
Voglio raccontarvi una bella storia, la storia di un vino che non è un vino ma una straordinaria operazione di marketing. E vi spiego il perché.
I NUMERI DEL PROSECCO
Nel 2016 sono state prodotte 520 milioni di bottiglie di Prosecco di cui 430 milioni nella Doc (poi vi spiego queste sigle) e 90 milioni nella Docg Conegliano Valdobbiadene che esportano rispettivamente il 70% e il 45% delle produzioni.
E queste cifre sono in continuo aumento. Nel complesso il business del Prosecco supera i 2,5 miliardi di giro di affari, coinvolge 13.500 produttori, 1380 cantine vinificatrici, 360 che spumantizzano e 300 imbottigliatori che comprano il vino da altri.
Il successo del Prosecco è un fenomeno mondiale soprattutto nel Regno Unito, Usa, Germania, Canada, Svizzera e perfino in Francia dove si esportano oltre 10 milioni di bottiglie contro i 6 milioni di Champagne importati.
Tuttavia questo prodotto è stato stravolto, è stato reso femminile, è stato omologato al gusto dei più, è passato dall’osteria all’happy hour, perché alla portata di tutte le tasche: ha perduto la provincia per adeguarsi alla grande città. Un’evoluzione durata decenni, la sua, un miglioramento continuo, un processo che ha trasformato un vino normale, neppure particolarmente pregiato, in un vero e proprio caso a livello mondiale. è diventato un marchio, un brand.
Il prosecco dei nonni infatti era un vino torbido, frizzante naturale, acidulo, molto spesso con un fondo nella bottiglia. La sua storia inizia a Conegliano (dove dal 1876 esiste una prestigiosa scuola di enologia) e Valdobbiadene, una bellissima area collinare in provincia di Treviso. Qui, da oltre tre secoli, si coltivano le uve che danno origine al Prosecco superiore.
L’area di produzione si estende su 15 comuni che rappresentano il cuore del mondo del prosecco, una denominazione storica riconosciuta Doc nel 1969 (Docg nel 2009) che da allora non ha mai allargato i confini.
È proprio su queste fresche e ventilate colline che si produce il migliore prosecco in assoluto, un prosecco di alta gamma con bollicine finissime, aromi freschi e fruttati, piacevolmente sapido al palato.
Ma il successo del prosecco si deve a una mutazione che ha provocato un aumento della produzione in ben 9 province situate nel Friuli Venezia Giulia e nel Veneto, ad eccezione (per ora) delle province di Rovigo e Verona.
Un oceano di “Prosecco” prodotto nelle vaste pianure del nord est. Ogni metro di terreno disponibile è stato piantato a vite con rendite altissime e sicure per i produttori che, molto spesso, puntano più sulla quantità che sulla qualità.
La conseguenza è che sotto il nome di prosecco possono trovarsi un’infinità di vini che assumono ognuno la stessa identità.
Quel che conta però oggigiorno, è che il prosecco è il vino italiano più venduto al mondo, si vende ormai da solo, grazie al nome che ha saputo crearsi sul mercato internazionale, merito del marketing e della comunicazione, oltre che della maestria di pochi viticoltori del Triveneto.
NEL PAESE DEL PROSECCO NON DI FA IL PROSECCO
La nuova Doc interregionale Veneto-Venezia Giulia nasce nel 2009 per blindare e tutelare il marchio dal rischio di imitazioni.
L’appiglio era proprio quella piccola località del Carso di nome Prozec (Prosecco) che giustificava il legame con il territorio e che impediva la produzione delle bollicine al di fuori delle due regioni. Ma per farlo esistevano due condizioni: estendere la Doc alla zona del Carso fino a comprendere il paesino di Prosecco e cambiare il nome del vitigno da Prosecco a Glera.
E così il Prosecco non è più un’uva da vino, bensì un marchio, un brand, e il vitigno Glera – coltivato in qualche filare sperduto del Carso – è diventato l’uva che produce il prosecco. I pochi produttori carsici hanno accettato di divenire parte di una denominazione praticamente inesistente col patto di investire sul territorio risorse e impiantare nuovi vigneti.
Oggi nel Carso, nel comune di Prosecco, non esiste neppure una vite.
Per ora.