
Cerchiamo, almeno in questo drammatico momento, di evitare l’ipocrisia: non è vero che la categoria di cuochi e ristoratori è coesa.
Potrebbe sembrarlo per quelle tre o quattro manifestazioni di piazza dove molti di loro si sono radunati per esprimere il comune dissenso di fronte alle chiusure dei locali imposte dal governo.
Potrebbe sembrarlo per gli eventi pubblici durante i quali si presentano collettivamente in rappresentanza di associazioni varie.
Potrebbe sembrarlo anche dalle dichiarazioni ufficiali dove si sprecano attestazioni di stima, solidarietà e pacche sulle spalle, perloppiù disattese nei commenti e nei giudizi non proprio benevoli una volta girate, quelle spalle: ve lo dice una che di quei commenti ne sente a bizzeffe.
Certo, esistono le amicizie vere, quelle di vecchia data nate proprio e soprattutto nelle cucine, magari in gioventù, quando si stava tutti in brigata a faticare e a imparare il mestiere.
Ma nella realtà quotidiana, vuoi per il poco tempo a disposizione per coltivare i rapporti interpersonali, vuoi per il progressivo rarefarsi di un vero e proprio spirito di corpo, quella solidarietà, quella volontà di condivisione da libro Cuore sono piuttosto rare a vedersi.
Prova ne è stata anche la decisione, secondo me divisiva, di consentire l’apertura dei ristoranti solo all’interno degli alberghi, come servizio a disposizione di coloro che ne occupano le stanze.
E qui, a fronte di pochissime realtà che hanno deciso di rimanere chiuse per motivi economici ma anche per evitare concorrenze sleali, c’è stata una corsa a chi invece ha trovato gli espedienti più tipicamente italiani, a partire dalla finta occupazione della camera inclusa nel prezzo della cena, fino all’accordo del ristorante con l’albergo più vicino, o alla trasformazione di tanti B&b in mini ristoranti.
Insomma la categoria ha dimostrato che più che la solidarietà vige la regola del mors tua vita mea.
Che dire? Avrei preferito vedere che la ristorazione si battesse, unita, per dimostrare che i locali rispettosi delle normative vigenti, dotati di tutti i costosi presidi anti Covid-19, sono luoghi molto più sicuri di tutti quei negozi rimasti aperti, supermercati inclusi; o che si battesse per proporre aperture a rotazione a beneficio della categoria e dei clienti, invece che accettare di barcamenarsi in improbabili e oscuri delivery.
In pratica, a mio avviso, un comparto che tra bar e ristoranti vantava nel 2019 un fatturato di 85 miliardi di euro, poteva ben far sentire più costruttivamente la propria voce, magari forte di un proprio comitato tecnico scientifico. Si è persa davvero un’occasione per dimostrarsi uniti.
Buon Natale?