A fronte di ristoranti che chiudono altri sono sempre pieni. Dopo gli anni dello sperpero, torna in auge la frugalità . E si premiano idee, onestà e buona volontà.
La crisi incombe o per la crisi già si soccombe? È il lemma più usato (abusato?) in questo periodo. La crisi. Che tutto investe, che semina numeri in negativo mai così severi, che fa tremare i grandi gruppi economici e incute timore ai cittadini. Quanto c’è di vero nella grancassa di allarmi, appelli, sentenze catastrofiche? E quanto sta intaccando il comparto gastronomico italiano? In questo articolo proponiamo prima notizie apparse negli ultimi mesi sui giornali italiani, poi il punto di vista di chi quotidianamente si confronta con il mercato: i ristoratori.
Partiamo da dati certi. Sono quelli dell’ultima analisi della FIPE (la Federazione Italiana Pubblici Esercizi), presentata a metà febbraio, che evidenziano come tenga la colazione al bar, perda colpi il pranzo, cali la cena conviviale. Oltre la metà degli abituali frequentatori di ristoranti e pizzerie dichiara l’intenzione di uscire meno per cene fuori casa. I consumi alimentari non domestici si riducono soprattutto tra gli over 60, tra i residenti al centro e al sud. E al ristorante impera l’essenzialità: via libera a pizza, pesce e primi piatti, si fa ancora qualche sacrificio per il dessert e la carne ma si rinuncia drasticamente a verdura, frutta, antipasto, formaggi, salumi e anche al vino.
Uno stirato sorriso ritorna leggendo l’ultimo rapporto Censis, secondo cui il 33% di chi va abitualmente al ristorante non rinuncerebbe a una cena fuori casa almeno una volta al mese e alcuni, addirittura, pensano di incrementare la spesa al ristorante nel corso del 2009.
I segnali negativi
Non sono difficili da individuare. Il 2008 è stato contraddistinto dalle chiusure di molti ristoranti e pubblici esercizi. Un fenomeno che ha interessato trasversalmente il settore: hanno abbassato le serrande bar, ristoranti di medio prezzo, locali di alto livello. Il fatturato dei pubblici esercizi, per la prima volta in quindici anni, ha riscontrato un calo complessivo che oggi arriva fino al 20%.
Diversi giornali hanno raccontato della notevole contrazione della spesa per la pausa pranzo.
Se fino a tempi recenti spesso le riunioni di lavoro si concludevano alla tavola di un buon ristorante, per stringere alleanze e firmare contratti tra un antipasto e un primo piatto, ora la situazione è drasticamente mutata.
Stefano Vicina, chef stellato Michelin, proprietario di Casa Vicina, locale situato nello stesso stabile di Eataly, a Torino, confermala tendenza: “Qui a fianco c’è la sede della Fiat, ma anche gli uffici di Intesa – San Paolo, di Ibm, del Banco di Santander e di altre società. Tutte hanno ridotto, e molto, il loro budget per queste spese. Si fanno solo le colazioni di lavoro indispensabili. I dirigenti che venivano a pranzo non dico tutti i giorni, ma quasi, per fare pubbliche relazioni a tavola sono scomparsi”.
Un altro segnale indicativo della scarsa liquidità nelle tasche degli italiani è rappresentato dalle mance. In un articolo apparso sul quotidiano “La Repubblica”, Filippo Pittalà, presidente della Feprat, la Federazione della ristorazione alberghiera e del turismo, ha spiegato: “Negli ultimi mesi le mance si sono più che dimezzate. Una situazione che i nostri associati registrano in tutto il Paese, dalle Alpi alla Sicilia. Ad avanzare è la cultura del McDonald’s: pago quello che devo”.
Una tendenza, quella di non lasciare mancia, che si era già manifestata dopo l’introduzione dell’euro, ma che ora, con la crisi economica, si sta affermando come abitudine consueta. Lo conferma anche Leopoldo Veronese, direttore del Grand Hotel di Rimini, icona del turismo romagnolo: “Vent’ anni fa su cento clienti novanta lasciavano una mancia prima di andare via. Oggi le percentuali si sono invertite”.
Meno mance, meno clienti, meno introiti.
E così la crisi strozza i pubblici esercizi italiani, portandoli alla chiusura, o comunque ad un ridimensionamento degli organici.
