Quali sono in Italia e all’estero i rosé migliori
L’estate, il sole, la calura e i pomeriggi afosi spingono perfino l’amatore più esigente a vagabondare in tipologie enologiche alternative. I ritmi serali da movida, la voglia di festa e quell’umore leggero da dolce “farniente” sono alla base di scelte opposte a quelle invernali: basta vini impegnativi, esigenti nell’approccio e faticosi da “leggere”, e spazio a quei vini che meglio si abbinano alla bella stagione.
Si chiamano “rosati” i vini prettamente estivi. Dici rosato e pensi a posti da cinema: la selvaggia Provenza, l’azzurro Mediterraneo, la macchia del Sulcis, le colline abruzzesi, la Puglia bianca e greca.
Dici rosato e ti vengono in mente i suoi colori: un mondo in rosa, certo, ma in continua evoluzione: dal salmone al pesco, al chiaretto, al rosa ramato, amarascato e chissà quanti altri. Dici rosato e ti gusti i suoi umori: succosi, vivaci, salati, perfino avvolgenti, consolatori, facilmente digeribili. I migliori sanno essere vini sottili ma non diluiti, scorrevoli ma non acquosi, schietti ma non rustici.
Sono vini che stanno sul “crinale”, che più di altri se la giocano sul piano delle sfumature, che devono apparire, certo, ma pure “essere”. E’ per questo che piacciono tanto anche agli appassionati più esigenti, non solo ai vacanzieri frettolosi e ai beoni della domenica. Come e più di altri vini, devono fondere forma e sostanza. La loro è una categoria borderline, con un destino doble face: faccia da rosso e modi da bianco. Quando l’incastro riesce senza sbavature sanno essere meravigliosamente appaganti.
Per molti anni (‘80/’90 su tutti) questa tipologia è stata relegata a vera cenerentola dei vini. In fondo al gruppo degli inseguitori, delle seconde (terze e quarte scelte). Le carte dei ristoranti, di qualsiasi levatura, lo relegavano ad una pagina finale (o centrale, ma fa lo stesso), senza una proposta enologica efficace, senza un progetto, senza idee. Nessuno prendeva in considerazione le sue qualità gastronomiche, la predisposizione alla tavola, all’abbinamento. I rosati, quelli buoni, quelli costruiti con attenzione, sono vini plastici, elastici col cibo: ideali come aperitivo, vivono in simbiosi con molti salumi, sanno accettare l’arroganza di alcuni formaggi, dialogano assai bene con numerosi primi piatti, non soffrono la personalità dei pesci più saporiti.
La crisi di mercato aveva, nel frattempo, messo in un angolo i buoni rosati, penalizzando gravemente la categoria. In giro se ne trovavano sempre di più superficiali, impalpabili, testimoni cattivi e negativamente propedeutici alla conoscenza della tipologia. Prodotti a partire da materie prime scadenti, ringalluzziti da un’enologia interventista e da un generoso utilizzo di tecnologia (basse temperature, lieviti aromatici), e soffocati da dosi cavalline di solforosa, esprimevano il peggio del repertorio organolettico: aromi banalmente fermentativi, sulfurei, assai precari all’aria e palato piatto, privo di trama e contrasto. Per fortuna negli ultimi tempi una maggiore sensibilità interpretativa sta ridando ai rosati la dignità enologica che meritano.
Maggiore identità tipologica e maggiore personalità danno ai rosé un valore supplementare. Da vini inconsistenti, si sta lentamente tornando a vini facili e beverini, chiaro, ma dotati pure di uno stile che li caratterizza, che li rende riconoscibili. I migliori vini rosati li trovi nel sud della nostra Penisola (la regione salentina in Puglia e quella di Cirò in Calabria, su tutte), e nel sud della Francia: la Provenza (su tutti, gli otto comuni della a.o.c. Bandol alle porte di Tolona) e il Rodano (come dimenticare Tavel, unica denominazione francese dedicata alla produzione di rosati) in particolare, rievocano uno spirito mediterraneo che li lega in modo autentico al proprio terroir di provenienza.
I rosati mediterranei sanno esprimere energia, carattere, calore senza perdere di vista i fondamentali della tipologia (vivacità infiltrante e geometrie aromatiche). Forse perdono un poco di freschezza “visiva”, ma migliorano le performance sia a livello aromatico, sia sul piano del contrasto, dell’articolazione al palato. Tutti i rosati si producono per pressatura diretta, ma anche attraverso una breve macerazione (di un giorno, qualche volta di poche ore), oppure salassando i mosti in fermentazione. Qualche volta sfruttando contemporaneamente le tecniche più diffuse. Chi ama i virtuosismi della tipologia non potrà dimenticare gli eccellenti rosati della Loira. I migliori Cabernets di Saumur e soprattutto i Rosé d’Anjou o Cabernet d’Anjou hanno un carattere aromatico ed uno stile gourmand che varrebbe la pena conoscere meglio. Rispetto ai “nostri” qui la quantità di zucchero residuo è più generosa (molti rosati dell’Anjou sono demi-sec, se non addirittura dolci), ma alcuni sono in grado di migliorare nel tempo. Una rarità in questa tipologia.
In Italia i rosati migliori si ottengono da vitigni generosi, dal carattere aromatico discreto, ma ben definito. A parte il salentino negroamaro e il calabrese gaglioppo (ora i vitigni del sud più valorizzati da questa tipologia) godono di buona notorietà i rosé ottenuti dal vitigno montepulciano (su tutti la d.o.c. Montepulciano d’Abruzzo Cerasuolo, ma non solo), e quelli ottenuti nel bacino del Garda dal rustico Groppello, ma pure da Marzemino e Corvina.
Ma meritano l’assaggio i rosati, spesso assai originali, ottenuti dal vitigno Lagrein – in versione kretzer – in Trentino Alto Adige: sono sapidi, terrosi, floreali.
E varrà la pena riscoprire, a ridosso di Canicola e Solleone, tutti quei vini naturalmente “pallidi” che hanno una grande tradizione nella storia vinicola del nostro Paese e che rischiano di essere dimenticati. Non sono rosati, ma “roseggiano” in modo essenziale. Come non affezionarsi alla delicata aromaticità del Ruchè del Monferrato, alla rustica scontrosità dei Grignolino, alla ferrosa mineralità delle Schiave di Santa Maddalena e a quella più calda e dai tratti fumè dei Lago di Caldaro più autentici.
Rosé di Romagna
Vino prodotto da uve sangiovese, di colore rosa cerasuolo luminoso con profumi fruttati e floreali che ricordano ribes rosso, melagrana, fragola, lampone, boccioli di rosa e violetta. Piacevole la freschezza gustativa, supportata da una struttura decisa. Adatto a primi piatti asciutti e pietanze leggere. Prezzo in enoteca Euro 6,90. Prodotto a Cesena (FC) dal viticoltore Massimo Golinelli.
La rinascita del rosato salentino
Non ci si lasci ingannare dal termine che potrebbe far pensare a un gusto più leggero e a una gradazione alcolica inferiore. Il vero rosato salentino è ricavato dalle uve di Negroamaro, un vitigno dai frutti tutt’altro che “gentili”, coltivato soltanto nell’arco jonico-leccese, dove fu portato dagli antichi Greci più di duemila anni fa.
Un rosato, quello salentino, che ha tutte le caratteristiche della mediterraneità: la forza, la solarità, il carattere. Qualità che si rinnovano in questo prodotto della famiglia Mottura, azienda leader nel Salento, che da Tuglie, in provincia di Lecce, ha fatto apprezzare la propria produzione in Italia e all’estero.