Negli ultimi anni la ristorazione ha attraversato un profondo cambiamento strutturale e culturale, abbattendo convinzioni e pregiudizi a cui eravamo abituati, rimodulando un nuovo concetto di accoglienza che, passando dalla cucina, ha investito anche la Sala, proprio a cominciare dalla sua immagine.
E se c’è qualcosa che nella Sala di un ristorante non passa mai inosservata è proprio la tovaglia o, come accade sempre più spesso, la sua assenza.
Ma cosa sta spingendo centinaia di ristoranti a eliminare uno degli elementi di arredo che fino a qualche anno fa era considerato tra i più iconici e, in base al tessuto, anche tra i più esclusivi? Eppure se a tavola c’è stato un cambiamento, questo è sicuramente passato attraverso la tovaglia, che possiamo considerare il primo vero elemento di decoro della tavola e i cui primi esemplari risalgono al III° secolo a.C. in Persia, per poi affermarsi realmente soltanto nel Medioevo, quando le tovaglie di lino, a occhio di pernice o a spina, vennero utilizzate per “apparecchiare” le occasioni più importanti: la sua funzione era proprio quella di impreziosire sontuosi banchetti per dimostrare agli ospiti il proprio status sociale, oltre che, udite udite, per migliorare le condizioni igieniche visto che all’epoca non esistevano ancora le posate e si mangiava con le mani, regolarmente “pulite” proprio utilizzando quei lembi di stoffa che addobbavano le mense del tempo.
Si potrebbe parlare per ore di stoffe, trame, colori ma non questa volta, perché quello che cercheremo di capire è come si è modificato l’utilizzo (o meno) della tovaglia nel tempo. Una cosa è certa: oggi più che mai nella ristorazione vige un senso di libertà assoluta che ha portato ad abbellire la Sala sia vestendola con cura, sia spogliandola, passando pian piano dalle tovaglie ai runner, ai segnaposto in feltro fino a lasciare il tavolo nudo come massima espressione di libertà.
Ognuno su questo argomento ha una propria idea, e tutte sono ampiamente rispettabili proprio in base alla filosofia che c’è dietro ogni scelta; ecco dunque tuttavia che devono considerarsi inevitabili anche i partiti della clientela divisa tra chi si schiera a favore della tovaglia e chi, invece, ha ormai fatto l’abitudine a un tête à tête con la nuda tavola. Raffaele e Massimiliano Alajmo del ristorante Le Calandre di Rubano sono stati i primi in Italia ad abolire la tovaglia in un ristorante con tre stelle Michelin, una scelta all’epoca considerata quasi un’ eresia, per quanto coraggiosa, ma che oggi potremmo tranquillamente definire avanguardista considerandola come una “sottrazione” nel concetto di mise en place, che tutto è, tranne un dare meno. Correva l’anno 2010 e Raffaele e Max Alajmo decisero di ristrutturare completamente Le Calandre con lo spirito di creare un ristorante più contemporaneo. Già nel 2010 l’approccio all’alta ristorazione stava cambiando, e Raffaele Alajmo ricorda che la clientela non andava più al ristorante in giacca e cravatta. “Faceva eccezione l’arrivo, ogni tanto – confida Raffaele – di qualche austriaco, lui in smoking e lei in abito lungo, che restavano sorpresi dell’informalità con la quale erano vestiti gli altri clienti in quanto, all’epoca, frequentare un ristorante importante per molti era comunque associato all’obbligo di essere vestiti in maniera estremamente elegante”.
