Che il Mugaritz non sia solo un ristorante, ma un laboratorio che si adopera per l’avvento di una cucina diversa, vengono a dimostrarlo le numerose pubblicazioni cui partecipa, fra cui la rivista “Sic” e la collana Tabula, che ha recentemente sfornato un nuovo volume. Si chiama 35 mm e vede protagonisti 45 chef di fama internazionale, chiamati a confrontarsi con altrettante pellicole. “Uffa!”, si dirà, quasi non bastasse il fiorire di pubblicazioni in materia, con l’ennesima riproposizione taroccata del timballo del Gattopardo, improvvisata dal giornalista di turno sulla base di improbabili filologie.
Ma in questo caso il concetto del libro è diverso: si tratta infatti di una rencontre disciplinare che sfiora audacemente la traduzione intersemiotica. Perché se è normale trasformare un romanzo in un film, una canzone in un video musicale, forse con un pizzico di fantasia si può tradurre l’emozione di una scena in un piatto di alta cucina (e perlopiù di altissima tecnologia). “Ce n’est que du cinéma”, ripetevano i vecchi cuochi scuotendo il capo di fronte alle ultime creazioni d’avanguardia.
Pochissime foto (perché l’erotismo è preferibile al gastroporno di certa editoria, giurano gli autori), grafica elegantissima, testi caustici ridotti all’osso a firma di Santos Bregaña, Carlos J. Plaza e Raul Nagore, spezzoni di sceneggiatura direttamente confrontati con ricette sceneggiate in mini-ciak. Della cucina ciò che più conta è l’impalpabile, l’emozione soggettiva, la corsa al galoppo della fantasia, l’ellissi. E il montaggio è fatto.
In programmazione in queste sale i più grandi cuochi-registi del mondo: Albert Adrià alle prese con il latte di Alex, visionario remake di Arancia meccanica; Heston Blumenthal che preferisce cucinare A piedi nudi nel parco un “knichi” di anguilla; Andoni Luis Aduriz irretito nell’erotismo dell’Impero dei sensi da un tuorlo di ricci di mare con latte di soia e mandorle; Alex Atala finito con Alice nel paese delle meraviglie per graziosa intercessione di un consommé di funghi; Thierry Marx che ci riprova con il suo Smoked passion burger, visto che Il postino suona sempre due volte. Ma è ben nutrita anche la compagine nazionale: Moreno Cedroni e il suo pranzo spaziale composto di 4 fantascientifiche cannucce, liberamente tratte da 2001: Odissea nello spazio; Carlo Cracco approdato nell’Apartment di Billy Wilder per il medium di spaghetti croccanti e pomodori affumicati; Ettore Bocchia in vena di allegorie sull’anima, il corpo e il peccato ispirate ad Engel Heart; Heinz Beck e il suo nostalgico amarcord di Ladri di biciclette, il dolce che non c’è; Stefano Baiocco autore di gnocchi di patate al nero di seppia degni de Il Padrino, parte III…
Un divertissement che si confronta (senza dirlo) con le ultime scoperte della semiotica: particolarmente gustosi ai nostri occhi Gli ultimi giorni di Pompei (Ernest R. Schoedsack, 1935) reincarnati nel Vesuvio di rigatoni di Alfonso Iaccarino, geniale kolossal gastronomico che profuma di epos e grandeur, davvero la fine del mondo (eh già, la cucina campana non ha mai brillato per eterea leggerezza); nonché il trio dei fratelli Roca, nell’improbabile remake di Quando la moglie è in vacanza (Billy Wilder, 1955). Ricordate quando Marilyn Monroe affondava le patatine nello champagne facendo trepidare Tom Ewell (“Ha mai assaggiato le patatine inzuppate nello Champagne? Sono da paura. Assaggi!”)? Attraverso un incantesimo tecno-emozionale, sono diventate classicissime patate soufflé da farcire con una salsa di champagne alla xanthana. Quasi una metafora della stessa Marilyn (giustamente al centro delle fantasie di tanti chef), diavolo biondo dall’appeal un po’ cheap che cela un’anima nobile, complessa, effervescente. Perché la cucina è racconto.