Del ’gobbetto’ di Recanati – Giacomo Leopardi –, sempre chino sulle «sudate carte», è noto il disagio verso la cruda realtà, il suo bisogno d’infinito, la trasfigurata passione per la figlia del cocchiere di casa, «la vanità del tutto», il pessimismo… Nozioni, apprese controvoglia sui banchi di scuola, che a tanti hanno reso ’indigesta’ la figura del conte marchigiano, appiattendola sul palco di un mondo ottocentesco da farsa, fatto solo di tormenti dell’anima e slanci patriottici.
Pochi sanno, invece, che il nobiluomo – oltre a essere un grande intellettuale (uno di quelli di cui tanto i nostri giorni avrebbero bisogno) – era anche un amante dei piaceri della tavola, segno che, tutto sommato, la vita nei suoi aspetti minuti conserva sempre e comunque una sua dimensione di positività. E sin anche di bellezza.
Ebbene, nel metafisico «borgo selvaggio» che lo ha visto nascere, fra le dolci verdi colline e l’abbacinante color sabbia degli antichi mattoni di case e palazzi, ha da pochi mesi aperto un meritevole locale, giovane e spigliato tanto quanto chi lo conduce. Casa Bertini si chiama, dal nome del cuoco, e proprietario: Andrea Bertini. Trentaquattro anni e tanta passione, Bertini, recanatese doc, dopo la scuola alberghiera nella vicina Loreto e alcune esperienze in trattorie e ristoranti della zona (dove si è fatto le ossa imparando a gestire con velocità numeri importanti), approda alle cucine dello stellato The Cesar de La Posta Vecchia (uno dei relais più lussuosi d’Italia, che regolarmente ospita protagonisti del jet-set) di Ladispoli, frequenta quindi la prestigiosa Alma di Colorno (giungendo secondo sugli ottanta allievi del suo anno di corso) e quindi si trasferisce per quattro anni All’Enoteca di Canale d’Alba, alla corte di Davide Palluda. Seguono poi due anni presso Mauro Uliassi, prima della decisione di tornare a casa, sull’«ermo colle», per aprire il proprio locale.
Va da sé che con queste esperienze – la conoscenza della grand cuisine internazionale, della ricca tradizione piemontese meditata e attualizzata da uno dei suoi interpreti più valenti e della ’cucina assoluta’ del genio di Senigallia – Bertini abbia maturato una buona consapevolezza delle molteplici possibili declinazioni di aromi e sapori. Il rischio – casomai – una volta al comando del proprio locale, avrebbe proprio potuto essere una certa ’confusione’ nella proposta che, attingendo qua e là, avrebbe rischiato l’impersonalità. Così però non è stato.
I piatti di casa Bertini seguono un grande comandamento: il palato. Sono piatti di gusto, pensati e realizzati in modo pacato. Niente sopra le righe, quindi, secondo uno stile lineare che, privilegiando la carne al pesce, pare trarre forte ispirazione dal territorio marchigiano e dai suoi usi, quasi come chiamando in causa un’ideale cucina di casa, pregna di vecchie ricette e di ricordi d’infanzia.
Ma c’è di più: la contemporaneità si affaccia, in filigrana, nell’elemento vegetale che accompagna l’ingrediente principale, e che, come contrappunto, lo vivifica. Così, per esempio, il goloso gnocco (in realtà una grande mezzaluna) con pecorino di fossa è sposato all’amaro del cicorino selvatico e il soave filetto di trota dei Sibillini con il suo caviale e chips della sua pelle a delle taccole dolci e clorofilliche al contempo.
Non mancano poi inflessioni piemontesi: la parte croccante delle sontuose lumache in umido (altro piatto tipicamente marchigiano) con erbette e scalogni fondenti è data dalle Nocciole Tonda Gentile, il pollo in potacchio (idem come per il precedente) diventa un plin dalla sfoglia superlativa, mentre il solo apparentemente minimale asparago cacio e pepe si rivela un centrato omaggio a Palluda e a uno dei suoi ingredienti feticcio.
Di classe il servizio di Casa Bertini, curato da Matteo Ressico (anche lui scuola Palluda, Ivana, in questo caso): ventiquattro anni appena, ma capacità e gentilezza da vendere, e tanta passione che traspare da occhi e sorriso. In fase di implementazione è invece l’ancora scarna cantina, perlopiù centrata su etichette locali (ma non mancano escursioni fuori regione, Langhe soprattutto, insieme a qualche rada bottiglia francese). Più che onesto il conto: sui 50 euro, scegliendo due piatti alla carta e un dolce, altrettanto se si opta per il menù degustazione da cinque portate, altrimenti 70 euro per quello da sette.