Ristoratori più poveri dei pensionati? Dinanzi ai dati fiscali pubblicati dai giornali (14.000 euro di media la denuncia dei redditi di un ristorante) c'è chi si è messo a ridere, e chi ha risposto con la frase del grande Totò: “ma mi faccia il piacere…”. Nell'immancabile dibattito mediatico sviluppatosi sull'argomento (quale miglior passatempo, per i torridi pomeriggi estivi?), alcuni hanno fatto timidamente notare che la cosa non è nuova: ci sono categorie di contribuenti da sempre sotto osservazione, quelle che hanno la possibilità di svicolare, mentre altre non ce l'hanno, e pagano tutto (e subito). Perchè dunque stupirsi, e perchè proprio ora: non è forse vero che questa crisi è la peggiore di sempre, e per il pentimento dell'evasore non c'è occasione meno adatta? E non è vero che le ultime elezioni politiche hanno premiato soprattutto chi prometteva, insieme a un di più di sicurezza, anche un di meno di tasse? Osservazioni ovvie, ma ci vuol ben altro per spegnere l'incendio delle chiacchiere, quando comincia a infuriare sui media (su internet in primis). Uno dei vantaggi della periodicità mensile (accanto a molti svantaggi) consiste nel poter parlare delle cose a mente fredda, e richiamare l'attenzione su un tema quando magari tutti se ne sono già dimenticati, per inseguire la novità del giorno. Tra l'altro, è facile sollevare l'indignazione del pubblico proprio nel periodo clou della stagione turistica, quando molti consumatori sono ipersensibili all'argomento. Facile inveire contro i ristoratori 'ladri' proprio quando molti devono por mano al portafoglio con maggior frequenza del solito per pranzi e cene fuori casa, ed è statisticamente più probabile incappare in qualche situazione sgradevole, o non del tutto soddisfacente. Vogliamo provare a parlarne ora, con minore enfasi e più cognizione di causa? Ebbene, neanch'io credo che i titolari di esercizi di ristorazione siano, mediamente, dei morti di fame. E tuttavia ho ogni giorno sotto gli occhi situazioni critiche. A fronte di una quota di ristoratori di successo (talora di grande successo), abbiamo un'ampia fascia che vivacchia, magari finisce in pareggio, o va su e giù come uno che tenta di non affogare. Queste aziende chiuderanno, prima o poi. E' la dura ma giusta legge del mercato? Sicuramente è bene che vada avanti chi ha gambe per camminare. Ma nel nostro caso sembra che qualcuno la notte trami segretamente per far sorgere continui ostacoli. Per rendersene conto basta guardare alle mille battaglie (perse) contro quella che per semplicità chiamiamo “concorrenza sleale”. Parlo di battaglie perse, perchè anche quando certe situazioni-limite sono state in qualche modo regolarizzate, con norme un po' più precise e meno 'interpretabili', ciò è sempre avvenuto tenendo in ben scarsa considerazione quelle che erano le richieste dei ristoratori e delle loro associazioni. E' illuminante ripercorrere a ritroso le annose querelles che di volta in volta hanno contrapposto la ristorazione alle molte categorie di esercizi collocate sullo stretto margine che separa la legalità dall'abusivismo: una volta erano i circoli privati, un'altra gli agriturismi, un'altra ancora erano i punti di ristoro delle sagre paesane… Infine, l'inutile battaglia per evitare che i semplici bar e bagni al mare fossero autorizzati a trasformarsi in qualcosa di troppo simile ad un ristorante. La sproporzione tra gli obblighi di legge che un “vero” esercizio di ristorazione deve assolvere e quelli di esercizi similari (nella sostanza) ma non qualificati come tali, crea un divario spesso incolmabile. Consigliamo la lettura di un recente libriccino, “Volevo solo vendere la pizza”, le avventure tragicomiche di un piccolo imprenditore disperso tra i meandri della burocrazia (e che alla fine cederà le armi). Ecco: un'evasione fiscale un po' sopra la media, in questa categoria, potrebbe essere dovuta anche ad una più viva percezione del rischio d'impresa: chi entra in questo gioco sa che è molto facile rompersi le ossa, e quindi – istintivamente – si cautela “in qualche modo”. Non può essere certo una giustificazione per l'illegalità, ma potrebbe spiegare molte cose. Di queste delicate problematiche spesso il cliente è all'oscuro. Fa molta confusione tra tipologie di esercizi diverse, e spesso resta vittima di questa sua ignoranza. Per esempio, paga 40 euro due cosette ingollate alla meglio nel ristoro dello stabilimento balneare, senza rendersi conto che per lo stesso prezzo potrebbe avere ben altro servizio in un ristorante vero. Certo, è anche un problema di educazione del consumatore. Ma è un problema insolubile: se le stesse istituzioni non sono in grado di porre i giusti paletti, le giuste discriminanti, cosa mai potremo aspettarci dalla gente comune?
Di Elsa Mazzolini