Valerio Braschi, il giovane romagnolo vincitore della sesta edizione di Masterchef e chef del ristorante “1978”, si racconta a La Madia Travelfood e svela: “Il nuovo non mi fa paura, anzi mi affascina, è sempre stato così.”
Se c’è un settore che in questi anni ha saputo rinnovarsi e adattarsi alle nuove tendenze, questa è sicuramente la cucina. Dapprima nicchia in cui ben pochi avevano coraggio di avventurarsi, ora capofila dei trend e delle mode a livello mondiale. Cassa di risonanza perfetta per questa “primavera culinaria” sono sicuramente i media: dai social network alle app, passando ovviamente per la televisione. Un palcoscenico calcato da un vasto numero di persone, alcune delle quali interessate solo a una breve parentesi di successo mediatico, altre desiderose di affacciarsi e ritagliarsi uno spazio nel mondo dell’enogastronomia.
Cinque anni fa proprio uno di questi talent ha visto trionfare un giovanissimo aspirante chef: stiamo parlando di Valerio Braschi, classe 1997, vincitore della sesta edizione di Masterchef Italia. Ragazzo vulcanico, eclettico, totalmente votato alla sperimentazione, quella di Valerio Braschi è una carriera ancora agli inizi ma già costellata di importanti successi e traguardi a livello internazionale.
A novembre 2019, dopo tre anni di studio, ricerca e viaggi, lo chef Valerio Braschi decide di salutare l’amata Santarcangelo di Romagna per proporre quotidianamente la sua cucina. Dove? Al rinomato “1978” di Roma, locale dai toni caldi ed eleganti, situato nel quartiere Nomentano.
Al “78” Valerio Braschi si ritrova a ricoprire il ruolo di executive chef oltre che quello di co-proprietario del locale.
Abbiamo deciso di incontrarlo per ripercorrere, passo per passo, la sua carriera, dagli albori al successo di Masterchef, fino all’apertura del suo ristorante capitolino.
Non sono mancati ovviamente pensieri e riflessioni sul delicatissimo momento che sta attraversando il comparto enogastronomico del Bel paese.
Quando è nata la sua passione per la cucina?
“La passione per la cucina è nata in me sin dalla tenera età, guardando mio padre e mio fratello armeggiare con fuochi e padelle. La visione del fuoco ha sempre suscitato in me emozioni forti, pure, difficilmente contenibili.”
Questa precoce vocazione culinaria l’ha però portata ad un brutto incidente
Sì, all’età di tre anni ebbi un grave incidente con un minipimer. La cicatrice che porto sul volto ha per me una connotazione positiva, la vedo quasi come una medaglia al valore, un segno di devozione verso il mio mestiere.
Ovviamente per qualche anno restai lontano dal famigerato frullatore a immersione.
Cosa l’ha spinta ad iscriversi ai casting per la sesta edizione di Masterchef Italia?
Sicuramente fu un perfetto connubio fra tre fattori: l’amore per la cucina, la spinta e le pressioni da parte dei miei più cari amici e ovviamente un pizzico di follia, quella spregiudicatezza che solo a diciotto anni puoi avere.
Quanto sono stati determinanti i viaggi per forgiare e influenzare la sua idea di cucina? Qual è il viaggio che l’ha segnata maggiormente?
Il viaggio in Giappone mi è rimasto nel cuore, mi sono approcciato a una cultura totalmente diversa dalla nostra e ho scoperto materie prime incredibili.
Anche dal punto di vista della ristorazione l’esperienza nipponica è stata illuminante: nei locali l’attenzione per il cliente è massima e lo si capisce già dal modo in cui il ristoratore cerca di far comprendere il menu al commensale.
Il piatto che più le è rimasto nel cuore da questa esperienza giapponese?
Sicuramente il sushi di Otani No Sushi, una cena composta da ben trentasei assaggi, accompagnati, ça va sans dire, da ottimo sakè. Tra queste numerose portate quella che mi ha stupito di più è stato il lattume di pesce palla, grigliato e innaffiato con succo di lime. La consistenza era davvero cremosa e il gusto particolarmente intenso, quasi pungente.
