Si chiamerà, con ogni probabilità, Asti Secco e diventerà nelle intenzioni dei vignaioli piemontesi il nuovo fiore all’occhiello della produzione dell’Asti doc, già oggi una delle realtà più prolifiche (80 milioni di bottiglie) dello scenario enologico italiano. La modifica del disciplinare, ufficialmente avanzata a Roma qualche mese fa, è stata definitivamente approvata dalla commissione tecnica del Ministero per le Politiche Agricole: se la procedura, a scanso di sorprese dell’ultima ora, farà il suo corso regolare, nel giro di qualche mese le oltre 1100 aziende che fra le provincie di Asti, Alessandria e Cuneo danno vita al Moscato più famoso del mondo potrebbero destinare parte delle uve alla realizzazione di una nuova tipologia di spumante dal tono zuccherino decisamente inferiore all’originale in modo da mettere in bottiglia una bollicina secca in grado di accompagnare gli appassionati lungo tutto il pasto. Una nuova frontiera, insomma, già ampiamente benedetta dalle autorità locali e dagli addetti ai lavori: “L’Asti secco – ha dichiarato in proposito Giovanni Satragno, presidente dell’associazione produttori piemontesi – è una semplice variante del più noto vino e, se realizzato secondo quanto previsto dalla nuova regolamentazione, potrebbe risolvere i problemi legati alla crisi del Moscato”. Inutile girarci tanto intorno: nonostante tutti si affannino a giustificare l’operazione come il tentativo di valorizzare ulteriormente un vitigno che tanto ha dato ai vignaioli locali (non va dimenticato che l’Asti è il vino docg più esportato del nostro Paese e uno dei più conosciuti al mondo), sono molti coloro che si interrogano sulla reale portata dell’iniziativa. Se è vero che la versione a secco dell’Asti non sarebbe una novità, visto che ai primi del Novecento erano in molti a produrre l’Asti champagne, altrettanto vero è che si trattava di un esperimento nemmeno tanto apprezzato, visto che le conoscenze enologiche dell’epoca non garantivano di poter gestire adeguatamente la completa fermentazione di un moscato e la inevitabile deriva verso spiacevoli percezioni amare che ne avevano bloccato lo sviluppo. Oggi però la scienza in cantina ha fatto passi da gigante e la produzione di un secco gradevole è diventata meno problematica. Il che non giustifica di per sé il gran passo che in Piemonte si è deciso di compiere.
Seccati i produttori del prosecco
Più velenosi i commenti dei naturali competitor del nuovo spumante, ovvero i produttori del Prosecco: “È innegabile che in Veneto la notizia sia stata accolta con preoccupazione – ha dichiarato Stefano Zanette, presidente di Sistema Prosecco, la società in cui si sono riuniti i tre consorzi che reggono le sorti delle bollicine più note e vendute del mondo – Il timore infatti è che il nuovo Astisecco finisca per creare confusione nel consumatore medio e per vanificare la lotta che da anni conduciamo contro qualsiasi tentativo di richiamare una denominazione, la nostra, che è unica e protetta. Non è un mistero che da più parti si sia tentato di inserire artatamente il termine secco in etichetta in modo da scimmiottare il suono che richiamerebbe al vino che in assoluto ha il riferimento più chiaro con quella assonanza”.
In effetti quanti vini nel mondo provano a diventare “qualcosasecco” pur di avvicinarsi, se non altro in etichetta, al più noto originale? Il timore dei produttori trevigiani è che si tratti di un’operazione esclusivamente mirata a dare vita ad un Prosecco bis nel tentativo di forzare un mercato che negli ultimi anni ha mostrato un’estrema disponibilità ad accogliere e valorizzare questa tipologia di charmat. “Di recente – ha aggiunto Zanette – abbiamo intensificato le azioni volte a contrastare questo genere di operazioni: in collaborazione con il Ministero per le Politiche Agricole e fortificati da recenti sentenze della Corte di Giustizia Europea, stiamo per definire una strategia che consenta di vanificare qualunque tentativo di realizzazione di vini in cui la parola “secco” venga a generare confusione nel consumatore”.
Prosecco: tentativi di imitazione
Recentissimo il caso del Riosecco, uno spumante di produzione brasiliana i cui creatori tentavano di giustificare la denominazione come se si trattasse del “Prosecco delle Olimpiadi di Rio”, per non parlare dei tanti Rosecco, Brosecco e Orosecco inesorabilmente condannati all’oblio da mirati interventi normativi. O – ed è notizia recentissima – del nuovo Progrigio, spumante di uve glera e pinot grigio in cui ad evocare il più illustre vino di riferimento non è il suffisso ma addirittura il prefisso. Il timore dei produttori di Prosecco è dunque che il nuovo Asti Secco tenti di seguire la strada del cosiddetto “italian sounding”, con l’aggravante che a farlo sono proprio degli italiani. Come visto, molti ci hanno già provato, fortunatamente frenati da prospettive giudiziarie non proprio edificanti, ma ancora nessuno lo aveva fatto partendo dal Paese di origine. Da Asti fanno però sapere, per bocca del direttore del Consorzio Giorgio Bosticco, che “l’Asti Secco si può semplicemente trasformare nella piacevole integrazione di una denominazione storica, l’Asti dolce, e può rappresentare l’occasione per implementare consumi aggiuntivi. Si tratterà pur sempre di un prodotto unico, dalla forte identità territoriale e dalle caratteristiche organolettiche facilmente definibili e identificabili”. Inoltre, come ha rimarcato il presidente dello stesso consorzio, Gianni Marzagalli, “il termine secco non è un marchio e, come tale, nessuno può invocarne la proprietà esclusiva. La nostra intenzione non è certo quella di scopiazzare quello che fanno i vignaioli veneti né tanto meno minacciarne le specificità. Il nostro obiettivo è quello di incrementare il nostro mercato affiancando al tradizionale Asti spumante un nuovo prodotto”. Dichiarazioni che non hanno fatto seppellire l’ascia di guerra ai colleghi trevigiani, pronti a fare le barricate per tutelare l’esclusività del loro brand. “Attendiamo di verificare in quali modi verrà declinato il nuovo disciplinare – ha infatti controbattuto lo stesso Zanette – e se lo riterremo opportuno intraprenderemo tutte le iniziative volte a tutelare i nostri diritti”. La guerra delle bollicine è solo agli inizi.