Seguo Alessandro Panichi da pochi mesi dopo il suo arrivo a Villa Aretusi, nel 2011: il primo ruolo importante da chef, dopo una gavetta come ce ne sono state poche in Italia. Sul curriculum nomi come Gualtiero Marchesi, Angelo Paracucchi (per via indiretta, giacché aveva già lasciato la Locanda dell’Angelo, dove la sua presenza e il suo sapere continuavano però ad aleggiare), Paolo Lopriore, Silvio Salmoiraghi, Marco Fadiga, Nadia Santini. Un compendio vivente della cucina italiana.
Da allora la crescita è stata ininterrotta, tanto che secondo autorevoli pareri Panichi sarebbe ormai il migliore cuoco di Bologna: sotto la patina avanguardista alla Pier Bussetti, suo ultimo chef, che me lo aveva segnalato, un lavorio di politura paziente ha svelato la stoffa di un cuoco dalla sensibilità classica, per quanto attento al nuovo, tecnicamente solidissimo e dotato di un ottimo palato. Aiutato da una proprietà che su una piazza chiusa a ostrica come quella bolognese continua a investire: sono già in agenda importanti migliorie alla struttura. Ma il salto di qualità è anche nei dettagli, come la nuova linea di piatti, che ha fatto svoltare l’estetica.
23 anni di cucina su 37 significano dimestichezza e capacità di giocare con le categorie culinarie, magari sottotraccia per evitare zavorramenti concettuali. Vedi l’Insalata nel mare, con crostacei e molluschi crudi e cotti in tutti i modi, comunque integri e praticamente sconditi, su una terra di pane e polvere di cozze, vongole, ostriche e ricci dal gusto evoluto, più le alghe e il sedano rapa marinato all’essenza di legno per il profumo di tronco bagnato, la schiuma di acqua di mare su un lato: un paesaggio commestibile costruito su diverse nuance sapide, che in fondo rovescia letteralmente il classico gratin con l’irruenza di una mareggiata. Una sensazione familiare al ligure Panichi. Soprattutto il risotto al cetriolo, che seppure non dichiaratamente scherza con il comfort estivo dell’insalata di riso. La cottura avviene nel centrifugato di cetriolo, che conserva note crude e colori brillanti grazie all’aggiunta finale in mantecatura, assieme al burro acido e non. In superficie una quenelle di scampi battuti, la cui dolcezza è elegantemente bilanciata dal leggero amaro dell’ortaggio, utilizzato con metà della sua buccia, e una riga di polvere di capperi per la sapidità.
Ma in uno stile che si è fatto via via più vario, risalta anche la linea dei piatti ispirati ai gusti primari, come la scaloppa di foie gras servita con crema acida di kiwi dall’appeal anni ’80, uova di salmone, sapide ma anche amare, e rafano per il piccante, che ripercorre e varia gli equilibri dello storico millefoglie di Berasategui alla mela verde: acidità, ittico, naso impattante. Bilanciamento e istinto.