È una realtà che non risparmia nessuno, nemmeno i grandi nomi. Come il mitico Harry’s Bar di Venezia, il leggendario locale di Arrigo Cipriani.
Di fronte ai dati del 2008 (-30% degli incassi rispetto all’anno precedente), la proposta che Cipriani ha formulato ai suoi 75 dipendenti è stata quella di ridurre le ore di lavoro. Lavorare meno per lavorare tutti.
Unica consolazione, se può essere consolatorio il detto “mal comune mezzo gaudio”, è che la crisi è davvero generale: a Parigi i caffè storici arrancano sempre più (la tendenza era già forte negli ultimi anni) soffocati dalla concorrenza dei fast food. Più convenienti e con maggiore appeal tra le fasce giovani della popolazione.
Combattere la crisi
Gastronomia modello Facebook
Un quadro a tinte fosche? Sicuramente non c’è da gongolare. La crisi c’è. Dunque, occorre aguzzare l’ingegno. Così si fanno avanti nuove tendenze, che inseguono le ultime mode, o che riscoprono usanze di un passato che pareva ormai remoto. Da facebook al frugalismo, sui giornali italiani sono apparse proposte davvero singolari.
Partiamo dal nuovo. Facebook, appunto, il social network che ha contagiato milioni di persone nel mondo. Come quasi sempre accade, l’idea è nata negli Stati Uniti, a New York: si arriva al ristorante, ci si accomoda ad un tavolo con una quindicina di sconosciuti, e si inizia a chiacchierare e mangiare. È la strategia di chat e di facebook applicata alla gastronomia. Anche in Italia sta riscuotendo successo: Gianfranco Vissani, ad esempio, nel suo ristorante di Baschi prepara un “tavolo conviviale” per sedici persone tre volte la settimana al costo di 30 euro. Analoghe proposte sono arrivate anche da Parma (il Bixio 52 di Carlo Talamona) e da Milano (Giulio, pane e ojo). In fondo, non è come le osterie di una volta, quando i tavoli erano tavolate e si sedeva abitualmente a fianco di sconosciuti?
Se i ristoranti copiano internet, il web si sta trasformando nel nuovo supermercato. Lo ha scritto il Corriere della Sera, che riprende le statistiche fornite da eBay, il più famoso sito mondiale di aste e acquisti on-line: gli acquisti di generi alimentari in rete sono aumentati nel 2008 del 62% rispetto al 2007. Nel corso dell’ultimo anno, su eBay è stata venduta una bottiglia di vino ogni tre minuti e un prodotto enogastronomico ogni 60 secondi. Gli alimenti e le bevande che segnano le migliori performance sono i dolci, i biscotti, il tè e il caffè, che crescono del 182%, e la birra, che nel giro di un anno ha visto raddoppiare le vendite. In Inghilterra, l’azienda Approved Food è arrivata a vendere (l’operazione è assolutamente legale) prodotti scaduti (da poco) a prezzi stracciati. Gli amministratori hanno spiegato che dal settembre scorso, quando la recessione ha iniziato a farsi sentire, gli ordini si sono decuplicati.
I frutti del lavoro
Una proposta meno telematica è quella dei cosiddetti Farmers market, i mercati che sono nati in diverse città italiane per mettere a contatto diretto il produttore agricolo con i consumatori. Un modo per accorciare la filiera, ridurre i prezzi (Coldiretti, promotrice di questi mercati, assicura un -30%) e offrire prodotti qualitativamente migliori. Se in Italia sono un centinaio i mercati degli agricoltori (individuabili sul sito www.campagnamica.it), negli Usa, a distanza di vent’anni dall’apertura dal primo farmers market di Union Square, si contano ormai una cinquantina di mercati degli agricoltori solo nella Grande Mela. Un’azienda di Vercelli ha invece avuto l’idea di trasformare le proprie risaie in orti da coltivare a distanza: il cittadino si sceglie il proprio appezzamento (per una famiglia bastano circa 90 mq di terreno), lascia che altri lo coltivino, e ne gode i frutti. Al costo di poco più di un euro al giorno a componente familiare si può godere di mezzo kg giornaliero di verdura. La spesa viene recapitata fresca ogni settimana (con tanto di furgone ecologico a metano).
Ma c’è chi ha riscoperto metodi di scambio ancora più radicali. Arrivando al baratto.
