Un Armani addosso e una soletta salata che qualcuno chiama prosciutto nelle stomaco, un chilo di olio da 30 euro dentro il motore dell’auto e in casa, per condire, l’olio piú economico della Coop, 120 euro sul viso per una crema di bellezza e un formaggio “sintetico” del frigo.
Anche chi può, non fa una piega per comprarsi il lusso che si vede, ma lesina su ciò che “scompare” dentro al corpo, malgrado il culto del corpo sia oggi ossessivo e obbligatorio.
E sì che il 60% delle nostre malattie ha origini di carattere alimentare e ciò che ingeriamo scompare solo per ricomparire con gli interessi, oltretutto trasmissibili alle future generazioni.
Purtroppo però è vero che in ogni società si consuma per metà con i soldi che si hanno in tasca e per metà con le idee che si hanno in testa.
E questa è senza dubbio la società che molto si cura dell’apparenza e nulla della sostanza, in un sovvertimento dei valori veri tipico della “cultura” dell’edonismo.
Non è quindi una questione solo di danaro e di conseguente discriminazione tra le diverse fasce sociali, né la solita solfa sulla qualità da pagare (anche perchè, con questa scusa, la pretesa qualità è sempre di piú un lusso e non semplicemente qualcosa che deve costare un po’ di piú) ma è piuttosto una questione di effettivo buon gusto, di saper riconoscere la qualità e operare scelte di valore.
Certamente non è facile far propria questa mentalità, malgrado sembri che tutto il mondo della formazione e dell’informazione oggi finalmente ci aiuti a farlo. In realtà, mentre in effetti si fa un gran parlare dei mille prodotti buoni e tipici di cui l’Italia si fa vanto – tutti così di nicchia, così rari e irripetibili, così costosi – la necessità di una qualità di base, che parta dalla normale spesa quotidiana, è ancora un obiettivo improbabile.
La mancanza di una informazione corretta, di una cultura radicata della nostra gastronomia e delle nostre tradizioni, i mille trabocchetti in cui si cade per fretta, conoscenze approssimative o nulle, convenienza economica, necessità prima che piacere di alimentarsi, spingono verso scelte che vanno proprio contro noi stessi e contro ogni nostro reale vantaggio.
Non mi illudo che questo attuale, nuovo e trasversale interesse per la gastronomia faccia miracoli, in quanto è ancora troppo modaiolo per essere letto come movimento di pensiero, mi piace tuttavia credere che i “consumatori” arrivino ad amare se stessi fino al punto di rispettarsi.