I vini a base di Cabernet e Merlot, potenti, longevi e progettati per l’invecchiamento in legno, sono l’emblema di una certa vitivinicoltura francese. Ma il modello bordolese è stato esportato in tante parti del mondo, Italia compresa. Quale è il suo posto nella variegata enologia nazionale di oggi e di domani?
In un periodo in cui tutti si piccano di vitigni autoctoni, vergognandosi di condividere alcunchè con la vitivinicoltura “internazionale”, non è certamente glamour occuparsi dei vini stile bordolese. O forse lo è? Intanto qualcuno lo fa, ad esempio il Consorzio Vini Vicentini che ha ospitato lo scorso novembre la terza edizione della manifestazione BCM, dedicata appunto ai vini di taglio bordolese italiani. Di certo la viticoltura di casa nostra non può essere sotto il logo del Bordeaux, o, per dirla con le parole usate da Leonardo Frescobaldi proprio nella manifestazione sopra citata, “è ingannevole usare il termine bordolesi per vini che non vengono da quella regione geografica. Dovremmo chiamarli semplicemente col nome di vitigno; è più corretto.” Tutti assolutamente d’accordo. Ma c’è anche chi auspica un nuovo nome collettivo. Purchè funzioni, aggiungiamo noi: l’esempio del Talento escogitato per gli spumanti metodo classico è un ottimo deterrente ad intraprendere una simile azione.
Dal punto di vista colturale è indubbio che in Italia è stata soprattutto la fascia pedemontana del settentrione ad aver meglio messo a frutto la lezione bordolese e da più tempo, anche se la Toscana in diverse enclavi ha esempi in tal senso sia datati che attuali. Di certo fino a poco tempo fa un numero limitato di uomini ha creduto alle opportunità di questo stile enologico ed infatti poche Doc prevedono un simile uvaggio, obbligando i produttori che vi si cimentano ad utilizzare l’opportunità dell’Igt o del Vino da tavola (è il caso dei Supertuscan). Bisogna tuttavia ammettere che il grado di penetrazione nelle più recenti denominazioni è però, oggi, ben più marcato.
Onore alla Francia
Lo storico latino Columella considerava i vitigni bordolesi selezioni della Vitis biturica, dal nome dei Bituriges, popolo autoctono dell’antica Burdigala della colonizzazione romana, oggi Bordeaux. In queste terre certamente la Vitis biturica fu selezionata e diede origine anzitutto al Carménère, quindi al Cabernet franc, (che successivamente, grazie ad un incrocio spontaneo con il Sauvignon bianco originò il Cabernet sauvignon) ed al Merlot; al gruppo dei bordolesi appartiene inoltre anche il Pétit Verdot. L’uvaggio fra i vitigni bordolesi è un’opera sapiente ed esige profonde conoscenze del terroir e dei vitigni. Nel bordolese, come in Italia, si ottengono ottimi vini anche da un solo vitigno, ma la tradizione latina dell’uvaggio offre maggiori probabilità di ottenere struttura e complessità. Le uve ed i vini dei vitigni bordolesi sono caratterizzati dal comune aroma erbaceo, dovuto in particolare alla pirazina. La varietà più ricca di questa molecola è senza dubbio il Carmenère. Questo aroma dipende, oltre che dal vitigno, dal terroir (clima in particolare), dalla produzione (incrementa con il peso a ceppo), dalla maturazione delle bacche (incrementa nelle uve poco mature), dall’irrigazione e dalla concimazione (se abbondanti ne enfatizzano le note), ecc. Nella pratica i vini giovani sono a volte aggressivi, ossia tannici, astringenti, specie nelle uve acerbe o nei vigneti assai produttivi. L’invecchiamento polimerizza i tannini e li rende, in parte, rotondi. Ad essere sinceri, tranne che per il fatto che Bordeaux si caratterizza nella produzione di vini “di taglio”, cioè che vengono vinificati separatamente e quindi sposati, è certamente difficile parlare di “uno stile Bordeaux”. Comunque fondamentale è la filosofia bordolese del vino, brillantemente esplicitata dalle aziende, pardon Châteaux. Ad esempio i prestigiosi vigneti del Médoc, situati in prossimità dell’estuario della Gironda, godono di terroir particolarmente vocati per i vitigni Cabernet sauvignon e Merlot: i suoli di ‘grave’ sono infatti caratterizzati da una limitata riserva d’acqua, il che permette un’alimentazione delle viti scarsa ma regolare, imponendo vigoria e rese medio-basse, una buona precocità e un’ottima qualità della vendemmia.