Conto fai da te
Lo pratica un’azienda piemontese che ha lanciato un network per consentire alle imprese di scambiarsi i servizi senza attingere alla liquidità. Oppure Simone Accardo (lo abbiamo letto su Il Giorno), barbiere di Novara, che ha accettato, come pagamento per i suoi servizi, del riso, una gallina e un orlo dei pantaloni. L’idea è messa in pratica anche da un bed & breakfast della Sardegna, “Villavillacolle” (http://avillavillacolle.blogspot.com), che offre ospitalità non per denaro, ma attraverso scambi. Basta accordarsi!
Affonda le radici nel passato anche la proposta di Giuseppe Gissi, proprietario di un locale di tendenza a Brera: ha rilanciato la colazione a latte e pane raffermo. Il costo? Un euro. Non solo un modo per venire incontro a chi purtroppo deve rinunciare alla colazione al bar (specialmente nella fatidica quarta settimana del mese) ma anche una proposta che ben si accorda con la teoria del Frugalismo, termine che nel 2009 è entrato nel New Oxford American Dictionary fra i neologismi più significativi del 2009. Chi è frugalista? Il dizionario recita: una persona che vive uno stile di vita frugale e salutare, scambiandosi gli abiti, comprando cose di seconda mano e coltivando i propri prodotti.
E se Ferran Adrià ha affermato “Io combatto la crisi con la ricerca e l’innovazione”, forse non saranno frugaliste, ma certo dimostrano attenzione al portaglio (dei clienti) le proposte di quei ristoranti che hanno lanciato, a determinate ore del giorno, menu alla portata di tutte le tasche. Vissani, come abbiamo detto, ha proposto il suo “1’ora Vissani”, menu a 30 euro, che vale solo dalle 13 alle 14: primo, secondo, dolce e un calice di vino. Con grande successo. Come ha successo la proposta di Davide Oldani, che nel suo ristorante (D’O a Cornaredo) dal 2003 ha un menu a 11,50 a pranzo e a 32 a cena. Prezzi da osteria, senza rinunciare alla grande cucina e alla sperimentazione.
L’ultima provocazione arriva ancora dall’estero. Dalla città di Poole (Inghilterra), dove Mick Callaghan, nel suo ristorante, al momento del conto fa decidere al cliente il giusto prezzo per la cena consumata.
Qualche ristorante italiano ha raccolto l’idea, e i risultati sono stati positivi. Pochi i casi di avventori che hanno sfruttato l’occasione per fare un pasto quasi a sbafo, molti invece quelli che alla fine hanno pagato all’incirca il prezzo segnato nel menu alla carta.
Proposte, provocazioni, slanci futuristi e ritorno al passato: tutti provano a dare scacco alla crisi. Quale sarà la giusta mossa per darle scacco matto?
La voce dei ristoratori
da MILANO
Tre ristoranti, tre modi di concepire la ristorazione: i vertici toccati dalla cucina classica italiana di Aimo Moroni, le innovazioni vegetariane di Pietro Leeman, la tradizione milanese dell’impeccabile trattoria Masuelli. È da loro che iniziamo a domandarci quanto la crisi venga percepita dai ristoratori, che quotidianamente tastano il polso del mercato.
Aimo Moroni: “In crisi soprattutto i pranzi di lavoro”
Aimo Moroni è uno dei grandi maestri della cucina italiana, un interprete che ha fatto dell’attenzione alla stagionalità e all’eccellenza delle materie prime il nodo focale del suo intendere la gastronomia. “La sofferenza c’è, è vero- esordisce Aimo- ma per ora la avverto solo all’ora di pranzo, per le colazioni di lavoro. Il mio ristorante è in una zona ricca di uffici: se i pranzi di lavoro erano frequenti, un’abitudine assodata, ora si va al risparmio e diminuiscono”.
