
Onore è una parola diventata antipatica, troppo politicizzata o troppo ignorata. La voglio usare in questa storia secondo l’etimologia latina che racchiude almeno tre significati: sacrificio, rispettabilità e premio. Tre condizioni che insieme qualificavano la devozione romana per la Repubblica.
E anche se qui parleremo di un liquore, valgono le stesse premesse, perché quello “spirito” ha, nelle intenzioni di Fabio Mascaretti, lo scopo di rendere onore a una città e alla sua marineria.
In un posto come l’Italia, gravido di storia, il bello di San Benedetto del Tronto è di avere un passato noto relativamente breve e per certi versi spoglio. Il che rende più liberi di immaginare il futuro.
Frequenti scorrerie di saraceni e turchi, campo di battaglia tra città più forti e nel Quattrocento, una pestilenza che azzera la popolazione al punto che l’abitato rinasce solo con l’arrivo di nuove genti.
Per San Benedetto il gomitolo della storia si avvolge e dipana rapidamente in tempi molto più vicini a noi, quando la possibilità di mettere in pratica un’idea, di avere iniziativa, collega sacrificio e premio, creando rispettabilità.
Le colline alle spalle e il mare di fronte, poche glorie da incensare, spingono a guardare avanti. C’è una caparbietà, un’indipendenza e una spavalderia, tipiche di qui, ben riassunte in un filmato del 1970 dove a un pescatore mentre remmacchia la rete viene chiesto come nasca il dinamismo dei sambenedettesi: «a noi del passato non ce ne frega niente e a mala pena c’interessa del presente, tutti i pensieri sono per il domani».
L’orizzonte dell’immediato e la culla dei desideri è il mare. Lo stesso mare per cui Franz Liszt e André Gide restarono incantati, osservando l’uscita e il rientro delle paranze con la prua occhieggiante e le vele latine piene di simboli. Anzi, al Nobel francese, piacque molto anche la parlata vivace, sonora, luccicante come un tesoro «di adusti corsari arrivati chissà da quale parte del sud».
«Gide ha ragione – sottolinea Mascaretti, tra i cui avi ci sarebbero degli scalpellini bergamaschi e un parente che partecipò all’affondamento della corazzata Wien – non siamo né marchigiani né abruzzesi, ma una colonia a parte, con un destino a sé».
E un po’ di corsaro, underground, ribelle, rivestito e calzato per bene, c’è in Old Sailor Coffee, il liquore con anche il caffè, ideato da Mascaretti ed Enzo Brini, gli stessi che si sono presi la briga di dar vita a Ginepraio, un Gin London dry con botaniche solo bio e solo toscane, disponibile anche nella versione maturata in anfore di cocciopesto.
Di quelle note caratteriali fa fede l’etichetta che riproduce nello stile di un tatuaggio, la foto anni Quaranta di un marinaio. Ma soprattutto è il legame antropologico con un luogo. L’ispirazione per fare l’Old è tutta sambenedettese, entro una precisa parentesi temporale.
Il primo motopesca
Prima furono le vele latine, sgargianti come bandiere, con cui si usciva per una pesca di prossimità. Poi, miracolosamente – era il 26 maggio 1907 – grazie alla forza persuasiva e organizzativa di monsignor Francesco Sciocchetti, fu varato il primo peschereccio a motore d’Italia, il San Marco. Una rivoluzione che, nel tempo, porterà gli equipaggi di San Benedetto a pescare nei mari del mondo, dall’Africa occidentale all’Artico, al Giappone. Primi anche, successivamente, a dotarsi di radiotelefono, ecoscandaglio e radar.
È in quei frangenti, con barche più grandi e sicure, che si diffonde l’uso di una bevanda corroborante, che scalda anche i pensieri, fatta con l’onnipresente caffè, l’anice, la scorza d’arancio e il rum o qualsiasi altro distillato, disponibile a bordo.
Una sorta di ruvida carezza, tra l’esotico e il casalingo, con cui calmare la tensione, sopportare il freddo e la malinconia.
Considerate che nel secondo dopoguerra, il porto peschereccio di San Benedetto del Tronto era il primo in Italia e il suo mercato ittico talmente efficiente che i pescherecci scaricavano il pescato anche nei porti del centro sud, dove li aspettavano dei camion frigorifero, guidati da sambenedettesi, che trasferivano il carico sulla piazza cittadina. Qualcosa di simile avvenne anche per il comparto dell’ortofrutta: stessa efficacia, stessa capillarità.
Un video racconta
Oggi, su YouTube gira il video, prodotto da Fabio Mascaretti, che sintetizza arte, storia e miracoli del “caffè rinforzato”. Racconta (la versione in sambenedettese, è quella che preferisco) da dove viene l’Old Sailor Coffee, una ricetta comunitaria, che non è saltata fuori dal cassetto della nonna. Inizia con una ripresa aerea del peschereccio in mare, alternando immagini e filmati storici, spostando quindi le riprese in cabina., al momento di mescolare «il caffè buno in co’ lu rum, l’anice e le scorze d’arance» che ti «fa’ ricrià».