Qual è la prima cosa che fa quando visita un Paese sconosciuto?
“Cerco immediatamente di immergermi nelle tradizioni locali attraverso la cucina e la visita dei mercati alimentari, una vera goduria per un appassionato di cucina come me.
Alla base dei miei viaggi c’è sempre una forte spinta data dalla curiosità e dalla voglia di conoscere cibi, sapori e abitudini totalmente diverse dalle mie. Il nuovo non mi fa paura, anzi mi affascina, è sempre stato così.”
Quando ha deciso di fermarsi e stabilirsi in una cucina fissa?
“Dopo la vittoria di Masterchef ho avuto il privilegio di poter proporre la mia cucina attraverso pop-up restaurant in Italia e nel mondo. Particolarmente significative sono state le esperienze in India, dove sono stato chiamato in qualità di Ambasciatore della cucina italiana a Nuova Delhi, e in Olanda, dove per una settimana ho proposto la mia cucina in un fantastico locale di Rotterdam.
Col passare del tempo, però, cresceva in me la voglia del lavoro quotidiano, di avere un mio piccolo spazio nel mondo in cui poter esprimere tutto me stesso. Nasce così, alla fine del 2019, la mia esperienza al “1978” di Roma, locale in cui ricopro il ruolo di co-proprietario ed executive chef.”
Spesso si racconta che la vita di uno chef sia dettata da ritmi serratissimi e da giornate lavorative che vanno ben oltre le classiche otto ore, questa cosa non la spaventa?
“Assolutamente no. Già in adolescenza ero ben conscio della vita che mi avrebbe aspettato, ma questo è il mio lavoro, la mia vocazione. Quando hai un locale, poi, le ore lavorative non contano; il ristorante fa parte di me e sento di dovergli dedicare il maggior tempo possibile.”
Ci può descrivere tre ricette che hanno segnato il suo percorso da chef?
“Come prima ricetta citerei sicuramente il nostro predessert, composto da un gelato al pepe sansho, caviale affumicato e gel di bergamotto, fresco e insolito. Importantissimo anche il nostro abbinamento fra polpo e faraona. Il polpo viene prima cotto a bassa temperatura per conservare umori e morbidezza, poi arrostito per donargli gusto e croccantezza. La faraona, invece, la prepariamo con l’ausilio della pentola Ocoo: in sei ore riusciamo a estrarre l’essenza del volatile senza il minimo ausilio di acqua.
Infine vorrei citare le mie lumache in guazzetto verde, crema d’aglio, nocciole e gel di lime. Al palato è subito evidente la mineralità della lumaca, spinta perfettamente dal guazzetto verde a base di prezzemolo, aceto, pane, olio e jalapeño.
La parte dolce e avvolgente è data dalla crema d’aglio, mentre la tostatura della nocciola ricorda la terra, habitat naturale della lumaca.”
La sua lasagna in tubetto ha creato sicuramente reazioni contrastanti: c’è chi l’ha definita un traditore della tradizione e chi invece ha compreso il valore del suo tributo a un piatto senza tempo.
“La mia ricetta rispecchia a pieno la tradizione nel gusto.
Gli ingredienti sono quelli della lasagna tradizionale; solo la forma viene stravolta. Ci tengo a sottolineare che la mia creazione non vuole assolutamente sostituire la lasagna tradizionale, ma solamente sottolinearne la bontà e l’elettricità.
Mi fa un po’ ridere che la maggior parte delle critiche mi vengano mosse da persone che nella loro lasagna utilizzano prodotti come mozzarella e prosciutto cotto: una blasfemia in piena regola.”
Come è nata l’idea di questa lasagna tanto discussa?
“Nasce da una tradizione di famiglia: all’alba del 26 dicembre, prima addirittura di lavarmi i denti, amo aprire il frigorifero e dare un morso alle lasagne rimaste dal luculliano pranzo natalizio. Il gusto della lasagna del giorno prima è unico, davvero paradisiaco.”