Per superare indenni questa crisi, come bisogna muoversi? “Perseguire la stessa strada di sempre: puntare sulla qualità. Spero che questa crisi sancisca definitivamente il fondamento che sta alla base della mia filosofia gastronomica, ovvero che non esiste una cucina alta e una bassa cucina, esiste quella buona e quella cattiva. E allora proviamo a creare piatti di altissima qualità partendo da prodotti considerati a torto meno nobili. L’idea di esaltare la materia povera è una sfida verso un mondo che pensa che la bontà sia direttamente proporzionale al costo degli ingredienti”. Meno filetto e più punta di vitello, meno primizie e più verdure di campo. “Una volta la differenza tra la trattoria e il grande ristorante stava, ad esempio, nel taglio della carne. Oggi invece credo che stia nella qualità del vitello. Non si può scadere nel vitello di serie B, ma acquistare, dal vitello di primissima scelta, tagli meno nobili, ma non per questo meno gustosi, come la punta di vitello, il reale, il collo. Poi spetta al cuoco creare piatti in grado di emozionare: grazie alla professionalità, alla fantasia, alla creatività e all’intuizione”. Un esempio? Gli spaghetti al cipollotto che Aimo prepara da sempre: semplici, armoniosi, incredibilmente gustosi, dei quali sono documentati 70 tentativi di imitazione al mondo.
Pino Masuelli: “Chi investe sul cliente sente meno la crisi”
Un corretto rapporto qualità prezzo, una forte attenzione alle esigenze del cliente, la consapevolezza che la reputazione di un locale si gioca tutti i giorni. Per Pino Masuelli, patron di una delle storiche trattorie milanesi, “Masuelli” appunto, la giusta ricetta per non farsi travolgere dalla crisi si può riassumere in questa formula. “La mia famiglia ha questo locale da novant’anni (ora il padrone dei fornelli è il figlio Max), abbiamo sempre investito nel cliente e nella qualità e per adesso stiamo tenendo bene. Però non bisogna nascondersi dietro uno stuzzicadenti: la crisi c’è e durerà anche a lungo. Ma ne risentirà maggiormente quello che senza nessun titolo si è improvvisato ristoratore, e magari ha anche iniziato a sparare cifre da capogiro. Non ci si improvvisa oste: se non escono le cose giuste dalla cucina due volte al giorno per del tempo, il cliente non si fidelizza”.
Pietro Leeman: “Prendiamo a modello il Giappone”
Pietro Leeman, chef del ristorante vegetariano “Joia”, da anni sta portando avanti un modo nuovo di fare cucina. Sarà anche per questa vocazione all’innovazione, ma a Leeman la crisi non fa paura. Anzi. “Più che di crisi parlerei di cambiamento epocale – spiega Leeman -. In questa fase, rispetto ai modelli che avevamo prima, ci sarà una forma di sofferenza, ma questo rappresenta anche un fattore positivo, perchè può spingerci con maggiore determinazione verso il cambiamento. Un esempio da prendere a modello è il Giappone, che da dieci anni attraversa una crisi di consumi: in questo decennio i ristoranti non sono diminuiti ma è migliorata tantissimo la qualità, e il Giappone per me è attualmente la nazione al mondo dove si mangia meglio”. Nell’immediato, come si può contrastare il difficile momento economico? “Reputo importante che il cliente possa scegliere quello che vuole spendere, per questo è da anni che attuo una gamma di prezzi molto ampia: l’ospite può optare la sera su un menu da 50 euro oppure spenderne 100, mentre a mezzogiorno propongo da sempre un piatto del giorno a 17 euro e un menu a 35 euro. Contemporaneamente, anche il locale deve offrire spazi e formule variegati. Sto progettando all’interno del ristorante una specie di luogo sperimentale dove ogni giorno ci saranno piatti innovativi serviti in modo più informale. Si chiamerà “Kitchen Front”, perchè posto di fronte alla cucina, dove raggiungere una maggiore condivisione tra il cuoco e l’ospite. Nel ristorante del domani il cliente potrà decidere di fare esperienze diverse: i ristoranti avranno uno spazio per mangiare un piatto veloce, il bar per bere qualcosa, la libreria, luoghi con diverse funzionalità”.
