Il modo di stare a tavola in questi ultimi decenni si è modificato moltissimo e purtroppo siamo stati sopraffatti da questi cambiamenti! L’aumento delle persone in sovrappeso testimonia proprio il fatto che non siamo riusciti a gestire in modo corretto tali cambiamenti.
Il progresso tecnologico e la produzione industriale hanno profondamente modificato lo stile di vita, con la conseguenza che sono stati completamente stravolti i concetti di “tempo” – “luogo” – “rito”.
Partiamo dal concetto di “tempo”: è evidente a tutti che non c’è più la stagionalità degli alimenti . Nuovi sistemi produttivi e raffinate tecniche di conservazione dei cibi, permettono di godere per tutto l’anno di frutta a verdure. Ma non è solo questo!
È stato infatti stravolto anche il concetto di “tempo”, inteso proprio come durata dei pasti e come tempo che dedichiamo al momento della preparazione e del consumo del cibo. I ritmi diventano sempre più frenetici e la nostra convinzione è che “…non abbiamo abbastanza tempo per…”. È entrato sempre più, nel nostro modo di alimentarci, il concetto del “fast food”, il mordi e fuggi!
Anche il concetto di “luogo” è cambiato enormemente: anticamente le abitudini alimentari erano legate al territorio; la dieta delle popolazioni mediterranee era molto diversa da quella degli abitanti dei paesi nordici. Nel tempo, le abitudini si sono modificate, molto gradualmente, seguendo i ritmi delle migrazioni, delle conquiste, delle esplorazioni. I contatti tra i popoli portavano al mescolarsi di vari costumi e tradizioni, ma tutto avveniva con molta lentezza e, in ogni caso, l’introduzione di nuove colture poteva essere attuata solo se le condizioni climatiche e territoriali lo permettevano. Anche in questo caso le tecniche di conservazione e la possibilità di trasportare rapidamente da un luogo ad un altro ingenti quantità di prodotti alimentari, hanno permesso di superare i confini della tradizionale geografia gastronomica. I prodotti del territorio regionale sono reperibili a migliaia di chilometri di distanza, mentre l’aumentata facilità di scambio delle culture ha permesso l’affermarsi di stili e modi di consumare il cibo (indiano, cinese, messicano, ecc.), che sono spesso totalmente differenti dal nostro. È cambiato anche il concetto di “luogo” inteso come ambito in cui consumare il cibo: basta guardarsi intorno. Le nostre città pullulano di bar o tavole calde, luoghi cioè, in cui consumare un pranzo rapido; anche nella stessa casa l’ambito non è più semplicemente la cucina o la sala da pranzo, ma può diventare il divano, piuttosto che la scrivania….!
Un altro cambiamento culturale sicuramente rilevante si è verificato nel concetto di “rito”. Qui il discorso è più complesso: il mutamento della situazione non è stato determinato solo dal progresso tecnologico e industriale, ma è la conseguenza di un mutato assetto sociale e di un differente stile di vita. Negli ultimi 50 anni il mondo occidentale ha radicalmente cambiato fisionomia: i nuclei familiari sono poco numerosi o addirittura individuali; i ritmi di lavoro sono intensi. In una situazione di questo genere, il rito della preparazione delle portate è stato lentamente demolito.
La maggior parte delle ventenni di oggi non sa assolutamente preparare i cibi, mentre le ventenni di qualche decennio fa avevano un approccio con il rito della preparazione completamente differente; questo inevitabilmente porta a “non voler più far fatica” nel preparare il cibo: si mangia quello che è disponibile, quello che è già pronto… la fantasia e il gusto si appiattiscono pericolosamente. In una situazione di questo genere, siamo facile preda di prodotti sempre meno salutari. Eliminato il rito della preparazione, resta quello del consumo. Ma, anche qui, la situazione si è ormai modificata in modo evidentissimo. I ritmi di lavoro sempre più veloci non consentono di dedicare troppo tempo al pasto, soprattutto se la “pausa-pranzo” a disposizione è molto breve. Il problema più grave, a mio avviso, è che questi ritmi di consumo frenetico si sono poi trasferiti anche in situazioni in cui la persona potrebbe, obiettivamente, mangiare con più calma.
Di tutto questo si sono accorte le industrie alimentari, che, con l’obiettivo di vendere sempre di più, hanno cercato di agevolare la persona, fornendo prodotti, sempre più sofisticati, che potessero rispondere alle esigenze di ciascuno: ci sono ormai prodotti che provengono da tutto il mondo, la stagionalità di frutta e verdura è stata pressocchè azzerata, ci sono sul mercato una infinità di prodotti già pronti, che non richiedono preparazione, oppure prodotti monodose, adatti per i single, oppure “pasti sostitutivi”, cioè diaboliche barrette che sostituiscono un pasto. È evidente che tutto questo porta a delle conseguenze culturali gravissime: non c’è più, a livello alimentare, una mentalità di tipo educativo, una predisposizione alla conoscenza, una voglia di appassionarsi…ci si dimentica di come si cuociono i cibi, di come si dosano, di come si possono abbinare per esaltarne il gusto: si atrofizza completamente il gusto. Ebbene, qual è l’obiettivo di un’industria alimentare? Solo uno: vendere il proprio prodotto.
Quando ci sono più industrie che propongono lo stesso prodotto, che cosa succede? Bisogna inventare qualcosa di nuovo…e, allora, in base alle esigenze del mercato, ci s’inventa il prodotto light; dopo ci s’inventa il piatto super pronto che fa i salti in padella; dopo ci s’inventa lo yogurt che regola la funzionalità intestinale; ecc.
Ci atrofizzano il gusto, ma cosa ancora più grave, gradualmente, ci tolgono la domanda. Appena abbiamo una necessità, è come se qualcuno ci fornisse già la risposta. L’unico inghippo di tutto questo è che chi ci fornisce queste risposte non è qualcuno che tiene al nostro bene, ma semplicemente qualcuno che, sfruttando le nostre debolezze, ci convince che abbiamo dei bisogni e ci fornisce, lucrando, una risposta parziale a quel bisogno che si è venuto a creare.
Viviamo in una fase di totale disorientamento. A questo punto è d’obbligo una domanda: che cosa fare?
È fondamentale, nei confronti del cibo, recuperare emozioni, sensazioni, passioni ormai completamente appassite; recuperare i prodotti del territorio, valorizzarli, recuperare i piccoli produttori, la loro storia, farsi coinvolgere dalla loro passione; seguire chi ha una sincera passione nei confronti di quello che propone. Questo è il primo passo verso un radicale cambiamento della cultura alimentare; anche un’ eventuale dieta, dunque, deve cercare di risvegliare passioni e fantasie sopite, deve cercare di far intravedere la possibilità di appassionarsi al cibo e, attraverso questa passione, inevitabilmente trovare una misura nel rapporto con gli alimenti.
Di Primo Vercilli