Una buongustaia nata l’effervescente Léa Linster (www.lealinster.lu) che mise la cucina lussemburghese sulla mappa mondiale delle cucine eccellenti quando, nel 1989, fu la prima (e l’unica finora) donna a vincere il “Bocuse D’Or”, uno dei premi più ambiti dell’enogastronomia. Nel 1982, dopo la morte di suo padre – chef del quale ha ereditato il talento – Léa l’ha rimpiazzato nella cucina della locanda di famiglia a Frisange, dieci chilometri fuori Luxembourg City, e lì ha aperto il suo primo ristorante gourmet, “Léa Linster”, al quale nel 1987 la Guida Michelin ha assegnato una stella.
Nel 1991 Linster ha aperto il suo secondo ristorante, “Lëtzebuerger Kaschthaus”, specializzato in piatti lussemburghesi, che si trova a Hellange, un paesino a tre chilometri da Frisange. Poi, nel 1996, ha comprato un vigneto a Remich sulle rive della Mosella e ha iniziato a produrre il proprio vino chiamato “Elbling”, dal nome dell’uva probabilmente portata in questa zona dagli antichi romani. Dal 2001 Linster scrive un libro all’anno in collaborazione con la casa editrice Random-House Germany e la rivista femminile tedesca “Brigitte”, per la quale tiene regolarmente una rubrica culinaria.
La chef lussemburghese ha invitato la nostra inviata speciale Lucy Gordan a cena da “Léa Linster”, dove si è svolta l’intervista di queste pagine.
I nostri gusti per il cibo sono strettamente collegati all’infanzia; le sue prime memorie sul cibo?
Godermi del buon cibo è sempre stato l’aspetto centrale della mia vita. Ho scoperto il mondo attraverso il gusto e l’olfatto, fin dal grembo materno. Ho sempre avuto un senso del gusto molto sviluppato. Anche quando ero una bimbetta, a mio padre piaceva farmi assaggiare tanti cibi diversi. Aspettava divertito la mia reazione, non soltanto per vedere se il piatto mi piaceva o no, ma per avere la mia opinione sulla preparazione. Sono sempre stata una buongustaia.
Chi è stato il suo mentore?
Il cibo raffinato è sempre stato centrale in questa casa. Sempre, sempre, sempre! Da giovane mio padre faceva il pasticciere. Poi dopo la Seconda Guerra Mondiale, è stato reclutato da alcuni ufficiali americani come cuoco e pasticciere. Adorava questo lavoro e ha trasmesso a noi quattro figli anche la sua ammirazione per Gli Stati Uniti. Tutto quello che so fare in cucina l’ho imparato da lui. Era il mio mentore. Senza mio padre non avrei neanche pensato di diventare uno chef.
Mio padre era un artista della vita, non soltanto della cucina. Adorava la vita e ci ha insegnato l’importanza di apprezzarla. Se da mio padre ho ereditato il talento culinario, da mia madre ho ereditato la tenacia. Lei era il mio lato realistico e lui il lato magico. Cucinare bene è una forma di magia…
Lei è nata in cucina; cucinare fa parte del suo DNA. Ma per diventare chef ha seguito soltanto il suo cuore?
Sì, ma anche il mio palato. Volevo essere sicura che non mi sarebbe mai mancato cibo squisito. Quindi ho capito che, per essere certa di averlo, avrei dovuto imparare a prepararlo io stessa. Il modo più facile per sedurre le persone è offrire loro cibo di alta qualità. Se offri agli altri ottimo cibo, normalmente ricevi affetto in cambio. Se vuoi viziare qualcuno, il modo più facile è farlo attraverso il cibo.
Le qualità essenziali per essere top chef?
La passione, il talento e lavorare sodo.
Lei è la seconda donna del settore che ho intervistato. Perché, secondo lei, è così difficile per una donna rimanere sulla cresta dell’onda in questa professione?
