Nato per il fabbisogno di un popolo povero esso è divenuto un prodotto di lusso.
Visita alle distillerie lungo il fiume Spey
“Whiskyzzare” è, senza dubbio, un brutto neologismo. Lo uso per dire, scherzosamente, che i nostri cervelli sono imbottiti di nozioni sul whisky, che i nostri discorsi riflettono un unico tema: il whisky.
Da quattro giorni visitiamo fabbriche di whisky e non sentiamo parlare di altro, non parliamo che di whisky.
Naturalmente, ne beviamo pure, e tanto, così da poterci definire, tranquillamente, “whiskyzzati”.
Metto da parte lo scherzo e chiarisco che siamo un gruppo di giornalisti ai quali lo Scotch Whisky Association ha rivolto, graziosamente, l’invito per un “Whisky Tour” in Scozia. Ed è stato, il nostro, un viaggio di esplorazione alle sorgenti del liquore che ha conquistato il mondo; alle fonti di quel distillato che, nato per il fabbisogno di un popolo povero, al quale le condizioni climatiche non permettono la coltivazione della vite, è divenuto poi una merce di esportazione nei cinque continenti e – perché no? – un prodotto di lusso per qualità e… costo.
Lo Scotch Whisky è, tra le bevande nobili, quella che domina sui mercati mondiali, con una vendita totale annua di oltre un miliardo di bottiglie, il cui provento costituisce una delle colonne portanti dell’economia britannica. E l’Italia, con i suoi 50 milioni di bottiglie importate, occupa il quarto posto nella graduatoria dei 200 paesi consumatori, dopo gli Stati Uniti, la Francia ed il Giappone. Tappe del nostro viaggio sono Aberdeen, Glasgow, Edimburgo: le principali città della Scozia intorno alle quali gravitano la produzione, il commercio e la distribuzione del Whisky.
Ma le distillerie che visitano sono, quasi tutte, nella splendida regione di Speyside, nelle Highlands (Alte Terre), dove scorre lo Spey, detto anche “il fiume del whisky”, perché lungo le sue rive sorgono circa cinquanta distillerie, un terzo di quelle esistenti in Scozia.
Il paesaggio è riposante: ondulate colline e foreste di conifere, dai colori che trapassano dal verde cupo al giallo tenue.
Rare case, con tetti spioventi e camini alti.
Ogni tanto, dalla bruma, sbuca fuori un castello. E vedi bianchi greggi al pascolo, sotto la pioggia, tanti… Nel silenzio ovattato, svanisce il belato delle pecore, si dissolve il rombo dei motori.
La strada costeggia il fiume con ampie curve e, di quando in quando, spunta il profilo di una ciminiera, la sagoma di uno stabilimento che produce whisky. Sembrano tutte eguali, queste fabbriche, e sorgono tutte in zone isolate, lontane dai centri abitati, ma sempre, immancabilmente, presso una sorgente d’acqua.
Ecco, ci siamo. Comincia la visita delle distillerie, una dopo l’altra, per apprendere come nasce il whisky scozzese, l’affermata bevanda internazionale.
La nostra “preparazione” avviene per gradi, nel senso che, passando da una distilleria all’altra, seguiamo via via le molteplici fasi attraverso cui, dalla materia prima, si giunge al prodotto finito. Non c’è dubbio che la distillazione del Whisky è un’arte antica.
I pastori delle Highlands distillavano whisky, com’è stato storicamente accertato, gia nel XV secolo, ma si può fondatamente ritenere che l’inizio risalga a parecchi secoli prima.
La Scozia possiede in abbondanza orzo, torba ed acqua, i tre ingredienti necessari per produrre un buon whisky.
Vi concorrono, inoltre, il clima e l’aria che portano l’alcool alla giusta maturazione durante gli anni d’invecchiamento.
Va precisato, tuttavia, che vi sono due tipi di fondamentali di whisky scozzese: il whisky di malto, la cui materia prima è l’orzo, ed il whisky di grano, la cui materia prima è il mais (oppure un altro cereale o più cereali insieme ). La maggioranza delle distillerie produce, però, soltanto whisky di malto, che viene distillato negli alambicchi tradizionali (“Pot Stills”) con un processo rimasto pressoché inalterato nel tempo. Ed i whisky di malto sono di quattro tipi: quello delle Alte Terre (Highlands), di gusto pieno, ricco di colore e profumato nel sapore; quello delle Basse Terre (Lowlands), medio per profumo e colore, ma eccezionalmente armonico; quello delle Isole (Islays), forte e di gusto acre, ma di straordinario carattere; quello dei Campbeltowns, dal gusto pacato e morbido. La produzione del whisky di malto passa attraverso quattro stadi: germinazione, fermentazione, distillazione e stagionatura. Dopo essere stato tenuto a bagno, l’orzo viene disteso su pavimenti speciali, dove avviene la germinazione.