La via Italiana
È con l’uvaggio dei due Cabernet col Merlot che si apre storicamente il taglio bordolese in Italia, dove prima dell’avvento del Mercato Comune Europeo Vitivinicolo (1970), si usava anche etichettare Bordeaux o Bordò i vini provenienti da detti vitigni, commettendo nel primo caso un ‘imbroglio’ sull’origine, nel secondo anche denunziando una scarsa competenza linguistica.
Nel Belpaese i vitigni bordolesi hanno di certo una presenza trasversale, anche nel cuore di aree votate ad altre varietà (vedi sangiovese). Un buon esempio di questa distribuzione è stato fornito dai produttori presenti alla manifestazione BCM. “Bagnoli – ha spiegato Lorenzo Borletti – è una piccola Doc in provincia di Padova che si basa sui vitigni bordolesi (vini Merlot o Cabernet monovitigno) in aggiunta ad un autoctono (il Fiularo) nel caso della tipologia Bagnoli Rosso”. Ruggero de Tarczal, in Trentino ha Merlot, Cabernet franc/Carmenere e Cabernet sauvignon all’incirca pariteticamente rappresentati nel vino “Pragiara” e, nella stessa regione, presso l’azienda di Maria Josè Fedrigotti, è nato nel 1961 il Fojaneghe, vino che risulta essere il primo taglio bordolese imbottigliato in Italia. Giordano Emo Capodilista è sui Colli Euganei dove Cabernet e Merlot arrivarono già a fine ‘800. “Certo, una volta per produzioni ‘rustiche’ – ha detto – ma che oggi si sono alquanto raffinate”. Alberto Cisa Asinai di Grèsy nelle Langhe ha piantato il Merlot ed ottenuto ottimi risultati da un vino in purezza. Enrico Drei Donà, invece, ha piantato il Cabernet sauvignon in Romagna, feudo del Sangiovese, per potersi aprire uno spazio nei mercati internazionali, e la cosa ha funzionato.
Nel cuore della Maremma grossetana, Duccio Corsini produce un vino a base Cabernet sauvignon e Merlot, oltre a piccole percentuali di Pétit Verdot e Syrah perché ha verificato che tali vitigni funzionano meglio di altri, mentre, restando in Toscana, Luigi Malenchini e Leonardo Frescobaldi, hanno affermato che i bordolesi sono interessanti perché riescono ad esprimere il territorio; il primo li ha piantati in Maremma (Castello Ginori) ed il secondo nella tenuta Castello di Nipozzano. Non mancano casi di produzioni molto più meridionali, come quelli testimoniati da Diego Planeta e Paolo Marzotto per la Sicilia.
Difficile trarre una conclusione da casistiche tanto differenziate. Emerge tuttavia che lo stile bordolese ha un fascino legato alla tipologia enologica che rappresenta, ovvero vini potenti e strutturati capaci di durare nel tempo e che si avvantaggiano di soggiorni più o meno lunghi in legno. Insomma un vino importante cui affidare, spesso, il ruolo di portabandiera dell’immagine aziendale, anche se ne rappresentano, a volte, una produzione minimale, ed anche quando in pratica ‘distraggono’ il cliente dal core business aziendale, che magari verte su vitigni italici.
I vitigni bordolesi nel mondo
Ma i bordolesi sono famosi non perché solamente emblema del Bordeaux o, ancor meno, perché presenti in Italia; sono infatti la squadra di varietà più diffuse al mondo. Il più ubiquitario è certamente il Merlot, che, globalmente si stima occupi non meno di 230.000 ettari, di cui 100.000 in Francia, 24.000 in Italia, 20.000 in California, 10.000 in Russia, 7.000 in Romania, ecc. Il Merlot è oggi anche il vitigno più propagato al mondo. Il Cabernet sauvignon globalmente occupa fra i 150 e 200.000 ettari; in Francia si stima che questa varietà occupi circa 60.000 ettari, mentre in Italia si coltiva su oltre 12.000 di cui più di 700 in Sicilia, regione di recente conquista. Il Cabernet franc è molto meno coltivato dei primi due e nel mondo si stima in meno di 100.000 ettari la superficie investita con questa varietà (di cui poco più di 38.000 in Francia e meno di 6.000 in Italia). Il Carménère sta rapidamente incrementando la sua presenza in Cile, dove è divenuto il vitigno-bandiera, grazie ad un clima che ne esalta piacevolmente le note fruttate. Da rammentare che tutti questi vitigni hanno subito forti selezioni massali e clonali in Italia e nel mondo, per cui sono disponibili numerosi cloni di caratteristiche produttive e qualitative differenti.