da TORINO
Davide Scabin: “Nei momenti di crisi? Bisogna investire”
Il geniale chef del “Combal Zero” affronta il discorso crisi a tutto campo, con la sua naturale verve e propensione al dialogo. “La crisi si sente, anche nell’alta fascia della ristorazione. Ma non credo che durerà tantissimo: penso che ci si riprenderà in fretta. Nel mio ristorante avevamo messo in preventivo quattro-cinque mesi difficili, dove non saremmo quasi riusciti ad arrivare al punto di pareggio, e per due mesi non ci siamo sbagliati. Ma marzo, specialmente dopo la prima decade, sta dando cenni di ripresa abbastanza buoni”. Alla parziale ripresa non ha certamente contribuito un diminuzione dei prezzi. “Non si può fare una corsa al ribasso: l’alta ristorazione ha un’altissima resa di immagine ma una bassissima resa economica. Abbassare i prezzi vuol dire intervenire sulla materia prima e sulla qualità, che non è solo la qualità degli ingredienti, ma anche la qualità del servizio e la capacità di investire continuamente, come richiede la ristorazione di alto livello. Per far spendere meno un cliente, dobbiamo accompagnarlo in alcune scelte, consigliando, ad esempio, i vini al bicchiere, operazione che prima era soltanto una nota qualitativa in più mentre ora può essere uno strumento per contenere il conto finale”. Il consiglio invece è di investire. “È proprio nei momenti di crisi che bisogna investire maggiormente. E l’investimento deve essere immediato: il cliente quando si alza dal tavolo deve aver già usufruito dell’investimento, deve averlo mangiato, respirato, bevuto. Ad esempio, dando due appetizer di benvenuto piuttosto che uno, in modo da fare sentire il cliente estremamente coccolato. E poi bisogna sorridere! Non c’è nulla di peggio per un cliente, magari già costretto a centellinare più di prima le uscite gastronomiche, che trovarsi in un clima depresso”.
Gli sforzi dei singoli ristoratori dovrebbero essere accompagnati da forme di aiuto da parte delle istituzioni. Che invece latitano, non comprendendo il grande patrimonio rappresentato dalla ristorazione italiana. “Io sono trattato come qualsiasi altra attività di somministrazione di cibi e bevande e non ci si rende conto che i ristoranti di fascia alta hanno altre voci di spesa, tra cui quelle di immagine e rappresentanza. Ad esempio, non possiamo mettere a costo i voli aerei per raggiungere congressi internazionali, dove andiamo a sviluppare l’immagine non del singolo ristoratore, ma della cucina italiana e del made in Italy. Il patrimonio gastronomico italiano è grandissimo, dobbiamo però riposizionarlo e riqualificarlo a livello internazionale. L’immagine italiana all’estero la si sta mollando sulle spalle di uno sparuto numero di cuochi: è anche ora che qualcuno ci dia una mano. Lancio questa proposta: creiamo una task force composta da un rappresentante per ogni regione e mandiamola in giro per il mondo a promuovere la gastronomia italiana: sarebbe un’operazione che neanche i francesi sono riusciti a fare, dall’investimento contenuto ma dal ritorno d’immagine grandissimo”.
da NE (Genova)
Sergio Circella: “La crisi? Peggio la paura per gli alcool test”
Sergio Circella, patron della trattoria “La Brinca di Ne”, nel suo locale non riscontra finora grandi numeri negativi. “Fino alla metà di gennaio non abbiamo avuto grosse differenze – spiega -. Poi effettivamente c’è stata una leggera perdita di clientela, specialmente durante la settimana, che però riusciamo a contenere organizzando serate legate all’abbinamento vini-cucina. La vera prova dei fatti per noi, però, verrà dopo Pasqua: lì vedremo se la crisi si farà davvero sentire”. Il problema, se mai, è un altro. È la paura ormai diffusa legata agli alcool test.
“Il nostro locale è raggiungibile solo con l’auto, e i clienti hanno paura a guidare dopo aver bevuto anche solo un paio di bicchieri. Troppi controlli a tappeto, non solo di sabato, che finiscono per colpire non chi è realmente pericoloso, ma la gente comune. Io credo che i produttori di vino dovrebbero fare lobby, perchè chi ci sta rimettendo più di tutti sono proprio loro, e la loro sofferenza è soprattutto sul mercato italiano”. La conseguenza è chiara: il consumo di vino è in netto calo, e il cliente si orienta sulle mezze bottiglie e il consumo a bicchiere.
da BAGNO DI ROMAGNA (FC)
Un piccolo comune ad alta densità gastronomica. Bagno di Romagna, adagiato nella valle del Savio, nello scenario dei monti appenninici che fan la scrima tra Toscana e l’Emilia Romagna, è la casa di due grandi locali: il ristorante di Paolo Teverini e la Locanda del Gambero Rosso della famiglia Saragoni. Il primo è ospitato in una struttura più ampia, l’hotel Tosco Romagnolo, che comprende l’hotel, la beauty farm e tre diversi punti gourmet. La seconda è una delle trattorie migliori d’Italia, dove ogni piatto è un inno al territorio, alla cucina tradizionale, alla conoscenza dei prodotti della terra. È dunque interessante capire come la crisi sia avvertita, in un paese distante dalle rotte delle grandi città, in due locali di diversa fascia di prezzo e tipologia, accumunati solo dalla qualità dell’offerta.
