La nuova vita del settore della IV gamma passa anche dal settore Horeca che, secondo gli esperti, potrebbe garantire fino al 20% in più di valore aggiunto a questi prodotti ad alto contenuto di servizio.
Non si parla solo ristorazione collettiva, ma anche di chef stellati, hotellerie e agriturismi nell’ottica di “una mano lava l’altra”.
Da un lato (quello produttivo), abbiamo un settore stremato dalle sfavorevoli congiunture economiche che si sono accavallate soprattutto nell’ultimo lustro e che hanno fatto precipitare i prezzi al chilo dell’8%, erodendoli al punto che le aziende del settore stanno lavorando sottocosto di circa il 10% in un contesto, peraltro, di inflazione galoppante.
D’altro canto, anche il canale food service denuncia un bilancio fortemente negativo riguardo alla nati-mortalità delle imprese della ristorazione di Fipe, la Federazione italiana dei pubblici esercizi. Secondo i dati diffusi, nel 2023 hanno chiuso oltre 20mila ristoranti con un saldo negativo per circa 11mila esercizi in meno lungo tutta la Penisola.
Questa situazione crea la necessità da parte dei ristoratori di ottimizzare, fra gli altri interventi, anche i costi di gestione pur senza rinunciare alla qualità delle materie prime.
Tra questi quello della manodopera, ove possibile, e l’introduzione dell’intelligenza artificiale nella gestione aziendale anche in funzione antispreco.
Anche il canale Horeca, insomma, sta vivendo una sorta di muta di pelle che troverebbe nell’industria della IV gamma un partner nella lotta agli sprechi proprio per la logica dei porzionamenti (dimensioni delle buste) su cui si basa la fornitura.
I DATI DEL SETTORE
Nel giro di poco più di un lustro il prezzo al chilo delle insalate in busta che rappresentano l’80% delle referenze di IV gamma, hanno perso quasi dieci punti percentuali a fronte di incrementi dei costi delle materie prime (energia, in primis, ma anche benzina per la logistica o anche la plastica per gli imballaggi) che di fatto hanno causato la chiusura o il ridimensionamento di alcuni colossi del settore, come ad esempio la veneta Cultiva, la multinazionale in miniatura, come si autodefinisce, con base produttiva anche negli Usa, nonché ex-fornitore di Coop per le referenze imbustate biologiche.
Per superare la crisi ha siglato un accordo con l’azienda bergamasca Sab di Telgare. Se Cultiva ha fermato lo stabilimento di Taglio di Po nel rodigino, attraverso la partnership con Sab sta cercando di “ridefinire il concetto di normalità – per usare le parole dell’amministratore delegato di Cultiva, Francesco Boscolo -. La situazione critica in cui versa il business italiano della IV gamma è nota a tutti e, nel recente passato, la nostra azienda ha spesso evidenziato la necessità di unirsi con altre realtà per sopravvivere”.
Alle difficoltà di quest’azienda si aggiungono quelle di altre. L’episodio più recente riguarda La Linea Verde, ad esempio, che si trova nel mezzo di una buriana economica. Dall’inizio dell’anno ha avviato una ristrutturazione aziendale anche il gruppo Adinolfi, uno dei big della Piana del Sele in provincia di Salerno. Tra i pezzi importanti persi per strada si segnala, inoltre, la chiusura dei battenti dell’azienda il Melograno o dell’azienda calabrese Ortomania.
Se la matematica non è un’opinione, i numeri parlano.Passare da prezzi al chilo di 8,51 euro nel 2015 e arrivare ai 7,86 del 2023, ha causato uno stillicidio anche perché in corrispondenza si è registrato un progressivo aumento dei volumi prodotti e immessi sul mercato con la logica “vendo a meno ma vendo di più”.
In soli cinque anni si è passati da una produzione complessiva Italia di 92mila tonnellate alle circa 107mila di quest’anno, al punto che le associazioni di categoria stanno proponendo di fissare un tetto alla produzione quantomeno per evitare la saturazione di mercato che ormai è diventata un vero e proprio collo di bottiglia che passa per il prezzo di 0,99 centesimi delle confezioni vendite a marchio del distributore nel canale retail.
