Solide basi, con Guerard e Adrià
Non somiglia al cliché del cuoco spagnolo come lo abbiamo conosciuto nello scorso siglo de oro, Paco Pérez, cinquantenne di poche parole e ancor meno risate, schivo, riservato, renitente ai palcoscenici nonostante cinque stelle Michelin qua e là. Il suo tempo lo passa prevalentemente a Llançà, nel ristorante che gli ha dato la fama, il Miramar, perennemente candidato al triplete. Subito davanti al mare della Costa Brava, con le sue rocce di granito e la merlettatura di mille calette. Un flash di luce mediterranea che illumina i piatti come il miglior riflettore.
Ed è il paesaggio in cui è cresciuto Pérez, dopo essersi trasferito a pochi mesi per gattonare nel tapas bar di famiglia El Peña, dove ha iniziato a servire durante le vacanze estive e nel fine settimana, per poi passare in qualche ristorante tipico catalano. Sul suo curriculum i mostri sacri sono due: Michel Guérard, padre nobile della nouvelle cuisine, e soprattutto Ferran Adrià, frequentato per ben 5 anni, dal 1993 al 1998, nell’ambito di corsi e con inquadramenti differenti. Nel 1997 però è già Miramar grazie al matrimonio con Montse Serra, figlia dei titolari di quello che era uno stabilimento balneare, subito convertito alla moderna cucina catalana, interpretata in chiave sempre più tecnoemozionale. Arrivano presto i primi piatti firma, come il foie gras con cioccolato e mela, nato dall’amore per il cacao di Montse; cosicché nel 2006 è stella, raddoppiata nel 2010.
Non basta, perché nel 2008 sopraggiunge l’Enoteca dell’Hotel Arts a Barcellona; nel 2012 il ristorante Cinco (per il numero dei sensi e le dita delle mani, oggi anche per la quinta stella) presso l’hotel Das Stue di Berlino; mentre nel 2017 è la volta di Terra, presso l’hotel Alabriga a S’Agaró, sempre sulla Costa Brava, e del più informale Sea Club. Quattro cucine per altrettanti ristoranti; anzi sette, visto che ci sono anche i tre tematici barcellonesi: Eggs, Royale e Bao Bar, dedicati rispettivamente a uova, hamburger gourmet e panini al vapore, cinesi nella preparazione e spagnoli nelle farciture.
Il segreto? Classicità e avanguardia
Qual è allora la vera cifra di Pérez? Forse la bicefalia, nel senso che a guidare la cucina sembra esserci un doppio cervello. Da una parte la classicità, a tratti perfino un po’ accademica, dovuta all’apprendistato in Francia; dall’altra l’avanguardia, in linea di discendenza da Ferran Adrià. Predominano rispettivamente sul gusto e sulle tecniche, anche molecolari, generando alchimie variabili secondo il piatto e il ristorante, sempre funzionali alla centratura scientifica del prodotto.
La sperimentazione continua a svolgersi perlopiù al Miramar, dove Pérez sforna ogni anno fino a 130 ricette, dagli appetizer alle friandises, destinate talvolta a diventare signature presso altri indirizzi. Il degustazione conta 35 corse cutting-edge; ma alla carta ci sono anche portate più rassicuranti.
Al momento risalta in particolare Levante, dedicato al vento che porta pioggia e temporali: sul piatto è raffigurata una spiaggia dopo la tempesta, disseminata di alghe, stelle marine e ricci, ma anche cocci di bottiglia. Oppure Impollinazione, con il suo simbolismo delle origini: l’alveare, con i diversi fiori da cui le api ricavano il polline, è realizzato in meringa con la stampante 3D; si accompagna all’acqua di gratitudine, benvenuto e ringraziamento all’ospite per la sua visita. E ancora Mangiando ossa, provocazione sull’incommestibile a base di midollo.
I cervelli all’opera tuttavia sono ben più di due: Paco Pérez appartiene alla schiera di quegli chef che sono imprenditori, in quanto prima talent scout. I luogotenenti che ha piazzato nei punti strategici del suo piccolo impero sono cresciuti con lui e ne hanno accompagnato l’ascesa. Ragazzi che non smette di esortare a praticare cucina catalana, come esercizio di umiltà. C’è innanzitutto la sua spalla creativa al Miramar, Luis Alonso, classe 1987. E poi lo chef dell’Enoteca Alex Vehi, ancor più giovane con i suoi 26 anni, al fianco di Perez da 9 anni, di cui 3 nella posizione attuale. E il nostro Antonio Arcieri, trent’anni appena compiuti, che manda avanti insieme a Marco Gonzalez la cucina di Terra.