Se una donna aspira alla vita “ideale” con un marito e dei figli e accetta senza battere ciglio tutte le responsabilità di queste meravigliose istituzioni chiamate “matrimonio e maternità”, allora deve rimanere a casa e non scegliere di fare lo chef come professione. Non può pretendere la luna! Se si punta ad essere un top-chef, i propri ospiti vengono prima di tutti gli altri. Si deve stare al ristorante per dare loro il benvenuto la sera, nell’ora in cui tradizionalmente si riuniscono le famiglie. Come ho già spiegato, sono nata in un ristorante, quindi non mi sono mai posta questo problema. Non conta molto per me “la vita privata”, anche se ho un figlio geniale che adoro. Dall’anno prossimo studierà economia, commercio e management all’università di Lausanne. Questo significa che, dopo la laurea, sarà pronto a gestire quest’impresa, se lo vorrà, ma per adesso la gestisco io a modo mio. Mi piace il mio lavoro e il modo in cui lo gestisco. Questo ristorante è stato la realizzazione del mio sogno di vita e vorrei vivere il mio sogno. Mio figlio dovrebbe vivere il suo sogno. Se il mio e il suo sogno combaciano, vedremo come potremo andare d’accordo. Per adesso non se ne parla nemmeno.
Ama anche lui cucinare?
Sì, e cucina anche bene. Già all’età di sedici anni sarebbe stato capace di sostituirmi nel caso mi fosse successo qualcosa di brutto. Non è sposato: siamo noi due…
L’aspetto del suo lavoro che ama di più?
Preparare del cibo squisito e godermi questo mio stile di vita meraviglioso. Quando hai successo in questo mestiere, lo svolgi con passione, con la voglia di migliorare sempre e di realizzare il sogno della tua vita: allora non esiste una vita migliore.
In passato, qualche volta, consideravo la mia una vita troppo stressata, con troppo lavoro, perché, come quasi tutti i top chef, ho dovuto fare degli enormi investimenti finanziari che mi hanno quasi strozzata per circa vent’anni. Durante questi anni difficili ti puoi illudere di essere uno spirito libero, ma non lo sarai mai finché non hai pagato i tuoi debiti. Adesso qui tutto appartiene a me. Sono la proprietaria. È vitale per me.
Di meno?
Fare i conti ed economizzare.
La sua filosofia culinaria?
La qualità prima di tutto. Cucinare piatti leggeri e facili da digerire. Scoprire i migliori prodotti sul mercato (che possono avere provenienze diverse) richiede molto lavoro. Il gusto del cibo deve essere limpido, fresco, anche se si preparano delle salse. Quando cucini una salsa per troppo tempo, diventa “stanca”. Qualsiasi cibo stracotto non è appetitoso, non è gradevole al palato. Sono contraria agli additivi e ai conservanti o alle tecniche di conservazione: se ti servo l’insalata di aragosta, la preparo al momento. La freschezza è fondamentale. Metto in frigorifero soltanto le pietanze che devono essere servite fredde. Cucino tutto il resto in modo espresso. A me piace cucinare come fanno le mamme: comprano gli ingredienti, li cucinano e li mangiano. A me piace preparare le zuppe. Nelle giornate fredde, preparo quelle calde; nelle giornate calde, preparo quelle fredde. Le zuppe piacciono alla gente di tutte le nazionalità.
Quale esperienza professionale le ha dato più soddisfazioni?
La vittoria del Bocuse d’Or nel 1989 per la mia sella d’agnello, che è tuttora la mia specialità.
Nel 1987 ha vinto la sua prima stella Michelin; in quale anno ha vinto la seconda?
L’anno prossimo! Probabilmente rimarrò per sempre con una stella perché ci sono persone, qui in Lussemburgo, che non vogliono che mi venga assegnata una seconda stella. Il Lussemburgo è una piccola nazione dove esiste molta gelosia. Ho cercato di compensare questa probabile ingiustizia facendo altro. Appaio sul programma “Lanz Kocht” della televisione tedesca ZDF almeno una volta la settimana e in più faccio la moderatrice per il programma di ZDF chiamato “Küchenschlascht”, una competizione culinaria amatoriale tra chef. In questo momento sono invitata spesso in TV, il che è un’ottima pubblicità per me. Siamo soltanto 500.000 abitanti in Lussemburgo, ma il fatto di essere spesso ospite della televisione tedesca significa che sono vista da 100 milioni di persone in Germania, Austria e Svizzera. Ho anche una rubrica gastronomica sulla rivista femminile più diffusa in Germania, “Brigitte”. Se mi avessero assegnato una seconda stella Michelin, probabilmente non avrei avuto tempo per fare tutte queste altre cose appaganti.
Come descriverebbe la cucina lussemburghese?
È una raccolta di cibo genuino di fattoria. Ingredienti locali: quello che seminiamo e raccogliamo in Lussemburgo, quello che la nostra terra e il nostro clima ci offre.
A che cosa attribuisce il suo grande successo?