Paolo Teverini: “Con la crisi addio prenotazioni”
“La crisi c’è e si sta sentendo in maniera molto strana”. Paolo Teverini inizia snocciolando dati precisi, ovvero i numeri di coperti registrati nei primi due mesi del 2009. Rispetto al 2008 sono quaranta in più a gennaio, uno in meno a febbraio. Dunque niente crisi? Nient’affatto. “La richiesta è senz’altro diminuita e non ha tempi di prenotazioni: la prenotazione ormai arriva mezz’ora prima della cena mentre una volta ci si organizzava una settimana prima. Nei primi giorni della settimana, poi, è tutto fermo, e le presenze si concentrano solo nel fine settimana. E nonostante la sostanziale parità di coperti, ho registrato una diminuzione degli incassi”. Anche Teverini conferma il netto calo dei consumi di bevande alcoliche. “Il cliente non beve più come di una volta. Nel frattempo è incrementato il consumo dei vini al bicchiere, mentre è quasi scomparso il consumo dei superalcolici”. Per contrastare la crisi, quali iniziative ha attuato Paolo Teverini? “Nessuna, perchè secondo me avevo messo anticipato in passato alcune tendenze utili. Dal 1986 faccio servizio a bicchiere (25-30 vini a sera), già da due anni ho inserito nel menu le mezze porzioni per tutti i piatti dei quali posso servirle, e ho differenziato la proposta con tre locali completamente diversi, nel servizio e nella spesa. Il ristorante Paolo Teverini, dove alla carta si spendono circa 90 euro (bevande escluse), il Prêt à porter, che rappresenta la seconda linea non perchè più scadente ma perchè ha altri intenti: più rapidità, meno fronzoli, meno omaggi, dove alla carta si spendono 30-35 euro, e poi il buffet, attivo a mezzogiorno, che offre una scelta, al costo di 15 euro, tra quattro antipasti, un primo, una carne, un pesce, contorni, un carrello di formaggi e dolci”.
Michela Saragoni: “Continuiamo a puntare sul giusto rapporto qualità prezzo”
Parliamo della crisi con Michela, terza generazione della famiglia Saragoni, impegnata nel portare avanti la trattoria assieme ai genitori Moreno e Giuliana. “Finora la crisi non si è sentita, anche se ci sembra di intravvedere che la clientela cominci a spendere meno di un tempo, magari rinunciando ad una portata. Probabilmente i locali della nostra fascia di prezzo, che hanno sempre attuato un corretto rapporto qualità prezzo, risentono meno dell’attuale situazione economica”. Nessuna iniziativa, quindi, per contrastare la crisi: i prezzi non si toccano. “Io non annuncerei sui giornali una mia riduzione dei prezzi; sarebbe controproducente: il cliente potrebbe pensare che i prezzi attuati in precedenza fossero stati gonfiati, oppure che, assieme al prezzo, sia stata abbassata anche la qualità. Noi abbiamo sempre cercato di contenere i prezzi e non potremmo diminuirli senza intaccare la qualità dell’offerta. I nostri clienti lo capiscono e quindi, almeno finora, non ci stanno abbandonando”.
da MILANO MARITTIMA (RA)
Gianfranco Bolognesi: esiste oggi un lusso accessibile?
Un’impresa di ristorazione eccellente non può stare ferma e vivere sugli allori del passato. Per stare al passo e per far fronte a momenti difficili deve evolversi e deve affrontare una grande sfida: mantenere i riconoscimenti della critica e far quadrare i conti.
E oggi, più di ieri, non è facile conciliare le esigenze di immagine e di prestigio con il business “vero” (coperti e fatturato). Ho sempre cercato, e cerco, di rendere il ristorante sempre più “aperto”, in modo da non creare soggezione, con prodotti e prezzi accessibili e trasparenti. Nello stesso tempo devo difendere e tutelare l’immagine del marchio la Frasca e con esso la sua storia e il suo valore.