Eppure Raffaele e Massimiliamo Alajmo furono i primi a capire che i tempi stavano cambiando e quali fossero le nuove esigenze della clientela, pertanto la loro scelta fu proprio quella di essere molto più attuali decidendo di togliere le tovaglie, regalando però alla vista un tavolo di maggior valore (che all’epoca era anche insolito avere, perché la tovaglia e il mollettone andavano solitamente a coprire tavoli di modesto valore e grande bruttezza). Dunque, la scelta degli Alajmo fu opposta, a cominciare dalla minuziosa ricerca del tronco di alberi che potesse bastare, per dimensione e qualità, per realizzare tutti i tavoli del ristorante. Fu trovato un Frassino Rivato Francese vecchio di 300 anni adatto a costruire tutti i tavoli delle Calandre, una decisone che all’epoca fece molto scalpore ma che in realtà diede il via a un vero e proprio fenomeno culturale: stava nascendo la nuova Sala italiana. Raffaele Alajmo ricorda che, alla riapertura delle Calandre, l’indimenticabile Bob Noto si presentò al ristorante in giacca e cravatta ma senza camicia, interpretando in pieno con elegante ironia la tendenza della rivoluzione in atto, iniziata proprio qui, a Rubano, 12 anni fa.
Da allora c’è stato un susseguirsi di ristoranti che hanno deciso di abolire la tovaglia sposando un nuovo concetto di eleganza solo apparentemente informale, perché non dobbiamo mai dimenticare che quando parliamo della bellezza del design di un tavolo non parliamo mai di trascuratezza, anzi.
Quel che è certo è che Raffaele e Max Alajmo hanno dato il via a una sorta di movimento culturale a cui molti poi si sono ispirati, tanto che ormai, oggi, l’assenza
della tovaglia è quasi la norma nei ristoranti di cucina d’autore.
È il caso del ristorante Retroscena a Porto San Giorgio, dove i due chef Richard Abu Zaki e Pierpaolo Ferracuti, quest’anno premiati con una stella Michelin, sono forti sostenitori dell’assenza della tovaglia, consapevoli che oggi non usare la tovaglia al ristorante è una bellissima espressione di minimalismo ed essenzialità.
Per la Sala del loro ristorante è stato disegnato e realizzato un tavolo di rovere che è a tutti gli effetti il loro palcoscenico che non vogliano coprire, ma, anzi, valorizzare come espressione di totale trasparenza, a far luogo dalla mano dell’ artigiano – in questo caso Francesco Fratini che ha messo a disposizione la massima qualità non solo con il legno, ma anche con un procedimento di verniciature atossiche e antibatteriche – che poi ha indotto il Retroscena ad abolire anche il poggia posate, oggetto, assieme alla mancanza della tovaglia, sempre di grande critica o apprezzamento da parte della clientela.
Non mettere la tovaglia, per Richard e Pierpaolo, non significa essere nordici o freddi. Significa semplicemente mostrare la cura per i dettagli senza niente a
coprire: “Ammetto che la tovaglia ha il suo fascino” afferma Richard “ma qui a Retroscena abbiamo preso questa strada perché ci piace e che portiamo avanti
consapevoli sia delle critiche che dei complimenti: viva la nostra libera espressione sulla tavola, sui piatti, sulla cucina e sul servizio. Viva le diversità di tutti i ristoranti”. Nel 2016, quando Davide Oldani ha deciso di dare vita al nuovo D’O, ha optato per l’abolizione delle tovaglie al ristorante, sposando prima di tutto una causa ben chiara: offrire agli ospiti il massimo del comfort a tavola.
Per riuscire in questa impresa tutt’altro che semplice è stato lo stesso Oldani ad aver disegnato tavoli e sedie, così come la quasi totalità degli oggetti per la tavola e gli elementi di arredo presenti nel suo ristorante. Se lo ha potuto fare, è perché Oldani oggi è sicuramente lo chef più contemporaneo che abbiamo in Italia: dietro ogni sua scelta si evidenzia un pensiero che vuole andare sempre a migliorare qualcosa, e per lui poco conta che si tratti di Cucina o di Sala; la sua testa sarà perennemente alla ricerca maniacale della perfezione per regalare un’ esperienza a tutto tondo, che al D’O passa anche attraverso la mise en place e l’abolizione della tovaglia.
Table D’Hot è il tavolo che Oldani ha disegnato e progettato ispirandosi ai vecchi banchi di scuola: sotto il tavolo ha realizzato un ripiano dove gli ospiti, in maniera del tutto naturale perché spinti dai ricordi scolastici d’infanzia, possono comodamente riporre tutto quello che avrebbero tenuto sopra il tavolo, in tal modo rendendo la superficie libera da ogni elemento che potrebbe distogliere l’attenzione, regalando così un’esperienza totalizzante con il cibo.
