Immaginate un film, uno di quelli che ha lasciato traccia su intere generazioni di bambini e che ancora oggi, nonostante sia stato girato negli anni ’80, ne appassiona altrettante: La Storia Infinita di Wolfgang Petersen.
Adesso, chi ha visto questo film – e io sono uno di questi – o chi per caso ci sia inciampato anche involontariamente da bambino o da adulto cerchi di ricordare la scena dove Bastian, un ragazzino amante dei racconti di avventura, si nasconde nella soffitta della scuola a leggere sotto una coperta il libro intitolato appunto La Storia Infinita rubato in un vecchio negozio di libri.
Ora, se sostituiamo Bastian ed inseriamo Alessandra, ecco che la scena non cambia perché Alessandra è sempre stata così: timida, riservata, minuta, malinconica, avida di lettura e soprattutto un folletto dai capelli rossi accesi.
A guardarla si capisce subito che è una ragazza fragile ma incredibilmente sensibile, quasi indifesa, ma non è debole. Alessandra non è passiva, prende posizione sulle cose che non le piacciono ed è anche per questo che si fa largo senza essere aggressiva. Vi chiederete perché partiamo dal cinema per raccontarla. Per un semplice motivo: la più grande passione di Alessandra non è il vino o il cibo, ma per l’appunto il cinema.
Chi è Alessandra Piubello? Alessandra è ovviamente una giornalista e da tantissimi anni scrive, scrive e non fa altro che scrivere.
Si occupa principalmente di vino e cibo; è spesso chiamata a rappresentare l’Italia partecipando come giudice a concorsi enologici nazionali e internazionali: Mondial de Bruxelles, Decanter, Vinalies, giusto per citarne alcuni.
Per la stampa, per i media e per tutti quelli che ronzano in questo mondo questa è la Piubello. Ma andiamo più nello specifico.
Alessandra nasce a Verona e decide che le lingue sono un buon punto di partenza per costruire il futuro; studia tantissimo e ne porta a casa correttamente tre.
Contemporaneamente frequenta tanti corsi di giornalismo – il mondo del vino e del cibo sono ancora lontani – ma, come raccontavamo, il primo grande amore è il cinema e grazie al fratello che faceva parte di un’importante compagnia teatrale di Verona, questa passione prende ancora più spazio.
La vita prosegue al galoppo, le passioni aumentano e la sete di scrittura non si placa; in poco tempo decide che la scrittura – la sua lenta e pragmatica, come lei stessa la definisce – sarà la sua vita e in men che non si dica si ritrova a dirigere come direttore testate giornalistiche di diversi settori.
Queen e Prince sono i primi due magazine e raccontano di moda ma con ampi spazi dedicati all’attualità, al cinema e anche al teatro, ovvero le sue autentiche passioni.
Dirige per anni anche una rivista di Golf e proprio su questa rivista contemporaneamente ad un’altra – Look – scrive i primi articoli dedicati al cibo e al vino.
Gli vengono commissionati alcuni ristoranti e nonostante la materia fosse già nelle sue corde grazie ad una famiglia molto rigida che amava la buona tavola e il buon bere, inizia a fare le prime esperienze.
Come dicevamo il cibo e il buon bere hanno sempre avuto un ruolo importante nella storia di questa famiglia: i genitori della madre di Alessandra infatti erano proprietari di alcuni negozi di gastronomia, il cugino produceva prosciutti di qualità in Friuli, il secondo cugino era proprietario di un ristorante e contemporaneamente lo zio gestiva una pizzeria.
La passione per il vino – sicuramente latente sino a quel momento ma già nel suo destino – scocca definitivamente quando le chiedono un racconto, forse il primo e da quel momento la penna non smette più di tracciare storie.
Il fil rouge con il vino nasce proprio da una passione del padre, proprietario di qualche ettaro in Valpolicella, che ha sempre permesso ad Alessandra di rimanere a stretto contatto con questa materia.
Ma facciamo un passo indietro: abbiamo lasciato Alessandra a capo di alcune riviste che stavano dedicando sempre più spazi al mondo del cibo e così, dal nulla, si ritrova a zingareggiare per ristoranti sparsi in ogni dove quasi sempre da sola perché Alessandra, come raccontavamo inizialmente, è una persona estremamente riservata. Siamo negli anni ’90 e non è facile, oltretutto sta diventando un hobby costoso e faticoso anche a causa dei rientri notturni che la portavano ad essere particolarmente stanca il giorno dopo e si sa, la scrittura ha bisogno di riposo per essere efficace.
Ad una cena, casualmente, incontra una persona che diverrà molto importante per la sua carriera: Bruno Catapano, un noto gourmet dei tempi; con lui Alessandra trova finalmente qualcuno che l’ascolti e stranamente accade quello che non era mai accaduto prima: parla.