Con l’aumento dei volumi prodotti, il fatturato complessivo 2023 del settore è ritornato al dato pre-Covid di circa miliardo di euro, ma il valore aggiunto si è eroso a dismisura portando i player a lavorare sottocosto per circa il 10%.
I dati sono tanto più sconfortanti se si pensa che, dietro questi prodotti, ci sono ingenti investimenti in tecnologia, ricerca e innovazione non solo in campo (si coltiva soprattutto in serra), ma anche in fase di trasformazione con confezioni high tech per garantire il mantenimento integro del prodotto e processi di lavorazione rigorosamente disciplinati da una norma specifica, la legge sulla IV gamma, che definisce senza margine di errore ogni passaggio del processo di modo da garantire la food safety del prodotto, dalle modalità di lavaggio e asciugatura, al confezionamento, alla selezione ottica.
IL CUL DE SAC DELLA IV GAMMA
Una figura chiave in questa particolare congiuntura di mercato del settore di IV gamma è Antonio Salvatore, presidente dell’Op Oasi che produce per Bonduelle nonché vice presidente di Unaproa, la voce politica delle industrie di IV gamma riunite in Unione Italiana Food (orbita Coldiretti) e anche coordinatore del tavolo di IV gamma costituito nel quadro l’Interprofessione ortofrutticola (orbita Confagricoltura).
“Poiché fino ad oggi il canale di distribuzione principale della IV gamma è stato quello retail – ci dice – non abbiamo dati puntuali del canale Horeca. Nonostante questo, quello della ristorazione, è un ambito che tutti i player stanno guardando con particolare interesse. La stima attuale è che la media delle produzioni di settore rivolte al food service sia intorno al 10% con un trend di crescita guardando ai piani industriali di alcune aziende della filiera”.
I grandi volumi si fanno con le grandi catene anche del food service, come Autogrill o anche MacDonald di cui Bonduelle è storico fornitore. Si parla di una media di circa 3mila tonnellate l’anno.
E in questi dati sono inclusi anche i pomodori di prima gamma, ossia non confezionati né lavati.
“I volumi al momento sono stazionari sul fronte della domanda, pur essendo tornati ai dati pre-Covid, – precisa Salvatore – Questo ha portato gli operatori a definire questa particolare congiuntura di mercato come una tempesta perfetta nel settore del Ready to eat. Da un lato l’aumento dei costi che per il nostro settore è stato pesante perché lavoriamo con tutte le materie prime che sono state coinvolte dall’impennata dei prezzi, a cominciare dalla plastica e dall’elettricità. D’altro canto, facciamo molta fatica a farci riconoscere il valore aggiunto per l’alto contenuto di servizio dai buyer. In termini di andamento delle quotazioni, in sostanza, abbiamo perso 10 centesimi al chilo che, per questo tipo di prodotto molto leggero, è tantissimo”.
Rispetto al picco di ribasso del giugno 2022 quando i valori si sono assestati a quota 107mila tonnellate nazionali su un prezzo base di 7,09 euro al chilo, oggi si registra una leggera ripresa dei prezzi a parità di volumi (7,20 centesimi al chilo) che però non vale a dare fiato ai produttori che lavorano sottocosto di circa il 10%.
“Con il tavolo interprofessionale – dice Salvatore – al quale siedono, oltre alla parte produttiva e a quella industriale anche alcune grandi catene quali Coop, Conad e Carrefour, siamo riusciti a farci riconoscere degli aumenti anche se, nel complesso, non sono soddisfacenti per fare quadrare i conti alle aziende tanto più che la IV gamma italiana è un settore considerato un fiore all’occhiello europeo, che ha il più importante polo produttivo dell’UE per quanto riguarda la rucola che è situato nella Piana del Sele. Al tavolo che per la prima volta unisce tutte le rappresentanze del settore, esiste una consapevolezza di base: se in due anni non si crea la svolta, la IV gamma avrà un mercato con qualche problema serio.
Stiamo cercando di capire se ci sono voglia competenza e capacità per riportare la curva economica verso l’alto. In questo senso, stiamo provando a valutare sul tavolo di Unaproa, le possibilità offerte dal canale Horeca.