Altra ricetta che sta destando scalpore è quella della “carbonara da bere”. Come l’ha realizzata?
“Ho scelto di creare un distillato non alcolico che avesse lo stesso gusto della carbonara. In pratica ho calibrato in proporzioni precisissime un infuso di pepe nero, uno zabaione al pecorino salato e del guanciale arrosto.
Questa coccola veniva servita come amuse-bouche nel menu dello scorso anno.”
Il settore gastronomico in Italia sta affrontando uno dei momenti più duri e delicati degli ultimi settant’anni. Secondo lei come cambierà la ristorazione nel medio/lungo termine?
“È difficile rispondere. Personalmente spero che la popolazione impari ad apprezzare di più la libertà in senso lato, quella libertà che da oltre un anno ci sta mancando terribilmente.
Mi auguro inoltre che i commensali tornino a dare il giusto significato a un pranzo o a una cena fuori casa: un’occasione speciale in cui, oltre al cibo, attori fondamentali sono da ricercare nella sala, nel servizio e nell’atmosfera.”
Molti locali per rimanere “a galla” sono ricorsi al delivery. Cosa ne pensa se abbinato all’alta cucina?
“Penso che sia possibile portare a domicilio dei piatti buoni e ben eseguiti. Quello che però il delivery non può trasmettere sono le sensazioni che solo il ristorante ti può dare: l’ambiente, le “coccole” del maître, gli abbinamenti del sommelier, l’impiattamento, le temperature.
Può esistere un delivery di alto livello grazie a preparazioni e a materie prime di ottima qualità, ma si ferma alla cucina: la magia della ristorazione a trecentosessanta gradi viene, ovviamente, meno.”
Quale tipologia di cucina deve aspettarsi un cliente che per la prima volta decide di approcciarsi al “1978”?
“Sicuramente una cucina votata alla sperimentazione e al divertimento, senza alcuna barriera.”
Mirai Valerio: la nuova esplosiva proposta di Valerio Braschi
“Mirai Valerio” è il nuovo menu degustazione ideato dall’ex vincitore di Masterchef 6.
In giapponese la parola Mirai significa futuro ed indica per lo chef Valerio Braschi il suo ideale di pensare al futuro, in maniera sempre più grande, elaborata e complessa.
Una proposta di 10 portate che inizia dall’agnello scottato, jus, kefir con caviale e cipollotto.
I ricordi dello chef vengono rievocati da uno dei cavalli di battaglia: xango, foie gras e rana pescatrice. Si tratta di un rollè di foie gras e rana pescatrice, beurre blanc di rana pescatrice e gel di xango: “In questo piatto ho unito il foie gras, ingrediente che amo, assieme allo xango, una bevanda a base di mangostano, estremamente rara e poco conosciuta in Italia”. Un equilibrio del piatto inaspettato: il sapore deciso del foie gras non copre quello della rana pescatrice perché quest’ultima conferisce in cottura il suo gusto marino al foie gras. Un’altra proposta inusuale sono le orecchie di coniglio, ostrica e caviale di plancton marino: “Dopo tante prove siamo riusciti a raggiungere un gusto che ci emoziona al palato”, rivela Valerio.
Nel nuovo menu rimane la tanto discussa Lasagna 2k21: “In tantissimi la criticano ma chiunque la prova se ne innamora. In molti pensano sia solo besciamella e ragù frullati. La verità dietro a questo piatto è che c’è tanta tecnica e molti tentativi diversi per ottenere un gusto il più possibile simile al piatto originale. L’Errore perfetto ha invece una nuova interpretazione: gelato al sansho, gel di bergamotto caviale affumicati di muggine racchiuse in due semisfere di cioccolato bianco temperato”. Mirai Valerio accoglie anche un nuovo dessert: un dolce noto in tutta la Francia “Cannèles, cocco, caramello” con una consistenza unica, croccante all’esterno e morbido all’interno.
Ristorante 1978
Via Zara 27 – 00198 Roma (RM)
Tel. +39 06 69335743 – ristorante1978.it