Alla mia passione per cucinare. Cucino con gioia. Non lo considero un lavoro. Cucinare è la mia passione. Come le ho già detto, non dò molto peso alla mia vita privata: non ne conosco il significato, perciò non mi manca. Questo è lo stile di vita che ho sempre conosciuto. Quando ero bambina, il nostro caffè era aperto sette giorni su sette, era un open-house. Non facevamo le ferie. Se chiudevamo per un giorno, mi sembrava la fine del mondo. Come le ho già spiegato, ho preso le redini in mano nel 1982. Ho subito chiuso la pompa di benzina appartenuta ai miei genitori e alla loro gestione, poi il bowling, e poi il caffè. Non mi manca il caffè perché adesso “Léa Linster Cuisinière” è diventato la mia open-house. L’unica differenza è che adesso la gente deve prenotare, mentre prima al caffè arrivava e basta.
Quali sono i suoi piatti preferiti?
La mia sella di agnello perché mi ha reso famosa. Adoro anche i kniddelen (una specie di “strozzapreti”) e naturalmente la bouneschlupp (zuppa di fagiolini corallo). Piatti locali. Cucino solo piatti che mi piacciono. Qui al mio ristorante i clienti mangiano appunto i miei piatti preferiti. Il pane è un altro mio favorito. Sto lavorando ad una ricetta da varie settimane per perfezionarlo come dico io. Mio nonno era un fornaio che qualche volta faceva il pasticciere, invece mio padre era un pasticciere che ogni tanto faceva il fornaio. Il pane fa parte del mio Dna. In tanti ristoranti ti offrono otto tipi di pane diversi, ma come fai a sapere qual è il migliore? Io non ti dò la scelta: ti dò il migliore.
Un altro mio ingrediente preferito è il burro. In Lussemburgo abbiamo il miglior burro del mondo. Noi ne apriamo un pacchetto nuovo da 500 grammi per ogni tavolo all’arrivo dei nostri ospiti perché il burro assorbe tutti gli odori intorno a sé. Se apro il burro e lo lascio aperto, dopo mezz’ora avrà perso la sua freschezza e la sua temperatura ideale.
Gli chef sono noti per avere collezioni di moto, di macchine veloci, o di orologi, e lei?
Di momenti speciali e felici. Li gusto.
Quali libri di cucina ha scritto?
Quattro, scritti in tedesco. I loro titoli sono: Einfach und genial: Die Rezepte der Spitzenköchin Léa Linster (2002); Rundum genial (2005); Kochen mit Liebe (2007), tutti e tre pubblicati dalla rivista bi-mensile Brigitte e Random House-Germany. The Best of Lea Linster (2003), che ho scritto insieme alla mia collega top-chef Simone Van de Voort, è stato pubblicato in tedesco, francese ed inglese. Ha vinto il premio “Best Woman Chef Cookbook in the World” al Gourmand Cookbook Awards nel 2004 a Barcellona. Ora ne sto scrivendo un altro, con 30 nuove ricette.
Crede nei giudizi delle guide? L’hanno aiutata o hanno aggiunto soltanto stress alla sua vita?
Io credo nel detto: “Se la vita ti dà soltanto dei limoni, fa una crostata di limoni e meringhe. Quando non mi hanno assegnato una seconda stella Michelin, sono diventata filosofa. Ho aperto altre porte, così da subire un minore stress come chef. Se dovessero mai togliermi l’unica stella, dovrebbero anche penalizzare tanti altri chef insieme a me.
In passato se uno chef appariva in televisione, le guide gli abbassavano il punteggio. Si giustificavano dicendo che se uno chef stava in televisione, non stava in cucina. Questo non è il caso mio perché sono quasi sempre qui. La televisione mi fa della pubblicità meravigliosa, a pari merito, se non meglio, di un’altra stella. Quando la gente che mi vede in televisione viene qui, vogliono vedermi, quindi è qui che devo stare. Ne vale la pena, perché “Léa Linster” è sempre pieno. Per alleviare lo stress del dover stare sempre qui, siamo chiusi a pranzo durante la settimana.
Oltre Bocuse e Giradet, altri chef che ammira?
Pierre Troisgros e Joël Robouchon. Ho collaborato con Robouchon.
Se non avessero fatto lo chef, Heinz Beck avrebbe voluto fare il pittore, Gualtiero Marchesi il pianista, Thomas Keller lo shortstop dei “New York Yankees”. E lei?
Un’attrice cinematografica.