Di La Madia
Un buon pranzo, per risultare tale, deve sapersi concretizzare in una tavola che ospita commensali capaci di simpatizzare con la logica del benessere.
Per favorirlo, occorre il condimento di argomenti allettanti, con conversazioni capaci di portare la leggerezza fra i commensali e di stimolare in loro delle giocose quanto salutari regressioni psicologiche, che sono alla base di ogni complicità, amorosa o conviviale che sia. Il tutto in un clima governato dal tepore della simpatia e dai tiepidi venti della provocazione spiritosa.
Il successo di una buona cena a due può essere garantito da protagonisti che giocano utilizzando come complici la loro passione amorosa.
In alcuni casi però, soprattutto per motivi di lavoro, ci si può trovare di fronte a persone che possono non esserci del tutto simpatiche. Nell’occasione, piú che il saper cosa dire è importante sapere quali argomenti evitare.
A volte, discutere dei benefici secondari dei cibi in termini afrodisiaci o lasciarci andare con qualche battuta di spirito di carattere malizioso può essere utile per creare una buona atmosfera relazionale.
Questo contributo, che è stato sviluppato dallo scrivente nel testo “Cibo, sesso e magia”, è pensato per uno stare bene a tavola di coppia. I nostri protagonisti ideali sono persone che hanno voglia di incontrarsi sotto il segno dell’entusiasmo, in grado di perfezionare dialoghi intimi, cadenzati da una complicità vivace supportata dal gioco delle parti.
Mettiamoci nei loro panni. La prima scelta da fare è quella di trovare un ristorante adeguato, che sia in grado di fare da sfondo alle pretese ludiche dei suoi ospiti. Il riferimento è alla preparazione di qualche cibo che simbolicamente possa chiamare in causa le passioni di Afrodite, la splendida dea dell’amore.
Cruciale, è in questo senso, l’atmosfera del locale: una candela e un fiore a tavola non possono mancare, poiché hanno il potere di punteggiare nel migliore dei modi il farsi discorso della ristorazione.
La candela è importante per la sua valenza evocativa: essa ha il potere di lumeggiare le verità confezionate con i sentimenti piú delicati e segreti, oltre che simboleggiare la passione amorosa. Nella storia dell’arte, la troviamo presente in numerosi dipinti. Il motivo di ciò va ricercato nel fatto che essa simboleggia la fedeltà reciproca.
Per la scelta del fiore, la rosa rossa si presta a ricordare che lo sfondo che regola lo stare insieme a tavola è tinteggiato dai colori della passione amorosa. Se si vuole stringere un patto di fedeltà reciproca va meglio una piantina d’edera. Il garofano va bene per promettere amore eterno.
Anche la scelta dei posti a sedere è un fattore da non trascurare. In questo senso la disciplina che piú ha studiato il come collocarci spazialmente nei confronti dei nostri partner relazionali è la prossemica, la quale ci suggerisce di far sedere a lato o di fronte la nostra compagna in rapporto al grado di intimità che c’è fra noi. Se la relazione è aurorale e si dispiega all’insegna della seduzione piú aerea e romantica, è bene scegliere la posizione frontale, mentre se l’intimità è già collaudata è consigliabile quella laterale.
Vi è poi la scelta dei vini e delle pietanze. Un prosecco d’apertura può servire ad inaugurare un rito propiziatorio che si richiami alla concretizzazione di una relazione fresca, frizzante e vitalisticamente generosa. Il perlage di questo vino, con il suo flusso verticale dal basso verso l’alto delle bollicine, si presta a far volare la fantasia e a suggerire audaci pensieri amorosi. Esso evoca anche la trascendenza dell’amore platonico. Per il resto, il tipo di vino che si sceglie dipende molto dagli accostamenti con i cibi che si vorranno ordinare.
Per esempio, un pranzo a base di carne al sangue richiede un vino rosso corposo e promette una relazione intima a sua volta sanguigna. Il suo colore, fra l’altro, ha il potere di suggerire delle associazioni ideative imperniate sul concetto di passione.
Per comunicare all’amante la propria voglia di inaugurare una splendida relazione amorosa, possiamo puntare su dei piatti che inequivocabilmente possono parlare per lui.
Per quanto riguarda gli antipasti, possiamo scegliere senza esitazioni dei molluschi. Ostriche accompagnate con un buon vino bianco non richiedono commento addizionale alcuno. Non v’è donna, infatti, che non sappia decodificare nel giusto modo il senso intimo di questo testo culinario.
Per i primi piatti, i fagioli e le fave godono buona fama fra i cuochi che amano puntare su una cucina afrodisiaca. Una buona zuppa di pesce risulta altrettanto gettonata. Alcune spezie, poi, possono garantire ciò che la pietanza in sé non è in grado di offrire. Il peperoncino, da questo punto di vista, fa sempre egregiamente la propria parte.
