Una manciata di chilometri divide Civitella del Tronto, con la sua enorme piazzaforte borbonica che fu ultimo ed eroico baluardo contro l’esercito piemontese, dal blu dell’Adriatico. Il mare è laggiù, ben visibile dagli spalti: sembra quasi che lo si possa toccare con la mano, sembra quasi di udire le onde lambire le scoscese pareti rocciose che circondano la cittadella. Eppure, quei pochi chilometri paiono fare da spartiacque a due Abruzzi: quello interno, con la sua tradizione pastorizia e i suoi boschi montani; e quello costiero, con i suoi usi marinari e le sue lunghe spiagge.
Va da sé che pure la cucina muti radicalmente: la carne cede il passo al pesce, e i prodotti della alimurgia agli ortaggi. Proprio questa manciata di chilometri è il tragitto che, da pochi mesi, ha compiuto Sabatino Lattanzi (classe 1988).
Dopo esser stato per molti anni il responsabile della cucina del blasonato Zunica 1880, storica insegna ove si è fatto notare soprattutto per le sue pietanze a base di pesce d’acqua dolce e per le sue interpretazioni dei piatti della tradizione teramana, Sabatino ha ora aperto un proprio locale, battezzandolo col proprio soprannome, Batì, giusto sul lungomare di Tortoreto Lido (Te). Ora, in un ambiente dall’aria informale e contemporanea, con fuochi e forni a vista, e un bel dehors, propone la sua idea di cucina di mare, centrata tanto sulla qualità della materia prima quanto sui meditati abbinamenti che l’accompagnano.
Ai tavoli di Batì non è la tradizione a dettar legge, ma piuttosto una variegata messe di aromi, gusti e consistenze che – con un certo tasso di complessità tecnica – costruiscono l’architettura dei piatti. Si lavora quindi su affumicature, disidratazioni, polverizzazioni e fermentazioni, come, per esempio, nel curioso dialogo fra due pannocchie – quella vegetale (abbrustolita) e quella di mare (il crostaceo) – ove iodio e affumicato si incontrano all’insegna della grassezza dello Squillidae e della dolcezza del mais. O come per il cuore di scarola fermentata con aceto di riso e zucchero con scampi crudi, salsa rosa e salicornia disidratata (una centratissima nuova versione del cocktail di gamberi).
Se i golosi pancotto con moscardino, pomodoro e tre lavorazioni di basilico (fresco, disidratato e olio al basilico) e le vongole con cocco e lemon grass giocano su un’apparente linearità, solleticando le sensazioni gusto-olfattive attraverso azzeccati affondi di pungenza, su un terreno di solida classicità si divagano sia le fettuccelle con bisque di scampi, scampi crudi, caviale, polvere di carapace e santoreggia sia il dentice alla griglia con il suo fondo bruno, le squame fritte e germogli aglio.
Di valore anche il ’reparto dolci’ di Batì che, fuggendo la stucchevolezza, si muove invece su registri improntati alla freschezza: ottimi tanto la mandorla in tutte le sue consistenze (ghiacciata, fritta, in gelato, in biscotto) quanto la colorata salad de fruit con salsa al vino e gelato al fiordilatte. Buono il servizio, buona (ma ancora da implementare) pure la cantina. Decisamente onesti i prezzi: sui 40 euro per due piatti alla carta e un dolce.