Catapano non è proprio un tipo semplice, la mette alla prova professionalmente da subito, in ogni momento, ma ascolta molto e alla fine le fa un nome: Andrea Grignaffini.
Con Grignaffini inizia la sua prima collaborazione di spessore e prestigio e si aprono le porte dell’Espresso, la nota guida dei ristoranti d’Italia.
Ma come tutte le belle storie, spesso ci sono colpi di scena che rendono la vita più frizzante. E proprio qui entra in gioco il vino.
Di vino Alessandra inizia a parlarne attraverso la rivista Queen, successivamente approda a Spirito Divino sempre grazie ad Andrea Grignaffini ed è proprio qui che incomincia ad affermarsi.
L’avvicinamento tecnico al vino, come spesso accade, è dei più classici, ovvero una formazione da autodidatta passando dai corsi A.I.S.
Successivamente decide di approfondire: WSET e poi si sposta a Bordeaux dove affina maggiormente le tecniche di degustazione.
“La formazione sommelleristica è stata importante ma ne ho sempre criticato il metodo e la rigidità associativa” racconta Alessandra, “Il vino stesso è stato il mio maestro, non ha mai avuto reali mentori. Il mio rapporto con il vino è molto intimo, parlo con lui”.
Mentori no, ma persone di spessore, amici con un ruolo importante in questo mondo sicuramente sì: Axel Marchal, suo insegnante all’università di Bordeaux, Stéphane Derenoncourt wine maker, Maurizio Colia suo insegnante al WSET, Steven Spurrier di Decanter per citarne alcuni.
Da qui in avanti la storia si fa più recente e le tracce sono più nitide e più luminose. Racconta: “Il cibo è nutrimento e piacere, pura gioia. Il vino è più complicato, non si esprime così bene come si esprime il cibo. Il piatto è più immediato come codifica, il vino ha bisogno dei suoi tempi, cambia, evolve, è vivo. Il cibo sostanzialmente è un elemento sociale differente ma crea un percorso anche psicologico con il passato”.
Alessandra ha le idee più chiare, ha terminato un percorso di crescita e stile che l’hanno portata ad essere prima all’interno di Slow Wine, successivamente la Guida Vini de L’Espresso e da poco la nuova co-curatrice della Guida dei Vini di Veronelli al posto di Daniel Thomases.
Alessandra è idealista, no, anzi è decisamente pura d’animo, accetta la sfida Veronelli perché da piccola era il suo mito, un combattente come lei che l’aveva da sempre affascinata soprattutto grazie al linguaggio.
“Grazie a Veronelli – racconta Alessandra – dobbiamo la nascita della comunicazione di questo settore, lui si è battuto per dare dignità e per valorizzare tutto il mondo del vino”.
Il futuro è ovviamente dei giovani: “Si avvicinano, un po’ per moda, un po’ perché è di tendenza, un po’ per curiosità. Il vino richiede studio, dedizione, immensi sacrifici, investimento in tempo e soldi. In una parola: amore”.
Prosegue Alessandra: “Il linguaggio del vino purtroppo in passato è stato troppo tecnico – come è prodotto, la ricerca spasmodica delle note degustative, l’eccessiva soggettività – e ha allontanato il consumatore finale”.
Per Alessandra quella del linguaggio è una sfida quotidiana.
“Vorrei tirarli dentro ad un sogno quando scrivo, perché il vino ha tanti aspetti legati all’immaginario e vorrei far scattare questo, riuscire a far percepire concretamente gli aspetti fondamentali delle persone che lo producono e del territorio”.
È molto critica e severa con se stessa anche quando fatica a ricoprire il ruolo sociale che le appartiene all’interno del circuito vino: “Non riesco a scrivere di tutti i vini, ma principalmente quelli che mi piacciono”.
Non nega che essere donna all’interno del mondo-vino è sicuramente più complicato che esserlo nel mondo-cibo: “Credo nel gruppo, nella collaborazione, perché da soli non si può fare niente”.
Ma anche degustare è trasmettere qualcosa alle giovani leve è molto importante e anche su questo Alessandra è molto ferma sulle sue posizioni:
“Per degustare servono pochi descrittori per poi cercare di puntare a quello che il vino ti trasmette, il suo corpo la sua anima e il suo contenuto declinato in pochi tratti. Cercare di raccogliere cosa il vino può regalarti, cosa trasmette l’uomo che l’ha prodotto, non bisogna fermarsi solo al bicchiere”.
Conclude: “Mi voglio illudere che l’uomo abbia sempre di più un rapporto con la terra, che questa sia il suo punto di riferimento e che il futuro apra all’uomo una sincera simbiosi con la tecnologia necessaria per ottenere vini sempre più puliti e buoni”.
Questa è Alessandra Piubello, una tratto rosso sottotraccia, ma che lascia il segno.