Leggendo un articolo su “Il fatto alimentare” mi sono imbattuto su una riflessione alquanto interessante, a firma di Agnese Codignola, sulle calorie al ristorante. L’autrice, citando alcuni studi, si chiede se effettivamente può essere un vantaggio porre le informazioni nutrizionali e le calorie all’interno del menu del ristorante. Effettivamente la domanda non è da poco e, come tutte le domande non da poco, non trova una risposta in senso univoco, anche se qualche indicazione interessante la si può trarre. Voglio quindi indicarvi quanto è stato scoperto.
Premetto che negli Stati Uniti e in altri Paesi, alcune città hanno reso l’indicazione obbligatoria in certe tipologie di locali. Filadelfia, per esempio, dal 2010 obbliga gli esercizi che hanno più di 15 sedi in tutto il Paese, ad indicare non solo le calorie ma anche il quantitativo di sodio, i grassi e gli zuccheri. Per i fast food invece, la norma prevede solo la diffusione delle calorie, mentre le altre informazioni sono a disposizione, su richiesta del cliente. Una simile situazione permette comunque di confrontare il comportamento dei clienti di una stessa catena alle prese con menù con e senza calorie in chiaro, e tra gli stessi avventori prima e dopo l’entrata in vigore della norma. Gli autori degli studi hanno quindi preso in esame due tipologie di ristoranti molto diversi: quelli tradizionali, con servizio al tavolo e i fast food. I risultati differiscono ma non sono del tutto in contraddizione tra di loro.
Il primo dato emerso è stato che gli avventori dei ristoranti dove le calorie erano presenti sul menu hanno assunto in media 155 calorie in meno.
Nel primo studio i ricercatori della Drexel University hanno chiesto a quasi 650 clienti di sette ristoranti (due con un menu dove comparivano le calorie e cinque senza), di fornire le ricevute della cena e di riferire che cosa avevano ordinato. Ciò che è emerso è che i clienti avevano consumato mediamente 1.600 calorie (1.800 con le bibite): già questo, mi permetto di dire, è un dato interessante. Infatti, un adulto di corporatura media dovrebbe assumere circa 2.000 calorie al giorno; questo significa che tutti i clienti (che abbiano avuto le calorie indicate o meno nel menù) hanno mostrato di mangiare troppo ed eccedere rispetto al fabbisogno calorico quotidiano. Analoghi eccessi si riscontrano per i singoli ingredienti: il sodio assunto era pari a 3200 milligrammi, quando il valore medio consigliato è di 2.300, i grassi saturi 35 grammi, a fronte dei 20 giornalieri consigliati. Ora, se pensiamo che chi va a mangiar fuori dovrebbe assumere calorie per un massimo di 750, non superare i 750 milligrammi di sodio e gli 8 grammi di grassi saturi, direi che c’è da preoccuparsi. Continuiamo comunque con i risultati dell’indagine.
Analizzando tutti i dati, la risposta alla domanda principale della ricerca, pubblicata sull’American Journal of Preventive Medicine, è stata comunque positiva rispetto all’introduzione delle indicazioni. Dicevamo infatti che, i clienti dei ristoranti dove le calorie erano presenti sul menu del ristorante, hanno assunto in media 155 calorie in meno per le bevande e 151 per i vari piatti. Inoltre hanno consumato 224 milligrammi di sodio e 3,7 grammi di grassi saturi in meno rispetto agli altri. Non solo: l’80% circa dei clienti ha riferito di aver notato le diciture e il 26% di aver scelto la pietanza tenendo conto di quanto letto.
Verificando invece il comportamento dei clienti nei fast food, solo il 10% dei clienti di fast food ha modificato la scelta in base a quanto letto (la maggior parte degli intervistati si reca nel locale più di cinque volte a settimana). Pare quindi che l’informazione sul contenuto dei piatti è efficace, quando il pasto viene consumato in un ristorante a pieno servizio, dove presumibilmente si recano i clienti delle classi sociali meno disagiate e con un livello culturale medio o alto. Invece, quando la clientela proviene da quartieri e da fasce di popolazione con meno denaro a disposizione la situazione cambia parecchio. Lo ha dimostrato il secondo studio, condotto dai ricercatori del Langone Medical Center e presentato a un congresso della Obesity Society svoltosi ultimamente ad Atlanta. In questo caso, gli Autori hanno raccolto le ricevute di 2.000 clienti di McDonald’s e Burger King di età compresa tra i 18 e i 64 anni, prima e dopo l’introduzione dell’obbligo di specificare le calorie nel menù del ristorante e hanno chiesto a ciascuno di loro di rispondere a una breve lista di domande sulle nuove diciture. Solo il 34% circa dei clienti di McDonald’s aveva visto le indicazioni, contro i 49% di quelli di Burger King, a riprova del fatto che non basta obbligare i gestori ad apporre il contenuto calorico sui menu ma, probabilmente, conta anche molto la chiarezza e l’evidenza con cui tale informazioni sono trasmesse. È stato evidenziato inoltre un rapporto diretto tra il livello di alfabetizzazione e l’attenzione alle calorie. Ci tengo tra l’latro a precisare che la modalità con cui nei fast food Mc Donald’s vengono date le informazioni nutrizionali è “soft” e deliberatamente “nascosta”, in certi casi anche “falsa”. Soft e nascosta perché tali informazioni vengono poste sul retro della tovaglietta di carta che viene apposta sul vassoio del pasto, in modo tale da impedire una adeguata consultazione mentre il cliente consuma il pasto (infatti dovrebbe togliere le pietanze da vassoio, girare o togliere la tovaglietta e rimettere il tutto sul vassoio!). Falsa perché, ad esempio, una pubblicità del ristorante Mc Donald’s nei mesi scorsi millantava che il Big Mac avesse la metà delle calorie di una pizza margherita. Questa è una informazione palesemente falsa che altro non è che pubblicità ingannevole! A questo aggiungo anche un ultimo dato, che è un dato inglese: in Inghilterra i fast food restaurant hanno una concentrazione maggiore proprio nelle aree depresse, a basso grado di scolarizzazione e a basso potere di acquisto. Sono proprio queste le zone dove la bassa educazione alimentare permette il diffondersi di atteggiamenti alimentari sbagliati, squilibrati e pieni di carenze o eccessi ed è proprio in queste zone che deve cominciare una battaglia di sensibilizzazione e di proposizione di modelli “fast restaurant” sostenibili ed equilibrati, che conducano il cliente per mano verso una maggiore consapevolezza alimentare.
Questo è il vero problema: finora abbiamo sempre pensato che l’educazione alimentare fosse un problema d’elite! Invece per risolverlo seriamente l’unico modo è cominciare dalle periferie, da tutti quei sobborghi e quartieri in cui le proposte alimentari sono fatiscenti, ricche di sodio (per insaporire) e di grassi saturi (per dare un aspetto di succulenza). Se continuiamo a pensare che il problema si risolva con il dibattito su Canale 5 o chiamando 2 nutrizionisti a “Porta a Porta” oppure con la più sciocca delle campagne di sensibilizzazione scolastica che non coinvolge i genitori in una modulazione strutturata delle abitudini alimentari, allora continueremo sempre di più a scandalizzarci del fatto che l’obesità aumenta.