Dagli albori all’oggi, inquadrando una lettrice, seduta sul letto, con in mano Il Vecchio e il mare, e, da lì, ancora più comodamente seduti sulla sedia di un’artista di tattoo. L’immagine sul braccio è la stessa dell’etichetta di Old Sailor Coffe. Il video termina al bancone del Vittoriano di Civitanove Marche per un Black Russian: 5 cl di Vodka e 3 cl dio Old Sailor Coffee. Filmato coinvolgente, non retorico, diretto, realizzato con la collaborazione del capitano Andrea Marchegiani nella parte del capitano; dell’armatore e capitano Stefano Voltattorni che ha messo a disposizione il peschereccio Nicola Andrea; della voce vernacolare dell’attore Vincenzo Di Bonaventura; di Josiph Martelli barman del The Punch Drink Lab di San Benedetto del Tronto; di Donna Mayla dell’Inside Tattoo Shop di Alba Adriatica; dei videomaker Giacomo Cagnetti e Rovero Impiglia; dello stesso Mascaretti.
Fenomenologia di un liquore
La domanda è come trasformare un ricordo, un’abitudine antica in qualcosa che non sia stucchevole? Come trovarne la radice quadrata? Nel pensare al nuovo liquore, Fabio Mascaretti ha dovuto metter d’accordo il carattere del rum, l’amaro del caffè, l’acidità dell’arancia e la dolcezza dell’anice.
«Fin dall’inizio – precisa – sapevo cosa non volevo fare: un liquore al caffè, pieno di zucchero, che al terzo sorso stomaca. L’obiettivo era di trovare una soluzione armonica in cui riconoscere gli ingredienti e apprezzarne l’equilibrio».
Il risultato allontana la facile definizione di amaro, quasi sinonimo di digestivo, perché Old Sailor Coffee non ha nulla di strong dal colore al sapore. È, dicendola con il termine giusto, un liquore, innanzitutto, da assaporare, meditandoci in pace.
«Oggi, Old Sailor Coffee è distribuito in tutta Italia – sottolinea Fabio Mascaretti – apprezzato in Francia, in Gran Bretagna, ma in modo particolare in Asia, a Hong Kong e in Giappone. Ho riflettuto sul favore che incontra da parte degli orientali. E credo che, rispetto a un prodotto di punta come il gin, che va a braccetto con un certo individualismo occidentale, a tratti cinico, viceversa Old Sailor Coffee incontra la dolcezza, un piacere immediato, reversibile e ripetibile. Forse, proprio perché nasce per dare tregua, è in grado di farlo in ogni momento, situazione e luogo».
Ed ecco la ricetta di Old Sailor Coffee dove su una base di rum giovane del Sud America si sommano tre diverse infusioni separate, in alcool proveniente da grani italiani che variano dai 7 ai 10 giorni, di caffè arabica, di scorza d’arancia e di un blend di anice stellato e anice verde di Castignano, presidio Slow Food.
Lo puoi sorbire freddo, esaltando il mix aromatico oppure caldo e allora la successione sarà rum-caffè-anice.
Fatto il liquore, facciamo l’armatore
Dicevamo mare, culla dei desideri. Lo è diventato anche per Fabio Mascaretti, trasformatosi, per ineludibile voce interiore, armatore del Lor Vin, una barca di 15 metri, con capitano e marinaio-motorista, per la pesca delle ostriche e delle sfoglie, le sogliole. Così, il cerchio si chiude e riapre, allargandosi sull’esempio del padre, costruttore e installatore di impianti frigoriferi sui pescherecci e dello zio con un negozio di articoli da pesca. Qui, però, l’apprendistato marinaro è più spinto. Certo è che a Fabio, quando parli della barca, gli cambia lo sguardo, tra orgoglio e sfida, radici e trasformazione. In fondo, i corsari, di cui parlava Gide (che non sono pirati) univano all’avventura un lato sentimentale.
Strano posto San Benedetto, dotato di una sua mitologia marina alla Edgar Allan Poe. Un racconto dove il terrore ha un che si soprannaturale e rituale. Lo sa chi ha avuto l’avventura di trovarsi faccia a faccia con Lu Scijò. Si, l’aspetto è quello di una tromba marina, ma la natura è infernale. Nel vortice di mare e vento, avanzano le anime che in vita hanno subito un torto da parte dei pescatori. Vogliono pareggiare il conto e l’unico modo per sopravvivere allo scontro è di recitare la formula di scongiuro, una serie di improperi e invettive che i figli maschi ricevono in dote dai padri. Il campione, come racconta lo scrittore Guido Milanesi (1875-1956) in Mar Sanguigno è Isè la Botta, Giuseppe il Rospo, di professione tajatore di Scijò in senso proprio e figurato. Al rosario di ingiurie affianca il coltello per affettare il turbine.
Una sorta di patto con il Diavolo a cui il Diavolo, come al solito, non deroga, dannando l’anima del socio che, un giorno, da vecchio non ricorderà più le parole dello scongiuro.
Strano posto davvero San Benedetto, così pronto a lavorare a testa bassa, ma anche a perderla e a ribellarsi. Sono famose due rivolte di piazza, molto serie e affollate. Una, nata dall’affondamento, il 23 dicembre 1970, di un peschereccio, con mare forza sette e quasi in porto. Il ritardo nei soccorsi e la voce che si era sparsa di una bolla d’aria nello scafo rovesciato, scaldarono gli animi. Estrema sinistra ed estrema destra si divisero i compiti, bloccando una la ferrovia e l’altra la statale adriatica.
Il motopeschereccio si chiamava Rodi e le foto delle barricate, anche lungo le vie del centro, dicono il dolore e il fortissimo scontento.
L’altra rivolta, non meno determinata, esplose perché l’onorevole Di Pietro volle presentare come candidato nelle sue liste l’ex presidente che aveva fatto fallire la squadra di calcio. Leggerezza imperdonabile. Altri tempi, forse, ma in linea con il caratterino indigeno.