Non confondiamo una cosa con un’altra: anche i wine-bar sono tali solo se rispettano le regole
Anche le associazioni sempre garantiste di tutto e di tutti, e quindi di nessuno, sembrano cominciare a ragionare secondo logica e non secondo l’ottica ristretta e corporativistica abituale. Tra i piú vistosi segnali di apertura c’è l’abbandono di una difesa ad oltranza della “libera vendita”, perseguita in passato anche a rischio di entrare in rotta di collisione con gli interessi dei consumatori. Si tratta della vecchia idea secondo la quale chi vende può fare praticamente ciò che vuole, tanto poi sarà il mercato a premiarlo o punirlo. In questa visione rientrano anche certe forme direttamente o indirettamente promozionali: fino a ieri si riteneva che, per comunicare la propria immagine, un’impresa commerciale fosse libera di scegliere qualunque strategia, perchè quel che conta poi sono i risultati. Oggi invece si sta facendo strada un modo di ragionare molto piú realistico: viene considerata l’ottica duplice di chi vende e di chi compra come due facce inseparabili della stessa medaglia. In questa chiave si comincia a prendere posizione, per esempio, sui cosiddetti “wine-bar” che tali spesso non sono e che per promuovere la propria immagine si appropriano in modo disinvolto di un’etichetta non esattamente corrispondente alla realtà, approfittando del carattere vago e generico di certe definizioni. Se in passato c’è stata piú tolleranza per chi usava come specchietto per le allodole la parolina “wine-bar” anche quando il “wine” si riduceva a poche bottiglia di dubbia qualità – ritenendo questo un modo tutto sommato innocuo per attirare qualche avventore in piú – oggi la cosa viene vista in una prospettiva piú critica, che è finalmente quella giusta. Innanzitutto si è compreso che il cliente catturato con certi mezzucci non solo è una conquista effimera, ma è un vero e proprio boomerang. Viene così superata anche una vecchia accezione della “concorrenza sleale”, basata sull’idea che i furbi, con i loro giochetti, si arricchiscano ai danni degli onesti. Oggi dovrebbe finalmente passare l’idea che i furbi non esistono: chi usa mezzi impropri, alla lunga, causa danno anche a se stesso. Se non altro perché guasta quel mercato di cui anch’egli vive. Ma il vero, grande salto di qualità, consiste nel non considerare piú il cliente come una controparte, ma piuttosto come un alleato prezioso. La sua crescita culturale rappresenta un evento favorevole per il mercato e non l’ennesima insidia. Una domanda piú esigente aiuta a migliorare l’offerta: tra cliente ed esercente si instaura infatti una ‘gara’ virtuosa e stimolante. Nella questione dei “wine-bar”, la svolta verso questo nuovo modo di ragionare è segnalata dal fatto che la richiesta di regole piú severe ora viene proprio anche da chi rappresenta gli esercenti. Bene così: è ciò che tutti ci aspettiamo da associazioni di categoria all’altezza dei tempi.