Dalle Dolomiti alla Val d’Orcia. Da Corvara a Bagno Vignoni. Dall’hotel La Perla (una fra le strutture più affascinanti dell’intero arco alpino, famosa anche per il suo ristorante La Stüa de Michil) all’hotel Posta Marcucci.
Ecco il percorso di Michil Costa, albergatore fra i più illuminati e lungimiranti, che, dal 2017, ha rilevato la nota, storica insegna di questa località toscana ricca di malia.
«Sa cosa mi affascina di queste terre? La bellezza. Qui si vede, si respira… Eppoi c’è un’energia unica, e tanto di autentico. È per questo che, quando i Marcucci hanno deciso di vendere, dopo qualche esitazione iniziale dovuta al grande investimento economico, i miei famigliari si sono decisi a comprare, perché innamorati di questa realtà. Ho seguito gli insegnamenti che mi ha dato mio padre: mi diceva che per avere successo non devi pensare tanto all’obiettivo economico, quanto all’entusiasmo che deriva da una impresa».
E l’impresa era quella di trasformare e ammodernare una struttura, nata nell’Ottocento come locanda di posta, con quasi due secoli di storia alle spalle, senza tradirne lo spirito.
Senza snaturarne l’avvolgente atmosfera d’accoglienza fatta di mobili antichi, luce soffuse e tanta familiare gentilezza. Un’impresa non facile ma con un esito di successo che era già scritto nelle coincidenze.
L’hotel La Perla nasce nel 1956. Nello stesso anno la famiglia Marcucci costruisce il corpo centrale dell’attuale albergo su una vigna spiantata. È poi quando prende a sgorgare acqua calda nella piscina voluta nel giardino retrostante che inizia la fortuna di questa insegna. Da allora l’acqua termale continua a fluire, a una temperatura di 49°, disponendosi poi nelle due vasche, in mezzo al verde giardino, a 38° e a 32°. Così, trasognatamente bagnandosi, le membra trovano ristoro. Ma pure gli occhi e la mente si appagano, d’attorno, con scorci d’incanto, in una atmosfera di sospensione.
Non è solo una questione di vile corpo. Qui è lo spirito a essere coinvolto «perché – chiosa Michil – non ci sono clienti nelle case della famiglia Costa, ma ospiti. E l’ospitalità riguarda l’anima, va oltre il semplice atto di ’ospitare’ in casa propria: è un modo di essere che diventa accoglienza, un aprirsi verso il viandante che viene da me, per me e per la mia terra: e si interessa, rispetta i luoghi, cerca lo scambio, porta condivisione e quindi diventa parte di me, oste, che lo accudisco e faccio del mio meglio per regalargli l’esperienza migliore. A differenza del cliente che sfrutta, usa, abusa e poi se ne va a casa, non fidelizzato e senza lasciare alcunché di sé».
Su questi temi – non di poco conto perché, in ultima analisi, riguardano il rapporto che l’uomo ha col mondo – Michil ha anche pubblicato un suo saggio (FuTurismo. Un accorato appello contro la monocultura turistica, prefazione di Massimo Cacciari, Bolzano, Raetia, 2022, pp. 172, 17.90 euro) che analizza la deleteria ’industrializzazione’ dell’economia turistica massificata e consumistica, proponendo per contro un nuovo concetto di cultura dell’ospitalità, basata sui valori del bene comune, della sostenibilità, dell’identità e dell’umanità.
Ovvio che, all’Hotel Posta Marcucci come nelle altre case della famiglia Costa, alla tavola venga riservata una particolare attenzione: il cibo è, infatti, una via privilegiata per conoscere e conoscersi, coinvolgere e condividere.
A guidare le cucine di Hotel Posta Marcucci c’è il valente Matteo Antoniello (classe 1988) che, nato a Battipaglia e cresciuto fra i fornelli della trattoria di famiglia («già a sei anni aiutavo a sbucciare le patate»), si è formato – dopo la scuola alberghiera – fra i ristoranti della Costiera Amalfitana e i grandi alberghi di Courmayeur.
«Ma la mia vera crescita è iniziata nel 2015 quando sono approdato in Alta Badia, a La Perla. C’era Nicola Laera a dirigere la brigata: è stato il mio maestro. Ha una conoscenza favolosa dei prodotti, una grande professionalità e una profonda umanità. Non solo mi ha insegnato, per esempio, a cucinare la selvaggina e a utilizzare le erbe spontanee, ma soprattutto mi ha trasmesso l’incondizionato amore per questo lavoro».
