Di Elsa Mazzolini
Nell’aprile scorso i giornali di mezzo mondo hanno pubblicato la classifica dei 50 migliori ristoranti della terra stilata da Restaurant Magazine, una piccola rivista di nicchia che proprio grazie a questa graduatoria sembra aver acquisito una notorietà che va ben oltre la sua tiratura.
651 giurati fra cuochi e giornalisti hanno messo ai primi 3 posti, rispettivamente, i locali di Ferran Adria, Blumenthal e Gagnaire e stabilito che sono sei gli italiani meritevoli di menzione (Pierangelini, Alaimo, Nadia Santini, Pinchiorri, Cracco e Scabin).
Niente Beck e la Pergola dell’Hilton, niente Don Alfonso, niente Vissani.
È lui, soprattutto e da tempo, l’escluso di molte classifiche cosiddette internazionali, dove, se vai a vedere il nome e la preparazione dei giurati, ti accorgi che è gente che non è neppure mai uscita dall’angusto portoncino di casa propria. Nel quadro generale di questa e di altre guide analoghe compaiono nomi che neanche possono allacciare le scarpe allo chef di Baschi, la cui assoluta grandezza professionale è indiscutibile.
Tutto si può dire di lui (e io, tra l’altro, non gliele ho mai mandate a dire) ma non che non sia uno chef geniale di straordinaria levatura.
E a chi mi ribatte che la mancata menzione è dovuta al fatto che Vissani, dati i suoi impegni televisivi, è spesso assente da Baschi, rispondo che raramente si può incontrare, per esempio, Ducasse non tanto in uno dei suoi numerosi ristoranti sparsi nel mondo, ma anche soltanto a Le Louis XV (8° posto) o al Plaza Athènèe (20°). Inoltre, se è vero che la classifica premia la qualità del ristorante, indipendentemente dal fatto, come logico, che vi si mangi bene anche se lo chef ha gli orecchioni, da Vissani non solo si mangia costantemente ad altissimi livelli data la scrupolosa preparazione della sua brigata, ma il servizio è impeccabile e simpaticamente premuroso, gli ambienti curatissimi e, cosa che non avviene altrove, continuamente resi piú eleganti da una quasi maniacale attenzione anche ai minimi dettagli.
“Vissani – mi dice Enzo Vizzari, che di questa giuria fa parte – paga lo scotto di non essersi mai inserito in quel circuito internazionale dei grandi congressi di chef, che è ormai l’unico mezzo per darsi una collocazione nello star system. Inoltre è il peggior p.r. di se stesso, incurante di accattivarsi simpatie o di crearsi utili alleanze.
Così di lui spesso si parla male a prescindere, e quasi sempre senza che chi spara abbia mai mangiato a Baschi”.
Spiegazione plausibile, ma che non ha niente a che vedere con una meritocratica e non arbitraria funzione critica.
Quindi se l’Andrea Petrini indicato come responsabile italiano della giuria internazionale ha ritenuto di non dover includere né Vissani, né tanto meno Marchesi (e invece i francesi, mica scemi, ci hanno infilato ancora l’immarcescibile Bocuse, ma non, per esempio, la Maison de Bricourt di Roellinger) significa che, o ancora una volta ci vogliamo fare del male da soli, oppure la classifica redatta dalla rivista inglese è unicamente il risultato di una manovrata operazione lobbistica, volta a premiare tanti ristoranti supportati da esasperate forzature mediatiche (vedi il tipo di locali londinesi classificati). Il che lascia esterrefatto chi la professione la sa fare davvero.
Così succede che il vulcanico chef catalano Santi Santamaria gridi allo scandalo contro tutto questo circo mediatico preparato a tavolino e che molti giornalisti di fama internazionale se ne chiamino fuori.
Ecco perché, con la libertà ideologica che ci ha sempre contraddistinto e con l’aiuto di esperti che il mondo enogastronomico l’hanno girato davvero e i parametri li conoscono, in autunno pubblicheremo la nostra classifica… tanto per non farci mancare niente.