Bollicine superiori per quantità e qualità rispetto ad ogni altra.
Lo dice una carta d’identità basata su ricerche innovative.
Che gli spumanti Trentodoc fossero speciali lo si sapeva già da tempo. Il fior fiore degli enologi di tutto il mondo lo aveva già confermato degustazione dopo degustazione, assaggio dopo assaggio. E lo stesso avevano fatto i consumatori, magari convinti dalla bontà dei giudizi assegnati dagli esperti o, più banalmente, soddisfatti dalla qualità del prodotto. Ma che siano speciali oggi lo conferma anche un’indagine scientifica commissionata dall’istituto di tutela trentino alla Fondazione Mach di San Michele all’Adige e all’Università di Modena e Reggio Emilia: secondo i ricercatori che hanno indagato suoli, tralci, mosti e vino, lo spumante prodotto sulle montagne dolomitiche possiede elementi fisici tali da determinare le caratteristiche organolettiche del prodotto in quantità e qualità superiori rispetto a tutte le altre bollicine del territorio nazionale. È infatti noto che il profilo dei minerali del terreno e le loro interazioni rimangono inalterati nel passaggio alla pianta e poi all’uva, che, per così dire, finisce per memorizzare le informazioni geografiche e fisiche del territorio di origine: grazie a questa specifica caratteristica e a una serie di esami dalla elevata complessità tecnica, oltreché semantica (si tratta infatti di non ben comprensibili operazioni di gascromatografia bidimensionale accoppiata a spettrometria di massa), è stato possibile indagare la complessità aromatica degli spumanti Trentodoc e visualizzare concretamente, dati alla mano, la sua intera ricchezza. Le bollicine dolomitiche sono in grado di vantare la presenza nel loro DNA di ben 196 composti differenti dalla concentrazione caratteristica; 1700 i composti volatili rilevati, quasi dieci volte di più rispetto ai metodi tradizionali di rilevazione adottati prima di questa innovativa ricerca, un po’ come indagare con il microscopio ciò che prima invece si analizzava con la semplice lente di ingrandimento: quantità, dunque, ma soprattutto qualità, visto che tali elementi sono quelli che rendono unico Trentodoc rispetto a tutti gli altri metodi classici italiani. Parole in realtà già sentite nel recente passato, solo che questa volta a sostenerlo non sono gli uffici stampa dell’istituto di tutela o gli efficaci slogan di qualche agenzia pubblicitaria, ma scienziati di vaglia, con il conforto dei dati delle provette.
A determinare queste specifiche peculiarità, secondo i ricercatori, sarebbero le forti escursioni termiche caratteristiche del clima trentino, in grado di formare terpeni – ovvero sostanze varietali aromatiche legate all’uva – assolutamente particolari e originali. Sostanze che finiscono per conferire al prodotto finito sapori e sfumature che il lavoro in cantina non è in grado di riprodurre: si tratta del lavoro della natura che l’uomo oggi può permettersi solo di gestire al meglio e controllare, ma non di clonare a sua immagine e somiglianza.
Un’ulteriore garanzia, insomma, che renderebbe il Trentodoc, secondo le conclusioni a cui sono giunti gli esperti, assolutamente inimitabile. Tanto più che, come hanno aggiunto i ricercatori che si sono occupati della questione, il DNA del vitigno risulta estraibile e analizzabile non solo dalle viti e dall’uva, ma anche dagli intermedi di lavorazione enologica, visto che sono stati messi a punto dei particolari sistemi di identificazione varietale basati sull’analisi dell’intero genoma. Ciò significa che nessuno potrà mai più spacciare per Trentodoc uno spumante che Trentodoc non è, visto che ad un’analisi accurata sarebbe possibile smascherare qualsiasi tentativo di contraffazione. In sintesi: se un metodo classico esprime valori significativi riferiti ai composti che costituiscono la mappatura base del Trentodoc, ebbene quel metodo classico non può essere null’altro se non un Trentodoc. E, ovviamente, viceversa. «Possiamo allora dire – ha commentato al riguardo il presidente dell’Istituto Trentodoc, Enrico Zanoni – che il metodo classico trentino, riunito sotto un unico marchio territoriale collettivo, è entrato in possesso di una carta di identità che ne certifica il legame unico ed esclusivo con la montagna. Questa certificazione permette a Trentodoc di rafforzare in modo indiscutibile la sua origine e la sua identità: la ricerca mette infatti in evidenza elementi finora inesplorati che rendono oggettivo e misurabile il legame fra il territorio e le bollicine trentine, che, oggi più di ieri, si possono davvero definire l’unico metodo classico “di montagna”». Profumi e sapori diventano così, oltre che inconfondibili, addirittura certificabili e potrebbero offrire alle 41 aziende riunite sotto l’ombrello protettore della denominazione un ulteriore argomento per rafforzare la loro leadership sul mercato delle bollicine internazionale, tant’è che alcune di esse, fiutato l’affare, hanno già iniziato a organizzare eventi puntando con forza su questa nuova, unica specificità. Eleganza, freschezza e persistenza diventano oggi categorie non più affidate alla prosopopea degli incantatori commerciali, ma principi di riferimento scientificamente comprovabili, e dunque elemento oggettivamente accattivante per fare presa su un consumatore oggi travolto da una mole di messaggi eccessiva e per certi versi contraddittoria. Da oggi la parola territorialità perde quell’alone di mistero che l’aveva accompagnata per anni e si traduce in elemento concreto, certificabile: un’arma davvero straordinaria se saputa usare correttamente. Ma i vignaioli del Trentino hanno già dimostrato di saper sfruttare al meglio tutte le occasioni per valorizzare i loro prodotti: figurarsi se si lasceranno scappare l’occasione per trasformare il loro spumante in un prodotto unico, anzi, certificabilmente unico.