La filosofia di cucina che regna, qui come a La Perla, si basa su un principio: quello di ricercare nel territorio circostante produttori di materie prime che lavorino con scienza e coscienza, stabilendo con loro un rapporto diretto fondato sulla fiducia.
«Per me è assai importante la qualità. Non riuscirei a cucinare con ingredienti di scarso valore perché io da loro mi lascio ispirare: mi devono stimolare ed emozionare. Eppoi, ci sono istinto e sentimento perché i piatti – sostiene Matteo – quando li cucini, li devi innanzitutto amare. Si pensi alla parmigiana di melanzane: per me è l’amore, tanto che quando la preparo canto melodie napoletane».
Ed è una cucina solare la sua, sì tecnica ma soprattutto emozionale: netta e pulita, piena nei profumi e nei gusti, rotonda e di grande piacevolezza.
A sostenerla, in abbinamenti sempre misurati, ecco poi l’uso sapiente della nota vegetale e aromatica o della frutta a guscio che, variando entrambe sui registri dell’amaricante e della croccantezza, allontanano ogni pericolo di stucchevolezza.
E così, seduti a uno dei tavoli della meravigliosa sala da pranzo panoramica, che guarda laggiù l’orrido del fiume Orcia e la rocca di Tentennano lassù fra le nuvole, si gustano sì ricette toscane di rivisitata tradizione («perché gli ospiti, tanto di casa quanto di fuori, se le aspettano») ma pure pietanze più complesse, ove sono chiamati in causa pesce di mare e prodotti di montagna, arricchiti il più delle volte da spunti campani.
Le origini non si dimenticano «e nella mia cucina infatti – ammette Matteo – non mancano mai il pomodoro San Marzano, la provola, il caciocavallo, la colatura di alici di Cetara… sono prodotti straordinari, e non potrei farne a meno».
Così, per esempio, i canederli sono proposti «alla toscana», ovvero impastati con spinaci e pecorino, su riduzione di carota e burro nocciola, i bottoni di pasta fresca sono farciti di pappa al pomodoro liquida mentre i tortelli sono ripieni di genovese e accompagnati da una girandola di aromi: San Marzano fumé, ricotta salata e basilico. Tanto gusto anche negli antipasti e nei secondi piatti: succose cappesante appena scottate allungano la loro nota di dolce grassezza su fegatelli e amaretti, il profumato trancio di ombrina si sposa con zucchine alla scapece e pecorino di Pienza, mentre la sontuosa suprema di fagiano in crépinette trova compimento nella rapa rossa e nelle arachidi.
C’è un piatto poi che Matteo ama particolarmente: il risotto Vialone Nano con mortadella di Bologna, pistacchi di Bronte e limone: «Vado pazzo sia per i risotti sia per la mortadella, ho quindi pensato di creare un piatto che mettesse insieme queste mie due passioni. Un piacere per me prepararlo: ci metto tutto me stesso!».
Ed è, per chi si trova a tavola, un piacere mangiarlo: il riso tirato nella giusta maniera, la mantecatura perfetta, l’aroma avvolgente, le note croccanti e acide azzeccate…
Come a La Perla (che possiede una selezione di etichette fra le più vaste del nostro Paese), anche all’Hotel Posta Marcucci il vino gioca la sua parte.
La carta, già di bella ampiezza, spazia dall’Italia alla Francia, con un’ovvia predominanza di bottiglie toscane: Montalcino, Montepulciano, Chianti, Bolgheri… Nessuno dei produttori più blasonati manca, e al fianco di questi trovano spazio anche realtà meno conosciute ma di sicuro valore. David Falsetti, il giovane sommelier, non manca mai, poi, di proporre anche una vasta selezione al bicchiere, spingendosi (scelta lodevole ma purtroppo assai rara in Italia) anche su vini di pregio, di lungo affinamento.
[Questo articolo è tratto dal numero di Novembre-Dicembre 2022 de La Madia Travelfood. Puoi acquistare una copia digitale nello Sfoglia Online oppure sottoscrivere un abbonamento per ricevere ogni due mesi la rivista cartacea.]