Dimenticate il (sublime) plateau di frutti di mare crudi, ostriche imperiali e taratuffi; le distese di burrata e Canestrato; i ricchi buffet con musica di sottofondo, i bambini incravattati e l’inevitabile coppia di sposi. Quella di Angelo Sabatelli è una Puglia come non l’avete mai gustata. Contemporanea, elegante, minimalista. Fuori dalle mappe unte e consunte della guide e dei gourmet.
Ci si arriva risalendo (si fa per dire) dal mare di Monopoli, fino al cortile bianco di quella che una volta era una masseria. All’interno le pietre luminose, tipiche della zona, e oggetti di una civiltà contadina ancora alacre là fuori. Gli spazi sono ampi; i tavoli privi di tovaglia e ben distanziati. Appena una trentina di coperti e nessun adito alla banchettistica: siamo nel migliore ristorante della Puglia ed epicentro indiscutibile della nuova cucina meridionale. Angelo Sabatelli vi si aggira dal 2010, dopo un percorso di formazione anomalo, senza soste di rilievo nelle caselle di rito. Nato proprio a Monopoli e qui passato per la banchettistica e una grande pasticceria, Allegrini, è stato folgorato dall’alta cucina durante il servizio militare a Bologna, sfogliando un numero di Gran Gourmet dedicato ai capolavori di Gualtiero Marchesi. “Mi sono detto: è questo che voglio fare. Sono tornato e mi sono licenziato”. I primi fornelli accesi sono quelli della stessa Masseria Spina, adibita allora ai grandi numeri, senza la necessaria concentrazione per far bene. Seguono un paio di indirizzi romani, fino al Convivio dei fratelli Troiani, dove la Michelin comincia a sorridere e sopraggiunge anche la moglie Laura Giannuzzi, che tuttora guida fieramente la sala. “Ma sul curriculum elenco solo un paio di stage, e dei più brevi. Da Gualtiero Marchesi, in via Bonvesin de la Riva, per studiare l’organizzazione e al Trigabolo di Argenta, in cerca di qualcosa di nuovo; più un paio di edizioni di Saperi e sapori. Cosicché tante cose ho dovuto cercarle sui libri, provando e riprovando le ricette al fine di personalizzarle. E non ho mai smesso di studiare”.
Ancora più anomali sono i 12 anni trascorsi in Asia, nei cinque stelle lusso di Hong-Kong, Giacarta, Shanghai e in un resort alle Mauritius. “La clientela era in gran parte locale, ma facevo già la mia cucina, italiana, contemporanea e d’autore. Ricordo per esempio un risi e bisi con scaloppa di fegato grasso alla cipolla caramellata. E non sono mai sceso a compromessi con il gusto locale. Le loro tradizioni mi interessavano, ma non le ho mai approfondite in modo sistematico. Piuttosto ho carpito qualche tecnica e qualche abbinamento, che nel tempo si sono rivelati utili. Ad esempio, per l’elaborazione dei lampascioni, sul modello delle noci caramellate, o del latte fritto”. Anche l’estetica orientale si è fatta valere, rafforzando il messaggio di Gualtiero Marchesi, che continua a dettare legge sul piatto con le sue regole di pulizia e naturalezza, armonia ed essenzialismo.
“In Italia sono tornato per il prodotto. Perché in vacanza mi emozionavo al mercato, bastava spaccare un pomodoro in quattro e il piatto era pronto. Mentre in Asia era un problema anche programmare la carta su acquisti incerti per qualità e freschezza, tanto che ho imparato a fare l’alchimista, ricreando il gusto anche quando non c’era attraverso un gioco di equilibri. A Monopoli faccio la spesa ogni mattina: tutti prodotti locali, tranne alcune carni, e la verdura tagliata il giorno prima o la mattina stessa”. Dopo qualche anno speso in giro per la Puglia è di nuovo Masseria Spina, almeno fino a gennaio, poi si vedrà.
E il territorio incalza in carta, con piatti ispirati agli evergreen alternati a straordinarie prove astratte. Ricette di cui Sabatelli esalta il purismo intrinseco, con il frequente assemblaggio di due o tre elementi proposti al naturale se non addirittura crudi, in moderne geometrie di gusti primari. Ma la semplicità è solo apparente, perché gli ingredienti reali sono assai più numerosi e le elaborazioni, nascoste, possono essere estremamente laboriose.
I menu degustazione sono tre: Solo pesce, I classici ed Emozioni extraterritoriali, secondo l’estro e il mercato, rispettivamente a 60, 90 e 120 euro. Vengono accompagnati da pani straordinari (i taralli al finocchietto e all’extravergine, il briosciato al Canestrato e miele, i grissini alla cipolla, la pagnottella a lievitazione naturale) e da una carta dei vini che conta 600 referenze, selezionate dallo chef e affidate al tastevin del sommelier Giovanni Tortora, fra cui risaltano gli Champagne, con tanti piccoli produttori, i rossi e i rosati pugliesi.
Gli appetizer valgono il viaggio: il pomodorino in trompe-l’oeil, farcito di pane e pomodoro e avvolto nella gelatina colorata di acqua e basilico alla Kappa, in sintonia con l’attuale moda del recycling, forse anche in ricordo delle alchimie asiatiche; la cialda di farinella, farina di ceci tostati, preparata alla maniera indiana sulla piastra calda, con crema di capperi e uva passa; il ravanello in agrodolce, scavato e farcito di miso, per la nota affumicata e la struttura, poi cosparso di Katsuobushi; il classico macaron al foie gras; il biscotto al Canestrato con crema di funghi prataioli al Moscato di Trani; il geniale fazzoletto di grano arso, la cui pasta, malleabile all’uscita dal forno, viene modellata in una forma cava che evoca giochi d’infanzia e poi farcita sotto di ricotta forte: sorpresa e food design. Gli stessi panzerottini sono preparati con il latticino, espunto dalla farcia, al posto del burro.