Nel frattempo, sempre a livello istituzionale, è già arrivata la seconda convocazione per il gruppo di contatto Italia, Francia e Spagna appositamente costituito per supportare il settore e si è istituito un tavolo ministeriale per fermare l’agonia di questa filiera”.
IV GAMMA E CANALE HORECA
Il settore di IV gamma, che negli anni si è evoluto fino a ricomprendere anche prodotti minimamente processati come le zuppe pronte fresche e pronte al consumo, estratti, centrifugati e piatti unici con ingredienti tra i più disparati definiti arricchitori (come, ad esempio il formaggio o la frutta secca), è sempre stato una prerogativa della Gdo ma con le nuove referenze crea appeal anche nel settore dei bar, dei ristoranti e dell’hotellerie a cui le aziende guardano oggi con interesse.
In termini di quote di mercato, la MDD occupa mediamente fino al 60-70% della torta trovandosi di fatto in una situazione di “controllo” del mercato ma nessuno ha mai neanche ventilato l’ipotesi di abuso di posizione dominante. Segue Bonduelle che è il secondo player di mercato con una quota intorno al 13%. Insieme a Bonduelle, tutti gli altri grandi player del settore, circa sette tra cui La Linea Verde, Ortoromi, Zerbinati, ecc., per lo più riuniti sotto l’ombrello di Unione Italiana Food (orbita Coldiretti), che hanno quote dimezzate rispetto a Bonduelle, generano insieme circa l’80% del fatturato.
Tra le aziende fuori da UIF il Gruppo Rago, grande player della Piana del Sele e molte altre aziende di quel territorio salernitano particolarmente vocato alla produzione di rucola, come ad esempio Almaseges.
Gli equilibri del vecchio modello economico che ha unito per oltre un ventennio la corsa alla crescita dei grandi player di settore, con rendimenti a doppia cifra, hanno iniziato a traballare pesantemente durante il Covid (con ordini a singhiozzo e mal gestiti dalla logistica dell’emergenza improntata sulle priorità della sicurezza sanitaria) e sono crollati con l’impennata dei costi delle materie prime esplosi all’indomani del conflitto russo-ucraino.
Le più grandi aziende che possono investire si stanno orientando verso nuovi canali di sbocco, primo fra tutti l’Horeca che per la IV gamma è stato fino ad ora presidiato poco, nonostante si abbia a che fare con materie prime che rappresentano eccellenze italiane come ad esempio la rucola del piana del Sele, i radicchi, soprattutto quello di Treviso tardivo Igp o anche i fiori eduli. Lo switch verso questo canale di distribuzione comporta non poche sfide, soprattutto logistiche, per cui la transizione, al momento, rappresenta per lo più una scommessa sul futuro che alcuni stanno iniziando a fare.
“Noi facciamo tanta Horeca soprattutto con i fiori eduli – spiega Sara Menin product developer manager de L’Insalata dell’Orto che da novembre ha iniziato a esportarli anche negli Usa, a Miami, in versione deidratata -. Per quanto riguarda le altre referenze di IV gamma, tra le quali abbiamo anche i radicchi veneti Igp, abbiamo abbandonato questo canale qualche tempo fa. Gli ostacoli nascono sostanzialmente dai prezzi più bassi che vengono riconosciuti dai ristoratori e, logisticamente, dal fatto che anziché interfacciarsi con un’unica piattaforma come accade con le catene della Gdo, dovremmo gestire noi l’aspetto logistico, ossia la consegna dell’ultimo miglio ad ogni singolo cliente senza potere contare su un’unica piattaforma logistica attrezzata sulla catena del freddo. Gli esercizi, inoltre, non sono ancora ben strutturati. Non hanno, per lo più, magazzini refrigerati per stoccare questo tipo di prodotto né personale specializzato per gestirlo soprattutto negli agriturismi e negli hotel. Stante la quantità di IV gamma presente sul mercato, i player del settore sono di tutta evidenza orientati alla vendita di grandi volumi e al momento, tolta qualche esperienza legata alle mense, o alle catene di fast food o ancora, ad esempio, agli Autogrill che pure impongono consegne al fornitore store per store, il canale food service non agevola questo obiettivo”.
