperatura ambiente, si avverte la trasformazione, la metamorfosi. Non sono vini stabilizzati, irrigiditi in un gusto ben preciso. Sono vini vivi, in continua evoluzione.
Poi è l’ora del Barone 54.
R.M. Al contrario del ’49, è un vino aggressivo, che si accompagna perfettamente a carni speziate. Ha un forte aroma di caffè tostato. Antonio diceva: “Stappatemi una bottiglia di caffè”. Anche se l’alcool si percepisce poco, come per gli altri vini, ha quasi sedici gradi. I grandi vini hanno questa caratteristica: l’alcool non si evidenzia subito come accade per i sapori.
Il frutto dell’estate piú calda, il Solaria Ionica 1959
G.F. Mio padre lo diceva a tutti: “Con questo vino vincerò una medaglia d’oro!”. Al County Fair di Los Angeles ne ha vinte tre . E’ un vino irripetibile, dolce in bocca e secco in gola, meraviglioso con il cioccolato amaro, ma anche in abbinamento al fois gras e il rochefort.
Arriviamo all’ultima annata selezionata, la Canestra ’78
R.M. E’ un vino DOC prodotto a Salice Salentino, dove Antonio aveva una cantina che ancora oggi possediamo. Lo abbiamo portato a Galliate circa 10 anni fa e posto in una vasca di cemento. Ha un sapore persistente, qualcuno lo ha paragonata ad un vecchio madeira. Si abbina bene con un formaggio grana stagionato e può essere utilizzato come aperitivo, ma anche a tutto pasto.
Come distribuite i vostri vini?
G.F. Lo diamo soprattutto ai ristoranti, perchè il ristoratore lo assaggia e lo sa consigliare direttamente a chi lo beve, abbinandolo ad un piatto. Coi ristoranti abbiamo un rapporto diretto, in molti casi di amicizia. L’enoteca è un discorso già diverso. In Italia lo distribuiamo personalmente, mentre per l’estero ci affidiamo a degli importatori.
Quali abbinamenti hanno proposto gli chef?
G.F. Cerchiamo ristoratori che abbiano grande passione per il loro lavoro, originalità. Con i nostri vini particolari, hanno ottenuto abbinamenti sorprendenti, ma efficaci. Ezio Gritti, chef dell’Osteria di Via Solata a Bergamo, propome una scaloppa di fois gras in un ristretto di Solaria. Nel suo ristorante ognuno dei nostri quattro vini ha un suo bicchiere, nel quale viene servito. Lo stesso vino, in bicchiere diversi, ha risultati diversi. Al ristorante Mistral del Grand Hotel Villa Serpelloni di Bellagio, lo chef Ettore Bocchia, seguace della cucina molecolare di Adrian Ferrà, ci ha invitato ad un pranzo il cui menú è stato fatto proprio per accompagnare i nostri vini. Da Don Alfonso, a Sant’Agata sui Due Golfi, abbinano la Solaria a carni di piccione in sugo agrodolce. Chiaramente i nostri vini sono meglio abbinabili con carni, formaggi o dolci. Ma non mancano legami con il pesce. Uliassi, a Senigallia, ci ha proposto, in abbinamento col ’54, capesante e tartufo. Mentre al Sant’Abbondio di Lugano, uno dei migliori ristoranti del Canton Ticino, nella sala fumatori abbinano addirittura la Solaria ad un buon sigaro!
Come sono nati i nomi dei vini?
G.F. Dal giorno che ha pigiato la Solaria, ogni domenica a tavola mio padre chiedeva agli ospiti di suggerire un nome buono per il suo vino, che ricordasse il mar Ionio e il caldo di quell’estate, finchè un giorno, un professore dice: “E lo chiami Solaria Ionica”. Mio padre brevettò subito il nome e per l’etichetta si rivolse ad famoso incisore, che ha le sue incisioni nella Basilica di San Gaudenzio a Novara. Il ’49 mio papà lo chiamava Torricella. Quando è uscita la legge delle DOC, mio padre ha voluto mantenere la dicitura Rosso da Tavola, perchè erano vini nati così. Per distinguerlo, abbiamo accolto il consiglio di Paolo Teverini, che ci ha suggerito di dedicarlo a nostro padre. “Barone54” era come lo segnava con il gesso mio padre sulla vasca. Il barone, ovviamente, era il Barone Bardoscia. La Canestra, infine, è il nome della nostra cantina a Salice Salentino.
E al termine delle bottiglie?
G.F. Finiti questi vini, finirà tutto. D’altronde quelle vigne così fortunate non ci sono piú e mio padre non ha allievi. Abbiamo però ancora un buon numero di bottiglie, soprattutto di ’49 e ’78. Di Solaria ne rimangono 12.000, mentre il ’54 scarseggia, con sole 4000 bottiglie. Anche questa è una peculiarità della storia di mio padre!
LE SCHEDE DEI VINI
Il 49 di Antonio Ferrari
Nasce da uve Primitivo nella zona di Torricella
Anno di produzione: 1949
Grado Alcolico: 14.62% vol.
Sensazioni: Ha 59 anni di vita ed ancora così vivo, vispo, schietto, voglioso di farsi ascoltare…pulito, viscoso con glicerina ancora morbida…inebriante, suadente, intrigante, fine e aggressivo al tempo stesso…tamarindo, tarassaco, vaniglia, cacao, cioccolato, goudron e catrame caldo, spezie dolci e aromi balsamici si susseguono e rincorrono in frenetica ascesa per lasciare spazio, ad un tratto, al ricordo limpido ed inequivocabile del profumo delle ciliege da noi chiamate “duroni”. (Ezio Gritti)
Il Barone 54 – Solaria n° 5
Nasce da uve Primitivo nella zona di Torricella
Anno di produzione: 1954
Grado Alcolico: 15.50% vol.
Testimonianza: Il Barone 54, a base di Primitivo di Manduria, l’abbiamo degustato con calma e attenzione, e ci ha colpito soprattutto una cosa: non si brucia subito, ma evolve anche dopo qualche ora. Fremiamo dall’idea di accenderci un Antico Toscano. (Stefano Reggiani)
Solaria Jonica 1959
Nasce da uve Primitivo coltivate nella zona di Torricella negli antichi possedimenti del Barone Bardoscia
Tre medaglie d’oro al County Fair di Los Angeles 2002 e una menzione speciale
Il Sole di Veronelli * Veronelli
Wine Advocate Robert Parker : 97 Wine Advocate
Anno di produzione: 1959
Grado alcolico: 13,72%
Testimonianza: Questo straordinario vino è la testimonianza di una antica potenzialità enologica che pensavamo scomparsa: il sole, l’alberello, l’alcol e il tempo, sapientemente dosati, hanno potere esplosivo sui nostri sensi. Tutti coloro che sono ancora all’affannosa ricerca di un vino da abbinare al cioccolato sospendano le ricerche: per loro c’è il Solaria Jonica 1959. (Luigi Veronelli)
La Canestra 1978
Vino DOC, nasce da uve Negroamaro ( 80%) e Malvasia (20%) nella zona di Salice Salentino
Anno di produzione: 1978
Grado Alcolico: 15 %
Testimonianza: La prima volta che l’ho assaggiato ho desiderato un grande Parmigiano Reggiano. E’ un grande vino che va bevuto da solo o in grandi compagnie , per questo ho pensato a un Parmigiano. Mi ha ricordato qualche raro e grande Madeira. Fantastico come un vino ritenuto medio possa invece con la mano sapiente dell’uomo essere così grande. (Paolo Teverini)