Per i secondi piatti, la carne consente un maggior numero di soluzioni afrodisiache rispetto al pesce. In merito, si può puntare soprattutto sulla cacciagione. I volatili sono quelli che danno le garanzie migliori. Il rischio che il corteggiatore corre in questo caso è quello di andar un po’ troppo sopra le righe, di far capire alla sua ospite con eccessiva disinvoltura quali siano i suoi intendimenti.
Rispetto ai contorni, i pomodori vengono puntualmente menzionati nei menú afrodisiaci. Melanzane e peperoni vanno a loro volta bene. Infine, per quanto riguarda i dolci, si consiglia di puntare su dei prodotti a base di cioccolato. Sul suo potere afrodisiaco e antidepressivo sono in molti a scommettere. In sua assenza, vanno bene le torte a base di mandorla. Il miele, infine, fa sempre la sua parte in relazione ai giochi notturni cari a Venere.
Allo scopo di concretizzare una serata da ricordare, non basta essere predisposti bene all’incontro ed avere l’opportunità di gustare dei piatti meravigliosi; occorre che un po’ tutto l’ambiente si armonizzi con il nostro stato d’animo.
Un locale troppo luminoso e frequentato da gente chiassosa non può certo favorire una conservazione intima emozionalmente ricca. Anche dei camerieri troppo premurosi possono essere avvertiti come fastidiose presenze estranee. Qualora si possa scegliere, si può chiedere della musica di sottofondo che ben si accordi con le nostre intime urgenze.
Per concludere, un suggerimento su come dare respiro a quanto implicitamente presente nel nostro contributo. Ciò che importa è aprirsi al misterico. Piú precisamente: occorre confidare su ciò che la realtà racchiude in sé come dato intuibile ma non verificabile, senza deturparne in senso intimo. Da questo punto di vista i sapori e il potere afrodisiaco di un cibo non dipendono tanto dalla struttura delle sue molecole o dai principi attivi dei suoi componenti di base, quanto dalla permeazione simbolica che lo riguarda e dal fluttuare di sensazioni che scaturiscono da una genuina attitudine a confidare sulla risorsa “gioco”.
Per chiarire meglio questo concetto, si può fare riferimento ad una delle proposte artistiche piú provocatorie della storia dell’arte: la “Merda d’artista” di A. Manzoni. L’autore, mezzo secolo fa, ha perfezionato un’opera d’arte consistente in una scatoletta metallica ermeticamente chiusa sulla quale è stata posta in bella vista un’etichetta alludente al suo contenuto: le feci del suo autore. Non è questa la sede per discutere sul senso dell’operazione in discussione: ciò che qui ci interessa è l’atteggiamento che la stessa può suscitare in diversi referenti.
Da questo punto di vista si può registrare una straordinaria pluralità di reazioni. La forbice va da una complicità virtuosa ad un’acritica reazione denigratoria. Da un lato, quindi, abbiamo un produttivo atteggiamento di cooperazione con l’artista, in forza al quale la sua opera viene accettata come “verità” in sé e come provocazione simbolicamente satura, idonea a mettere in discussione lo stesso concetto di arte. Dall’altro, si registra un atteggiamento di sorda reattività negativista, che, al limite, può indurre il collezionista a verificare il reale contenuto della scatola proposta da Manzoni.
Il limite di questa ultima prospettiva è che l’ispezione distrugge l’opera d’arte in sé. Per meglio intendere ciò possiamo riflettere sul comportamento del nostro collezionista. Supponiamo che questi, dopo aver acquistato l’oggetto in discussione per diverse decine di milioni delle vecchie lire, venga preso da incontenibile prurito verificazionista. Spinto dalla curiosità e da un molto frainteso razionalismo critico, il nostro protagonista s’avventa con l’apriscatole sul prodotto artistico uccidendolo in quanto tale. Dopo il suo intervento, poco importa se la scatola sia vuota o meno, ovvero che il suo eventuale contenuto sia quello segnalato nell’etichetta; non ci si trova piú di fronte ad una cosa da collezionare, ma ad un rifiuto da gettare. Infatti, lo ‘svelamento’ ha il potere di estromettere l’opera di Manzoni dal circuito artistico.
Il destino dell’opera d’arte in discussione è, dunque, questione di atteggiamento e di cultura. Come per molte altre contingenze esistenziali, una reazione difensiva di carattere fiscalistico può, in relazione al dibattito sui confini dell’arte, aiutarci a riportare con i piedi per terra. Questo in sé è positivo, purché non ci radicalizzi in posizioni di chiusura meccanica che ci impediscano di concederci qualche volo ad impronta irrazionale. Volo che può essere indispensabile in funzione della prospettiva di un benessere a tutto tondo. Il nostro riferimento è all’afrodisiacità di alcuni cibi e alla natura ‘magica’ della compiacenza che gli stessi richiedono. Senza un atteggiamento aperto al gioco, il quale non può che scaturire da una personalità ricca e flessibile, non v’è principio attivo che tenga: un cibo sarà semplicemente un cibo, vale a dire qualcosa da mangiare.