Da qui il fatto che tra le sfide principali per l’ingresso su larga scala della IV gamma, soprattutto delle eccellenze, come alcune baby leaf quali la rucola, il Tatsoi o la Mizuma, c’è la necessità di costruire nuovi modelli di business anche rivedendo la gestione aziendale, soprattutto per quanto riguarda gli asset logistici e l’aspetto di confezionamento, ossia quello relativo ai formati.
L’Insalata dell’Orto destina al canale Horeca circa 100mila fiori al giorno. “Gli chef non li usano più solo come decorazioni, ma sono diventati degli ingredienti a tutti gli effetti perché amplificano i sapori e i gusti delle ricettazioni. La lavorazione in azienda è minimale per garantire il mantenimento di tutte le caratteristiche. Vengono trattati come i funghi, tamponati con un panno umido e confezionati”.
Il settore dei fiori eduli è in forte crescita. Nel bilancio dell’azienda di Mira, che lavora su 16 varietà di fiori coltivate in quattro ettari, si parla di oltre +20% ogni anno con un accelerata negli ultimi quattro anni.
Il 70% del fatturato legato a queste referenze, viene generato in Italia, il 30 all’estero. Tuttavia le prospettive di crescita all’estero stanno diventando interessanti dal momento che, da tre anni L’Insalata dell’Orto si è specializzata nella disidratazione dei fiori eduli interi. Una referenza unica nel suo genere che, a livello globale è prodotta solo da questa azienda (sono gli unici a deidratare il fiore intero) e che, pur viaggiando su un costo di circa 300 euro al chilo, ha già aperto le porte della società veneta, del mercato statunitense e in particolare di Miami.
LA LOGISTICA NEL CANALE HORECA
Uno dei punti deboli del progetto di crescita della IV gamma nel canale Horeca, è rappresentato dalla frammentarietà delle strutture che vi operano. Mentre la GDO è organizzata con grandi piattaforme logistiche che smistano il prodotto, in tempi assolutamente in linea con la shelf life di questi prodotti (circa 7-10 giorni), senza interrompere mai la catena del freddo, nel canale della ristorazione non esistono questi hub e le consegne dell’ultimo miglio sono affidate agli stessi fornitori che spesso si appoggiano ad aziende di trasporto.
Questo per la IV gamma significa rischio di rotture di carico e quindi sbalzi di temperatura che potrebbero nuocere alla qualità del prodotto e accorciarne la shelf life. A tal proposito, si stanno creando in Italia nuovi hub logistici per il food service. L’ultimo è quello dell’azienda Pregis che, a novembre, ha dato un’accelerata alla realizzazione di un nuovo hub logistico nell’Interporto di Livorno. A partire da questo mese, la storica azienda tra i leader del food service made in Italy può infatti contare su una nuova struttura di immagazzinamento del freddo situata proprio nel porto toscano, in una posizione strategica per potenziare e razionalizzare il servizio di consegna in tutta Italia e, in particolare, verso il Centro e le isole.
Si tratta di un impianto da 3.250 posti pallet, con celle che possono arrivare a -20/-30 °C per una capienza complessiva di quasi 13mila metri cubi, accessibile tramite un’area a temperatura controllata.
Con 5 porte “dock-house” di carico/scarico, un piazzale dedicato di 7mila m2 e 200 m2 di uffici, il magazzino è all’avanguardia anche sul fronte ambientale: è dotato di pannelli fotovoltaici e si avvale di una tecnologia in grado di abbattere al minimo le emissioni nocive.
Per Bruno Gentilini, CEO di Pregis: “Da un punto di vista operativo, questa struttura presenta anche i vantaggi di un deposito doganale privato, grazie alla concessione della Dogana di Livorno.
Questo ci permette di stoccare la merce senza importarla, procedendo alla nazionalizzazione e al commercio solo al momento opportuno. Si tratta di un progetto di potenziamento logistico che consolida il percorso di crescita del nostro Gruppo – prosegue Gentilini –, un ulteriore passo in avanti per un servizio sempre più efficiente ed efficace, ma anche attento – come tutte le nostre sedi – all’impatto sull’ambiente”.