Il vivaio nazionale preannuncia un certo declino
“L’andamento della borsa dei vitigni non si discosta molto da quello della ‘borsa ufficiale’ – ha esordito il direttore dei Vivai Cooperativi di Rauscedo Eugenio Sartori intervenendo a Vicenza. Siamo in un momento di grandi cambiamenti perché il consumo sta velocemente mutando. Già da qualche anno è evidente, in diversi paesi, la flessione dei bordolesi. In Italia c’è il recupero dei bianchi; oggi le barbatelle bianche rappresentano, nei nuovi impianti, il 72% del totale, valore che solo pochi anni fa era invece proprio dei rossi”.
Il Merlot ha registrato un calo vertiginoso delle vendite, in 3 anni da 4.000.000 di barbatelle a poco più di 1.600.000; in Veneto da 600.000 a 300.000 ed in Calabria e Basilicata da 200.000 a 17.000. Per mantenere la superficie attuale la quota di reimpianto annuale dovrebbe interessare oltre 700 ettari – ha spiegato Sartori – invece siamo a meno di 500”. Non va meglio al Cabernet sauvignon: da 8.300.000 barbatelle prodotte nel 2003 ai 3.200.000 attuali. Ogni anno dovrebbe esservi una quota de reimpianto fisiologica di 360 ettari invece siamo a meno del 50%. Cali fortissimi sia in Toscana (-75%) sia in Sicilia (da 100.000 barbatelle a 54.000 in 3 anni). Lo stessa diminuzione si riscontra nel Cabernet franc, anche se è più difficile muoversi fra dati che in alcuni distretti ancora sommano al franc anche erroneamente il Carménère. Nell’ultima campagna si sono prodotte 50.000 barbatelle.
Ma mentre nel Merlot ci si attende una stabilizzazione nei prossimi anni, a riguardo del Cabernet sauvignon è facile pronosticare ulteriori diminuzioni, dato il limite della sommatoria termica di cui abbisogna per una maturazione ottimale, che non è certo raggiungibile in tutti i luoghi. Insomma, per un po’ le logiche di mercato (grande richiesta dei rossi in generale e di questi vini in particolare) avevano prevalso su quelle agronomiche; ora, condannati alla qualità, si tornerà a fare ovunque solo ciò che lì viene meglio, bordolesi, italici o autoctoni che siano.
Un mito creato dai sudditi
di sua maestà
Ma perché il bordolese è entrato nella cultura e nella vita quotidiana degli inglesi? Per il semplice motivo che Bordeaux ha fatto parte a lungo – tre secoli e mezzo fino al 1453 sono un bel pezzo di Storia – della Corona inglese e il vino che sbarcava nei porti del Regno Unito era esente da tasse. Quindi, se in Francia si è sempre giocato il derby fra i tifosi del Bordeaux e quelli del Borgogna, che ancora oggi divide i francesi in due grintosi partiti, in Inghilterra non ci fu gara: niente imposte né balzelli e il più economico trasporto via nave – quando dalla Francia continentale il Borgogna viaggiava su carri a trazione animale – hanno presto fatto la differenza. Detto questo, è evidente che non esiste “il” bordolese, perché non esiste un bordolese uguale all’altro, nemmeno nella vastissima denominazione Bordeaux, una parola che da sola evoca un mondo a sé: basti pensare che vi fanno capo 57 Denominazioni, oltre 110.000 ettari di vigneto, 12 mila viticoltori e, circa, 800 milioni di bottiglie. Bordeaux è probabilmente la più grande macchina da vino del globo.
Merlot: imparammo dagli americani,
che copiarono i francesi…
Col Merlot si fanno alcuni tra i vini più pagati al mondo, (ad esempio Chateau Petrus, Pomerol,…). Certo che non tutte le diffusioni del vitigno hanno seguito canoni qualitativi, come quella che spesso avvenne, anni orsono, in Italia. La chiave del successo internazionale del vino ottenuto da questa varietà non fu però tanto l’esempio francese quanto l’interpretazione californiana. In California infatti, prima degli anni Settanta, si producevano vini modestissimi (vino-bevanda). Robert Mondavi ebbe il merito di iniziare questa trasformazione, copiando i vini francesi. Seguirono poi l’Australia, il Sud Africa ed il Cile. Lo stesso fu ad esempio per l’uso della barrique.
Adatti ai vini bio
I vitigni bordolesi sono spesso rustici per quanto riguarda le resistenze alle più comuni patologie. Per questo sono molto più facili di altri da gestire secondo i dettami dell’agricoltura biologica e biodinamica; questa è una caratteristica molto interessante dato il sempre maggior appeal che il termine “organic” esercita su specifici mercati.