Ormai il consumatore medio è più attento a come spendere i soldi perché si trova ad avere redditi inferiori, ma non rinuncia al piacere di frequentare ogni tanto il grande ristorante magari per gustare solo pochi piatti e bere un calice di vino ad un prezzo equilibrato.
Al contrario il gourmet e il consumatore di beni di lusso (non è detto che sia sempre un buongustaio) è ancora disponibile a spendere 150 euro e oltre per una sostuosa cena con grandi vini, che deve essere memorabile. In questo contesto l’attenzione deve essere posta come non mai sul cliente, sulle sue esigenze e diversità.
L’immagine del marchio però deve rimanere al di sopra, motivo per cui ogni azione di politica di sconti, di menù e di piatti a prezzo basso, di card elargite a dismisura, può rivelarsi molto dannosa.
Se si possono avere dei vantaggi in tempi brevi, alla lunga questa si rivelerà una strategia pericolosa, perché può compromettere il prestigio del ristorante e con esso la sua storia.
E l’immagine del brand è molto difficile da recuperare.
Non bisogna spremere assolutamente troppo il marchio e portarlo al di là della sua definizione, che è legata a doppio filo con il concetto di esclusività. Le aspettative dei nostri clienti sono, innanzitutto, quella di avere a che fare con il ristorante La Frasca coerente alla propria identità, ai valori che comunica e alla qualità che offre, dentro il piatto e nel bicchiere, nel servizio, nello stile e nell’atmosfera che si respira all’interno del locale.
Io non voglio “tradire” le aspettative dei nostri clienti, giudici veri e inappellabii di tutto il nostro operato.
Chi offre qualcosa di eccellente e ne esige il giusto compenso, deve essere credibile.
Sono altresì convinto che nei momenti difficili vinca l’innovazione intelligente e la creatività: avere coraggio significa avere una mente sufficiente aperta nel valutare tutti gli scenari possibili, i mutamenti della società e gli sili di vita.
In fondo, dalle crisi si esce sempre con strategie che tracciano un solco nuovo, la cui validità viene riconosciuta solo a posteriori.
In una sana situazione finanziaria sarebbe facile e sostenibile uno sviluppo paziente che non scende a compromessi ma guarda a lungo termine con ambizione e soprattutto con coerenza, ideali che devono trovare fondamento nella vera identità del ristorante.
Ma oggi non possiamo permettercelo. Ristoranti come La Frasca sono visti, nell’immaginario collettivo, come sinonimi del lusso e come tali frequentati da persone ricche e facoltose. Ed è un grave errore perché il lusso, inteso come distinzione basata sul denaro, è finito!
Un ristorante di qualità e di prestigio non si riduce ad un discorso puramente classista.
Avvicinare le famiglie alla nostra tavola, far conoscere la nostra cucina, il nostro stile, la nostra ospitalità, recuperare le antiche tradizioni del “ pranzo della famiglia” è far rivivere un momento speciale radicato nella cultura italiana.
Abbiamo creato un menù a base di pesce e di carne composto da 4 portate più dessert e pasticceria al prezzo di 70 euro, comprensivo di vino, acqua minerale e caffè, in un contesto di alta ristorazione ma anche di familiarità, di buon gusto alla portata di tutti.
Un “lusso accessibile”, che non penalizza l’immagine del ristorante ma crea i presupposti per avvicinare sempre di più un pubblico che ama mangiare e bere per stare bene.
Malgrado il futuro, l’incertezza della nostra economia, la crisi del turismo internazionale, il pessimismo in generale, credo ancora in una ristorazione seria e professionale, ai piatti come “veri strumenti di comunicazione”, al buon gusto della gente, a una forte e consolidata storia imprenditoriale.
da CARTOCETO (PU)
Lucio Pompili: “Standardizziamo i processi e salvaguardiamo le tipicità”
“L’Italia ha perso 20 milioni di turisti, che rappresentano un numero di presenze e un numero di pasti al giorno. Una quota parte di questi pasti l’ho persa anche io. Il calo è netto: metà dovuto alla nostra crisi interna, metà alla diminuzione di turisti. Ma non ho cambiato né prezzi, né menu, né servizi: faccio quello che ho fatto sempre, non posso abbassare la qualità per contrastare la crisi. Ho aggiunto però la trattoria, un posto low cost, da 25-30 euro a persona, con prodotti di qualità dove il mio cliente, che nel ristorante principale viene una volta al mese, va due volte la settimana”. Lucio Pompili, chef del “Symposium 4 Stagioni”, ristorante di Cartoceto (Pesaro), non ci gira troppo intorno. Ma non si sofferma sulla crisi. Piuttosto, si concentra su quali siano le prospettive della gastronomia italiana.