Il nuovo snodo logistico si inserisce nella già capillare rete distributiva dell’azienda, che include 8 filiali e numerosi transit point dislocati strategicamente per garantire una copertura di tutto il territorio nazionale. Protagonista nella ristorazione moderna da più di 60 anni, Pregis è una delle realtà più importanti del panorama food service italiano e conta circa 20mila clienti serviti.
Vanta un assortimento di oltre 16.000 referenze, di cui molte a marchio, in grado di soddisfare tutte le esigenze della ristorazione e del mondo alberghiero, spaziando dai freschi al congelato, dalle carni all’ittico, attraverso numerose specialità ed eccellenze locali e nazionali.
I DATI DEL CANALE HORECA
Nella nuova guida Horeca realizzata da CGA by NielsenIQ, principale società di consulenza per la misurazione, l’analisi e la ricerca nel settore On Premise, in collaborazione con Jakala, si delinea una mappa del settore italiano della consumazione fuori casa che potrebbe essere uno spunto di analisi per le aziende di IV gamma che intendono approcciarsi a questo nuovo sistema di distribuzione.
In Italia si contano circa 400.000 locali (bar, ristoranti, servizi di ospitalità e altri come gelaterie, pasticcerie, rosticcerie e gastronomie). Il 17% dei punti di consumo del Paese si concentra in 12 grandi metropoli, mentre il 44% dei locali si trova nei centri urbani. Si arriva al 60% quando si parla di enoteche e locali serali.
Solo a Milano, la Guida Horeca di CGA by NIQ, individua più di 12mila punti di consumo, di cui più di 6mila ristoranti, circa 5mila bar, circa 800 alloggi, oltre 700 servizi differenti tra gelaterie, rosticcerie e panetterie noti come fornitori di prodotti d’impulso.
Guardando alla tipologia dei servizi offerti, il 54% dei ristoranti è incentrato sulla cucina italiana, seguono le pizzerie (19%) o le formule “ristorante-pizzeria” (12%). Completano l’offerta i ristoranti etnici (6%), i locali che preparano cibo d’asporto (5%), le paninoteche e le piadinerie (3%) e, infine, i fast-food (1%). Tra i ristoranti italiani, circa il 13% si caratterizza per un indice di eccellenza elevata o medio-elevata, con un’offerta di esperienze di consumo particolarmente distintiva e di livello premium. Inoltre, considerando il dinamico segmento del fuori casa italiano, il consumo di cibo dipende non solo dal menu, ma anche dallo specifico momento della giornata. Nel caso dei bar, dopo la colazione, la principale occasione di consumo per il 30% degli esercizi, è il pranzo, per il 13% il dopocena cena; il 9% aperitivo, e l’1% la cena.
La consumazione fuori casa nel nostro Paese è fortemente connessa al settore turistico: il 40% dei locali infatti si trova in un comune costiero e, tra questi, il 10% è collocato direttamente sulla spiaggia. Inoltre, più dell’80% degli hotel e dei B&B è dislocato in comuni che vantano un indice turistico elevato o medio-elevato, a dimostrazione che queste località risultano particolarmente attrattive per il mercato italiano del fuori casa.
Daniela Cardaciotto, On Premise Sales Leader Italia di CGA by NIQ, dichiara: “All’interno del settore italiano della consumazione fuori casa, un canale particolarmente attivo e dinamico nel nostro Paese, la Guida Horeca rappresenta una bussola per orientarsi nelle complesse dinamiche del settore. Infatti, fornisce un’anagrafica di tutti i punti di consumo in cui è possibile effettuare consumazione in loco e permette di segmentarli in funzione di diverse variabili – dalla collocazione geografica all’occasione di consumo, dalla tipologia di canale all’affinità del singolo punto vendita con specifici prodotti. In questo modo, grazie anche all’integrazione con i dati sulle abitudini dei consumatori attraverso la piattaforma TradeDimensions 2.0, consente agli operatori del settore di rimanere costantemente aggiornati sull’evoluzione e sulle opportunità del mercato, e di prioritizzare le proprie strategie sui punti di consumo più affini e potenziali per il proprio business”.