Ma dietro i tavoli di Oldani non si nasconde solo estetica, come alcuni potrebbero credere, perché il Table D’Hot è stato appositamente concepito con un’ altezza superiore rispetto ai normali tavoli in commercio, portandolo a 80cm. Lo chef considera infatti che, essendo negli anni aumentata l’altezza media delle persone, i
tradizionali tavoli spingono i clienti a incurvare la schiena in avanti e, di conseguenza, a bloccare o chiudere l’imboccatura dello stomaco, mentre il Table D’Hot aiuta a mantenere la schiena dritta e a favorire la digestione che inizia proprio quando si comincia a mangiare. Un concetto apparentemente “semplice” ma sicuramente rivoluzionario, che riporta al concetto di voler regalare agli ospiti il massimo del comfort in un tavolo che, in questo caso, è realizzato in legno di Olmo, in omaggio al paese e al patrono San Pietro all’Olmo, dove appunto si trova il D’O.
Una sensibilità e un rafforzamento del concetto di appartenenza al territorio sicuramente riuscito. Ma l’assenza ormai sempre più frequente della tovaglia
non sempre porta con sé ideali concreti come quelli che abbiamo raccontato; spesso accade che dietro un pensiero reale e interessante si celi una moda comoda per il solo ristoratore, come sta accadendo in troppe sale del nostro Paese dove, alla base di tutto, non c’è niente di innovativo, bensì una scopiazzatura o un mero risparmio sui costi di gestione.
Quando però parliamo di tovaglie non esiste solo la ristorazione ma anche le pizzerie, diffuse in gran numero in ogni città d’Italia. Abbiamo chiesto ad Albert Sapere, direttore editoriale di 50 Top Pizza, un critico che di ristoranti e pizzerie ne macina ogni giorno con assoluta competenza: “L’evoluzione della mise en place ha subito tante modifiche quante ne ha viste l’orlo delle gonne delle signore negli anni: un tempo nei ristoranti classici esistevano solo tavoli da re, imbanditi con tovaglie in fiandra o tele pregiate stirate direttamente sul tavolo e assolutamente prive di grinze, drappi che, secondo il galateo, avrebbero dovuto cadere almeno per 30 centimetri verso terra su tavoli allestiti con argenteria, fiori e frutti prelibati in composizioni da far invidia ai migliori designer. Si è passati poi a tavoli più essenziali, moderni, smart, con un addio al tovagliato in stoffa e un benvenuto ai runner in carta, tnt, pvc, materiali riciclati, legno, per rendere la tavola meno formale e lasciare libero il cliente di sentirsi a proprio agio, senza il terrore di versare qualche goccia di vino e rovinare così le stoffe: in sostanza un bel risparmio sui costi di lavanderia.
La tendenza è partita dal Giappone, dove era la bellezza del tavolo in legno lavorato, dai piedi decorati e assolutamente da non coprire, a dominare la scena.
Il binomio pizza/tovaglia invece non è propriamente un matrimonio d’amore. Storicamente nella città di Napoli, capitale mondiale del piatto italiano più iconico
del mondo, c’erano i tavoli in marmo a fare da cornice. Freddi e lucidi, facili da pulire, anche davanti al cliente, per i tanti rimpiazzi. Poi negli anni ’80 del secolo scorso sono arrivate le tovagliette di carta e le altre declinazioni più o meno contemporanee. Diverso è il discorso per i ristoranti che servono anche la pizza, dove di nuovo troviamo anche la tovaglia. Fuori da Napoli e soprattutto fuori dall’Italia, a partire dagli anni ’60 la tovaglia a quadretti bianca e rossa ha
caratterizzato nell’immaginario collettivo le pizzerie e le trattorie Made in italy.
La tendenza attuale è abbastanza chiara: imperversano la personalizzazione con il logo, le immagini e quante più informazioni possibili, spesso anche troppe, su tovagliette, runner e segnaposto. È il nuovo segno distintivo degli interpreti della pizza contemporanea”.