“La domanda che dobbiamo porci è: qual è l’evoluzione della ristorazione, quale può essere, quale deve essere? La cucina è come una lingua, in continua evoluzione. Tutti si sono stufati delle spume, ora sembra che il mondo voglia mangiare solo in trattoria. Ma non credo che sia questa la soluzione. La cucina che ci sarà tra vent’anni è legata con un ponte immaginario a quella odierna. Può essere che sul ponte passi qualche spaghetto, qualche pasta alla Norma piuttosto che qualche lasagna, ma non sarà così la cucina del futuro”. Dunque, come bisogna muoversi? “Occorre fare una cucina seria fatta di tradizione, di mare, di terra, di prodotti bio. Bisogna tornare alla fedeltà, conoscere i territori. Quarant’anni fa lo chef era produttore, poi ha iniziato ad andare al mercato a scegliere i prodotti, da dieci anni a questa parte sono i commercianti che scelgono per gli chef. Questo è il problema, non è la crisi”. Per Pompili, il problema è sindacale. “Siamo indifesi e nessuna istituzione ci protegge. Non sono i cuochi a doversi autogovernare, c’è una situazione da governare a livello nazionale, ma ora c’è troppa confusione. Se uno liberalizza le licenze dei ristoranti questi vanno in crisi. Se per far fronte alla crisi una confederazione nazionale cancella il giorno di chiusura è se come aumentassero del venti per cento i ristoranti. Bisogna invece fare sistema, standardizzare i processi e salvaguardare le tipicità”.
da ROMA
Antonello Colonna: “La formula del mio Open Colonna? Luxury low cost”
Dalla trattoria di famiglia a Labico, paese non distante da Roma, trasformata nel 1985 in ristorante capace di accogliere tutto l’estro di Antonello Colonna, all’ “Open Colonna”, bar ristorante ospitato nello spazio più avveniristico e affascinante del Palazzo delle Esposizioni di Roma, lo “Spazio Serra”, ideato dall’architetto Paolo Desideri. Aperto nell’autunno del 2007 è un locale che ha anticipato alcune risposte per contrastare l’attuale crisi economica. “La formula del “city lunch-low cost”, unita al gourmet serale ci tiene a sufficiente distanza dall’attuale crisi economica mondiale – spiega Antonello Colonna -.
“Un pranzo completo da noi costa 15 euro, mentre per la cena, nonostante sia noto lo stile del gourmet, non registriamo una forte flessione: i nostri sono clienti fedeli, perché non si sentono traditi”. Come si può contrastare la crisi? “E’ ciò che chiamo “luxury low cost”: una formula che consente di non aumentare le ancestrali distanze tra i prodotti di lusso e i clienti in tempo di crisi, bensì accorciarle proponendo prodotti di qualità a basso costo e sfidare la crisi. Un volo aereo può essere low cost, e assicurare un viaggio piacevole e sicuro, quindi non vedo perché non possa essere fatto lo stesso con altri prodotti di prima necessità, come la ristorazione”.
da LICATA (AG)
Pino Cuttaia: “L’offerta va diversificata”
La crisi vista da sud, dal ristorante “La Madia” di Licata, uno tra i migliori della Sicilia. Ne parliamo con Pino Cuttaia, anima del locale, che apre l’intervista con ironia tutta siciliana. “Quale crisi? Io grandi folle non ne ho mai viste! Scherzi a parte, il mio locale è posto su una rotta turistica e gastronomica un po’ difficile: non lavoriamo sulla folla di passaggio ma su clienti abituali che ci vengono a trovare abitualmente. La crisi dunque qui si vede e non si vede. E poi Licata non ha industrie importanti, non è una grande città”. Come altri colleghi, anche Cuttaia insiste su due concetti: il famoso rapporto qualità prezzo e la diversificazione dell’offerta. “Già, bisogna modulare l’offerta, magari aprendo a fianco del locale di alto prezzo un bistrot a prezzi più accessibili. Senza però ingannare il cliente, dimostrando che la qualità si può trovare nel piatto più semplice e nell’ingrediente più povero, basta che ci sia dietro una filosofia sana”.