I PROGETTI DI BONDUELLE
Il big one del settore, Bonduelle, sta già lavorando con una campagna promozione di tipo one to one, rivolta ai vai chef con appuntamenti creati ad hoc. L’obiettivo è quello di sviluppare un canale nuovo che possa riconoscere, più di quanto non faccia la GDO, il giusto valore aggiunto ad i prodotti di IV gamma. Per fare questo occorre reimpostare il modello di business, ma per gli esperti non si tratterebbe di una mission impossibile, soprattutto per aziende come Bonduelle che hanno la possibilità di ammortizzare investimenti grazie al fatto che gestiscono diversi asset come quello legato al loro core business di prodotti cosiddetti “canned”.
Per molti player questo è il momento migliore per l’apertura al Canale Horeca che ha certamente un potenziale molto più elevato di crescita rispetto alla Gdo ormai satura (per usare un eufemismo) e anche disamorata da queste referenze (con riferimento all’andamento dei consumi). Basti guardare all’assortimento sempre meno profondo a scaffale dove le referenze si contano sulla punta delle dita di una mano. Sembra di essere tornati indietro nel tempo di venti anni.
“Bisognerebbe rimettere mano – precisa Salvatore – alla legge di IV gamma per riadattarla alle mutate esigenze del settore anche alla luce della possibile apertura al canale Horeca. Tra i temi caldi, la catena del freddo di cui ha bisogno questa filiera per la quale è importante la temperatura di 8°C di conservazione, lungo tutti i passaggi. Con i costi energetici attuali, l’idea di ridurla a 4°C per aumentare la shelf life del prodotto è, oggi, piuttosto complessa da realizzare soprattutto per le grandi catene di retailer”.
IL CASO DELLA RUCOLA IGP
Un caso a sé stante nel panorama delle referenze di IV gamma che sono naturalmente vocate per il canale della ristorazione, è rappresentato dalla Rucola IGP della Piana del Sele. Una vera e propria eccellenza made in Italy dalle grandi proprietà nutrizionali e organolettiche nonché salutistiche. Un prodotto che si presta a raffinate e creative ricette. Non a caso molti dei player che operano nell’areale della denominazione di origine, si stanno al canale Horeca.
Il più grande è il Gruppo Rago, big player con una consolidata esperienza di export di IV gamma in Europa e Medioriente. Rago Group, oggi specializzata nella produzione di insalate di I e IV gamma, in particolare nel ruolo di copacker, ha iniziato la propria attività nel 1892. Da allora, 5 generazioni si sono susseguite alla sua guida: una straordinaria storia che continua in nome di una qualità riconosciuta in tutto il mondo anche perché ha nell’ecosostenibilità, nella ricerca e nell’innovazione, i suoi punti di forza.
“Abbiamo recentemente avviato un piano industriale da 5 milioni di euro per ampliare il nostro impianto di produzione centrale con nuove linee di processo destinate al canale Horeca – afferma Rosario Rago, presidente del Gruppo -. La struttura sarà a regime già dal 2024. Siamo già in contatto con strutture alberghiere di fascia alta nel centro e sud Italia. Il posizionamento di mercato deriva dal fatto che le strutture di fascia media e bassa sono più orientate agli acquisti di prima gamma (sfuso) mentre la fascia alta guarda ai prodotti di IV gamma con interesse anche per ammortizzare l’elevato costo degli chef in cucina”.
Il Gruppo Rago produce dai 600 agli 800 quintali di rucola a settimana, in base alle richieste, e per recuperare la perdita di redditività creatasi nel canale retail si sta spostando sul canale Horeca. “Al momento realizziamo con la ristorazione il 4,5% del totale del nostro fatturato – precisa Rago – ma l’obiettivo del piano industriale è quello di arrivare a triplicare nel giro di un paio d’anni. A tal fine, la struttura è stata ampliata del 40%, sono stati inseriti macchinari nuovi, tre nuove linee processo e cinque selezionatori nuovi a raggi x per il controllo non solo in fase di input (come accade in tutte le aziende) ma anche di output per abbattere il rischio di reclami attraverso il controllo minuzioso delle confezioni che escono”.