A questo punto esso diventa malto. La germinazione viene poi bloccata, asciugando il malto con un fuoco di torba. In questa fase il malto acquista l’aroma della torba, quel certo gusto di fumo, inconfondibile, che più tardi avvertiremo nel sapore del whisky.
Dopo l’essiccazione il malto, liberato dalle altre impurità, viene ridotto il polvere e mescolato con acqua bollente. Entra in scena, così, l’acqua: l’acqua scozzese pura, cristallina, leggera che svolge un ruolo insostituibile e – perché no? – inimitabile. L’acqua toglie al malto lo zucchero e se ne appropria. Comincia, allora, la fermentazione del liquido zuccherino favorita dall’aggiunta di lievito. Il prodotto è alcool, non raffinato ancora, che sarà sottoposto alla distillazione: non una volta, si badi, ma bensì due volte di seguito, finché dall’alambicco uscirà whisky, whisky puro, ma incolore, e non ancora buono a bersi. Travasato in botti di quercia, che abbiano contenuto sherry, il whisky stagionerà lentamente, acquistando in morbidezza, maturità ed aroma. Almeno tre anni d’invecchiamento, prescrive la legge britannica, ma la regola delle distillerie scozzesi vuole che il whisky rimanga ad invecchiare almeno cinque anni. L’esperienza ha dimostrato, peraltro, che il whisky migliora con l’età, prima rapidamente fino a dodici anni, poi lentamente fino ai quindici, quindi rimane stazionario. Anche il whisky di grano segue lo stesso procedimento, ma la distillazione avviene in alambicchi diversi (“Patent Stills”), con il sistema “Coffey” sviluppato nel 1831. Esso richiede, sempre, una percentuale di orzo maltato. E’ ugualmente buono, ma ha meno sapore e meno carattere del whisky di malto.
Si sa che tanto il whisky di malto quanto il whisky di grano erano e sono bevuti da soli, cioè, non miscelati (“unblended”), ma dal 1860, quando un distillatore di Edimburgo, tale Andrea Usher, scoprì l’arte del miscelare, cambiarono le abitudini del bere di tutto il mondo. Era nato il “blended”, vale a dire un whisky ricavato dalla sapiente mescolanza di più whisky di grano, in dosi segretissime, che un “blender”, ossia un miscelatore, non svelerà mai a nessuno; dosi che i distillatori si tramandano, come un segreto irrivelabile di famiglia, di padre in figlio.
E’ proprio quel segreto, infatti, che “personalizza” una marca di whisky, conferisce al whisky un gusto ed un aroma che lo rendono diverso da tutti gli altri, dalle centinaia di altre marche di whisky che vanno in giro per il mondo.
Ed il “blender” ha fatto la fortuna dello Scotch Whisky, perché la miscela dei due whisky ha permesso di creare tipi di whisky identificabili, con qualità e sapore invariati: proprio ciò che il pubblico richiede nelle bevande alcoliche. Tant’è vero che il 98 per cento dello “Scotch” consumato nel mondo è “blended”. Di conseguenza whisky di malto se ne imbottiglia soltanto il 2 per cento: pochissimo.
Ma volete che vi dica, ora che mi sono “whiskyzzato”, qual è la mia opinione? Ebbene, io trovo eccellente il whisky di malto, di puro malto scozzese, in special modo quello delle Highlands, e lo preferisco, senza nessuna esitazione, a qualsiasi whisky miscelato, sia pure il più pregiato e famoso.
Le cinque patrie di Mister Whisky
Mister Whisky ha cinque patrie. Terra d’origine e la Scozia, dove, come si è detto, la prima distillazione risale al Quattrocento. Oggi lo Scotch Whisky è il liquore più diffuso nel mondo. C’è poi l’irlanda, dove mister Whisky cambia nome: prende una “e” e diventa Whiskey.
Qui la distillazione risale al Cinquecento ed il liquore assume un sapore caratteristico dovuto, principalmente, alla misura di orzo germogliato e non germogliato, ma pure a tre successive distillazioni e ad un invecchiamento lungo ed accurato in botti di rovere.
Denominazione esatta: Irish Whiskey. Negli Stati Uniti la storia del Whisky risale alla fine del Settecento. Viene usata la duplice grafia, whisky e whiskey, ma in pratica lo si chiama Bourbon. E’ un liquore ottenuto da diversi cereali, ma in prevalenza dal granoturco.
Predomina su tutti gli altri superalcolici. Anche in Canada il Whisky è abbastanza vecchio: ha circa due secoli di vita.
A creare le peculiari caratteristiche del Canadian Whisky concorrono il granoturco, la segale, l’orzo e, in misura minore, il frumento. Da tempo questo liquore occupa un posto di rilievo sui mercati mondiali. La patria più giovane di mister Whisky è il Giappone col suo Japanese Whisky. Però i giapponesi, per produrre il loro whisky nazionale, utilizzato tuttora il malto proveniente dalla Scozia.