La rivalità tra le varie nazioni europee ha radici storiche e culturali difficilmente riassumibili, ma fortunatamente è stata anche un motore, a livello concorrenziale, utile a stimolare la crescita e la ricerca della qualità. Ne sono una prova le grandi fiere di settore dove, da oltre un secolo e mezzo, si presentano e si confrontano le aziende dei Paesi di tutto il mondo.
Il primo Expo fu organizzato a Londra nel 1851 ma quello a cui, per ovvi motivi, siamo maggiormente legati, è il secondo organizzato in Francia nel 1855.
Napoleone III voleva a tutti i costi primeggiare e non sfigurare agli occhi del mondo, pertanto, da grande amante dell’arte e del buon bere, ordinò di redigere la classificazione ufficiale del vino di Bordeaux, e contestualmente fece costruire l’avveniristico Palais de l’Industrie e un padiglione atto a contenere, per la prima volta, una sezione dedicata alle belle arti.
Il tempo era poco e il numero dei Cru era enorme, basti pensare che una prima suddivisione ebbe luogo nel 1815 ad opera di Abraham Lawton, un courtier che ne aveva già riconosciuti 323. La camera di commercio di Bordeaux decise quindi di affidarsi al syndicat des courtiers che usò, come metro di giudizio, solamente il prezzo medio degli ultimi dieci anni e le proprietà in possesso di uno Château (castello).
Questa prima classificazione ufficiale dei Cru è rimasta immutata fino al 1973 anno in cui, finalmente, Mouton-Rothshild fu promosso alla massima categoria.
Come se non bastassero i rinomati negociants a rendere complesso il mondo del vino francese sono spuntati fuori anche i courtier… ma cerchiamo di fare chiarezza.
Tutto partì nel 1600 ad opera degli olandesi che si trovavano a Bordeaux per bonificare le paludi: grazie alle loro doti di commercianti capirono subito che occuparsi della compravendita del vino sarebbe stato un affare vincente. Le vigne infatti appartenevano quasi
esclusivamente a famiglie nobiliari che, non volendo avere contatti diretti con i clienti, accolsero con piacere questo sodalizio.
Successivamente tale legame si fortificò soprattutto per motivi economici: i produttori avrebbero pagato meno tasse se si fossero occupati solo della parte “agricola” invece che della vendita.
I negociants, saldando in anticipo il loro debito (en Primeur), fungevano quindi da vere e proprie banche per i produttori che, chiaramente, incrementarono la produzione.
Oltretutto, in questo modo, riuscivano a svolgere il difficile compito di moderare l’andamento altalenante del prezzo dato dalla differente qualità delle annate.
Nel diciannovesimo secolo, qualora un cliente lo avesse richiesto, esisteva la possibilità di creare dei blend personalizzati, tanto che sarebbe stato possibile avere una barrique contenente il 50% di Château Latour e il rimanente di Château Lafite Rothschild,
oppure aggiungere al taglio una parte di vino proveniente dall’Hermitage, pratiche che oggi sarebbero considerate pura eresia.
Attualmente i negociants vantano una rete di contatti così fitta che riescono a vendere tutta la produzione in pochissimo tempo “piazzando” una media di centomila bottiglie l’ora.
In Borgogna sono divenuti invece veri e propri affinatori di vino, partendo dal non comprare più il prodotto già pronto, bensì mosto o uve, in tal modo riuscendo a occuparsi direttamente di ogni singolo passaggio della vinificazione.
Basti pensare a nomi del calibro di Boisset, Drouhin, Faiveley, Jadot, Latour.
In questo connubio talmente idilliaco da sembrare perfetto, si potrebbe faticare a capire come inserire i courtier, che ad un osservatore poco attento potrebbero sembrare solamente dei semplici intermediari.
Provate a immaginare un tempo in cui tutta l’attuale tecnologia di ricerca non poteva essere sfruttata, figuratevi dunque quanto poteva essere difficile orientarsi all’interno dell’immenso dedalo dei Cru per trovare un particolare tipo di vino, oppure, la difficoltà di un negoziante nel sapere quale fosse il prezzo o l’annata più appropriata. In suo aiuto arrivava, per l’appunto, il courtier.
Mastro conoscitore di ogni singola parcella di terreno, se non addirittura del contenuto di ogni singola barrique, lui invece avrebbe saputo indirizzare l’acquirente verso la scelta più adatta alle sue esigenze.
Chiamati anche “Mister 2%”, nome derivato dalla loro percentuale di guadagno in ogni vendita, al contrario di quanto si possa pensare hanno contribuito a tenere il prezzo più basso possibile nelle quotazioni dei vini.
A conferma di quanto appena detto, bisogna ricordare quello che accadde nel 2005 a Michel Rolland che, tentando di staccarsi da questo sistema, mise in commercio autonomamente il suo Pomerol Château Le Bon Pasteur.
Il risultato di questa scelta lo portò ad applicare un prezzo decisamente più alto rispetto alla concorrenza, con la conseguenza di una mole di vendita molto al di sotto degli standard precedenti. In seguito a questo errore di valutazione tornò indietro sui suoi passi.
I courtier, non potendo possedere un magazzino proprio, non possono speculare sul prezzo, ma devono conoscere dettagliatamente quanti e quali stock di annate passate sono ancora presenti nei depositi dei negozianti per far fronte ad eventuali richieste di
compravendite nel B2B.
Per poter praticare questo mestiere tanto affascinante quanto complesso, dal 1997 si richiede il superamento di un esame a seguito di almeno cinque anni di studi, onde evitare di mettere in cattiva luce l’intera categoria.
Attualmente a Bordeaux ce ne sono più di 120, ma solo una ventina di loro lavora con cantine di fascia premium, i più noti sono: Tastet Lawton, Les Grands Crus, Balaresque, Laurent Quancard, e Leveque, che è il più giovane di Bordeaux.
Enciclopedie viventi dalla più vasta conoscenza del mondo del vino e del mercato stesso, devono oltretutto guadagnarsi la fiducia di tutte le parti in gioco cementando i rapporti interpersonali.
Il loro aiuto a velocizzare e massimizzare le transazioni tra gli Château ed i negociants li rende di fondamentale importanza per il mondo del commercio del vino.