La rucola si presta a ricettazioni particolari non solo per le sue caratteristiche organolettiche, ossia la croccantezza e la leggera piccantezza, ma anche per le sue proprietà nutrizionali riconosciute che ne fanno una verdura utile anche per combattere l’ipertensione e le malattie cardiovascolari. Una sorta di superfood su cui sta investendo molto il Consorzio della Rucola della Piana del Sele IGP che ha appena realizzato un ricettario destinato agli chef stellati, con cui riscoprire tutti i possibili usi in cucina. Non solo piatti salati come il pesto ma anche dolci come il gelato, il panettone natalizio o la colomba pasquale.
Recentemente, la Regione Campania ha dato il via libera al progetto presentato per la misura 16 del PSR, che vede insieme il Consorzio di Tutela della Piana del Sele IGP, tre aziende agricole pilota, la fondazione Saccone e ENG4LIFE, spin-off dell’Università di Salerno, nell’ambito più vasto della operatività degli Agricultural Knowledge and Innovation Systems (AKIS) regionali per lo scambio di conoscenze e la diffusione delle innovazioni. L’obiettivo è sperimentare l’estrazione di “4-metiltio butil isotiocianato”, meglio noto come “erucina”, un principio attivo con eccezionali proprietà anti-ipertensive e vasodilatatorie. L’estrazione avverrà attraverso la lavorazione degli scarti di lavorazione della rucola, essiccati e sottoposti ad ultrasuoni, utilizzando come solvente l’etanolo. Il risultato progettuale sarà la valorizzazione degli scarti della rucola, utilizzando quasi il 100% dell’intera produzione, lanciando sul mercato un principio attivo ad alto potenziale nella cosmesi, nella nutraceutica e nella farmacologia. Il progetto prevede di poter sperimentare prima in laboratorio e poi con un prototipo in scala l’intero processo di estrazione.
“Con questo progetto – spiega Vito Busillo, presidente del Consorzio di Tutela della Rucola della Piana del Sele IGP – si offre un ulteriore ampliamento alle potenzialità di questo straordinario prodotto, che fa bene alla salute e risponde alle esigenze di sostenibilità ambientale. Abbiamo già introdotto macchine elettriche per la lavorazione in campo, che abbattono le emissioni. Oggi, con il progetto “erucina”, riusciremo anche a ridurre a zero gli scarti e incrementare il valore aggiunto del prodotto anche del 20% in più. L’ambizione del Consorzio è portare le aziende aderenti a superare nel breve tempo i 400 milioni di fatturato aggregato e candidarci in pochi anni a scalare la top ten dei prodotti agroalimentari italiani DOP e IGP.
Se tutto procede secondo i piani, si partirà entro i prossimi quattro mesi”.
Come Rago anche la grande azienda salernitana Almaseges sta operando lo switch sul canale Horeca. “Il potenziale di questo canale è grande – ci spiega Michele Cetta, responsabile prodotti trasformati di Alma Seeges – ma serve un lavoro di sensibilizzazione su questi prodotti trasformati che non sono conosciuti da tutti. È un mercato tutto da costruire. Abbiamo coinvolto alcuni chef per realizzare ricette particolari con cui procedere ad una campagna di promozione presso i ristoranti anche stellati. Oltre al pesto di rucola fresca, abbiamo lavorato anche con il prodotto disidratato che può essere usato in pasticceria. Abbiamo creato per primi la colomba pasquale alla rucola. Il riscontro è stato buono ma è un mondo tutto nuovo da scoprire. Le criticità del fresco rispetto al trasformato di IV gamma e che nel primo caso la rucola può perdere colore durante le lavorazioni e, rispetto al prodotto confezionato, quello sfuso ha una maggiore durabilità nel tempo. Abbiamo installato nuove linee di processo nel nostro impianto per crescere nel canale Horeca dal 10% del fatturato registrato aggiunto riconosciuto che è di circa il 20%”.
[Questo articolo è tratto dal numero di gennaio-febbraio 2024 de La Madia Travelfood. Puoi acquistare una copia digitale nello sfoglia online oppure sottoscrivere un abbonamento per ricevere ogni due mesi la rivista cartacea]