Il portone in ferro del Casadonna è alle nostre spalle: siamo appena usciti da uno dei templi mondiali della ristorazione e dell’accoglienza. La sensazione è quella di essere in quella sorta di limbo che precede il risveglio, quando è ancora labile il confine fra sogno e realtà.
La suggestiva struttura bianca e austera del Casadonna si allontana, mentre si allarga l’orizzonte prospettico sui vigneti che la circondano. Qualche minuto dopo siamo nel cuore dell’Abruzzo con le sue imponenti montagne arrotondate; solo ora cominciamo a metabolizzare mentalmente l’esperienza vissuta da Niko Romito. Omen nomen – Romito: l’eremita.
L’isolamento anche geografico è una caratteristica evidente di questa zona dell’Abruzzo, è il suo limite e la sua forza. Ma Niko qui è nato, qui è restato, qui ha costruito il suo paradiso di (tre) stelle. Dunque il piccolo sacrificio necessario per arrivare a Castel Di Sangro rientra nella poetica di Romito che in qualche modo impone un viaggio nelle radici più profonde della sua terra.
L’intento apologetico è evidente: “noi siamo il nostro territorio, noi siamo la nostra storia e le nostre tradizioni”. Un messaggio che passa attraverso la materia, la tecnica, la perfezione esecutiva dei piatti, la visione di una straordinaria cucina contemporanea, ma anche attraverso un’accoglienza straordinaria: un capolavoro assoluto.
E qui volevamo arrivare, a quel capolavoro che è l’assoluto di cipolle con parmigiano e zafferano tostato, un piatto che racchiude tutta la sua visione, fatta di (pochi) sapori netti che si insinuano come lame, dove il concetto non prevarica mai la fruibilità, dove le idee non richiedono interpretazioni, dove la perfezione è declinata in modo comprensibile. Sì perché da Romito chiunque, anche chi non frequenta abitualmente cucine stellate, trova facilmente il proprio comfortfood tra le portate. Pensiamo alla spigola con capperi ed estratto di prezzemolo: una disarmante semplicità con tre sapori che guidano una piccola sinfonia espressiva che resterà impressa nei ricordi. La sinfonia lascia poi spazio all’acuto del tenore, e così arriva la misticanza alcolica (con gin) con una crema di mandorle alla base. Portate di incredibile immediatezza che azzerano la distanza fra cibo e pensiero.
Romito ci conduce nel cuore della materia prima come una schioppettata, ma la tensione per ottenere tali risultati è estrema.
La verza arrosto, ad esempio, ne è l’emblema, con i suoi 40 giorni di preparazione per un lungo processo di fermentazione che in bocca esplode in un’incontenibile concentrazione di sapore.
Dopo gli straordinari pani serviti all’inizio (focaccia di saragolla, sfoglia croccante con farina di ceci e rosmarino, grissini con farina di solina e miele di castagno), a circa metà della degustazione del lungo menù, arriverà sul tavolo una pagnotta accompagnata da una perentoria raccomandazione: “questo è il pane dello chef, una portata a cui lui tiene molto”.
Pensiamo che non ci sia analisi o dissertazione che possa far capire l’approccio di Niko Romito come l’affaire del pane: la straordinaria pagnotta di pane (con un impasto che riesce a combinare la crosta croccantissima con la fastosità della mollica) assurge a totem simbolico per la celebrazione del grano. Siamo di fronte ad un colpo ad effetto senza nessun fuoco d’artificio: solo materia.
Niko Romito si pone davanti al proprio ospite scevro da sovrastrutture, e tutto scorre con sapori scolpiti nella pietra: pancetta e sedano rapa; calamaro pepe e lattuga; tortelli di pollo; fettuccine di semola con gamberi rossi e pepe rosa. Lenticchie, nocciole e aglio (piatto del 2017) rappresenta, a seguire, l’ennesima prodezza, per aver elevato l’aglio e le nocciole a protagonisti da red carpet.
Pulizia totale ed equilibri impressionanti, fra dolcezza ed acidità, nella granita di liquirizia, aceto di vino, cioccolato bianco e aceto balsamico.
Il servizio in sala – guidato da Cristiana Romito – è la sintesi fra precisione e discrezione: lo stesso leit motive della cucina.
Nel bilancio, con tutte le voci stabilmente collocate nella colonna dei plus, balzano alla mente i benvenuti dalla cucina con i quali Romito ha voluto tracciare senza ambiguità le sua linea: soffice di pistacchio salato; ravanello marinato; pomodoro arrosto glassato al miele; fagottino di pane e ragù; patata sotto la cenere; crostatina con olive nere e olio extravergine d’oliva.
Esperienza totalizzante, che include anche il soggiorno al Casadonna con le sue nove stanze di un lusso morigerato, senza eccessi, minimale e solare, in linea di continuità con la sala ristorante, e il giardino per l’aperitivo.
E la colazione che, da sola, vale il viaggio!