2016: siamo ancora in tempo per un congresso di cucina? Chi ne segue da tempo sa che sono nati in un’altra era geologica, quando la cucina, trainata dalla locomotiva di ElBulli, macinava tecniche e concetti, inarrestabile. Poi la vena spettacolare ha preso il sopravvento, con un profluvio di video per la gioia delle agenzie di comunicazione, e proprio mentre gli argomenti si prosciugavano, gli eventi si sono riprodotti come conigli: non c’è praticamente giorno senza cooking show in qualche parte del paese. Cosa che ha reso ancor più cruciale il ruolo degli organizzatori, chiamati a muoversi su scala globale per monitorare l’emergere di novità in tutto il mondo. Un tempo bastava affidarsi ai soliti noti per un successo assicurato. Oggi non più.
È per questo che nell’edizione 2016 ho particolarmente apprezzato l’intervento di Massimiliano Alajmo: un vero intervento da congresso, incentrato sulla cucina, ma senza ridursi a una carrellata di piatti, e nello specifico su una tecnica, quella del forno a pressione. Un cuoco di cui si parla troppo poco, Alajmo, forse per il pudore che ne rappresenta la cifra, in contrasto con la spettacolarizzazione corrente; forse perché l’eccellenza dopo un po’ smette di fare notizia, anche se continua a scavare come la talpa di Marx.
Massimiliano è salito sul palco come un cuoco vero, non come un filosofo o un astronauta, sfoderando una formidabile capacità di diagonalizzazione: dal gesto quotidiano del cuoco alla disciplina del suo lavoro, dall’acribia nello studio di molecole e temperature alla spiritualità profonda del cucinare, dalla medicina alla contemplazione, passando per una pentola sul fuoco. O meglio per una camera di cottura, che preserva come nessun’altra l’integrità dell’ingrediente, propiziando succulenze record grazie all’acqua, elemento “capace di trasportare naturalezze della materia, che ritroviamo nel piatto”. Il forno a pressione è lo strumento per la messa in opera della verità dell’ingrediente, senza tentazioni cosmetiche, in piatti limpidi e graziosamente estremi, dal dressage naturale e dalla composizione pulita ed essenziale, inedita per le Calandre, che si tratti di fagioli con le banane o di una lisca di sgombro proposta nell’incredibile understatement di una frittura con la maionese. Tecnica sì, ma sublimata in ossessione e sussurrata in poesia, senza mai varcare i confini del pass. Il senso stesso di un congresso di cucina, e forse della cucina in generale.