Un italiano in squadra
Nato a Lamezia Terme e cresciuto sul Lago Maggiore da una coppia di operai migrati al nord, in futuro potrebbe tornare in Italia per aprire un posto suo. “L’idea che potessi fare il cuoco è venuta a mia mamma, un giorno mentre lavava i piatti ha suggerito l’alberghiero e io, che pensavo di diventare geometra, ho cambiato subito idea. Così ho frequentato il De Filippi a Varese, mentre lavoravo qua e là. Ed è stato il titolare della pizzeria Nadir, che da gourmet frequentava gli stellati, a mettermi in contatto con Paco Perez attraverso un giornalista spagnolo suo amico. Non avevo ancora passato l’esame che già tenevo in tasca il biglietto di sola andata. La stella del Miramar a quei tempi era una, ma a me che fantasticavo di Adrià e avevo letto i suoi libri, poter affiancare un suo discepolo sembrava già un sogno. E difatti è stato uno choc, perché non riuscivo a credere a quello che stava accadendo. Ho avuto la fortuna che il capo partita e il suo aiuto agli antipasti lasciassero praticamente in simultanea, cosicché sono entrato in pianta stabile per poi girare tutte le partite e finire secondo, deputato alle aperture di Berlino e del pop-up di Dubai. Fino all’incarico a S’Agaró”. Dalla partenza sono passati 11 anni e ancora oggi manca il biglietto di ritorno. C’è scappato pure uno stage a elBulli poco prima che chiudesse, nel 2011, per imbracciare il sifone e vivere in prima persona “la rivoluzione”.
Dal mare alla terra
Nel contesto di un hotel a 5 stelle, la ristorazione si connota nel senso di una classicità mediterranea, ispirata all’ambiente circostante nell’ingredientistica e non solo: l’idea arriva quasi sempre da Llançà, volando su un foglio a penna che solo Pérez sa decifrare; da lì iniziano le prove finché il menu non è testato, corretto e variato. “Spero un giorno di diventare come lui”, confessa Arcieri. “Ammiro il suo stile marinaro e mediterraneo. Mi piacerebbe aver inventato l’oloturia alla carbonara, oppure il risotto di ricci di mare e tartufo nero. Perché ha sempre avuto una passione per la nostra cucina, è quasi più italiano di me”.
Sono tre i classici finora emersi dalle maree dei cambi di carta: i cetrioli di mare con trippa di baccalà, ceci verdi e pancetta iberica; il cannellone di scampi e caviale; la spalla di agnello laccata con barbabietola alla brace, purea di pastinaca, panna acida e petali di capperi.
La cucina dell’Enoteca è ancora diversa. Il pesce la fa da padrone: vedi il ceviche di ostrica con latte di tigre ma al lulo, frutto tropicale che smorza l’aggressività dell’originale, servito in uno stampo congelato di emulsione di ostrica per la voga peruviana. Oppure la celebre oloturia alla carbonara, con la salsa italian sounding di cipolla, pancetta iberica e pelle del mollusco arrostita per il collagene, irrorata di panna, la polpa saltata che sostituisce la solita seppia per una diversa testura e in stagione una spolverata di tartufo nero.
Ma c’è anche la classicità sublime di una parmentier agli ovoli con foie gras e uovo a bassa temperatura; o quella di una sogliola cucinata a bassa temperatura e poi alla piastra, servita con una sauce meunière all’acqua di tartufo, perché è soprattutto nei secondi che si avverte l’impronta di Guérard. Il percorso va dal mare alla terra, con il giovane piccione alla francese nel finale: il petto scottato al burro, la polpettina delle cosce, il loro fondo e due olive sferificate, una verde, l’altra nera, per il contrasto sapido e amaro, più un panino cinese al vapore farcito di rigaglie per il sincretismo stilistico totale. La pasticceria torna su un registro più giovane. Vedi la macedonia con gelatina e sorbetto dello sciroppo della frutta stessa, per variare la sensazione sciroppata; oppure il Principe ricostruito con il gelato di biscotto negli stampi e il ripieno di crema al cioccolato, per un twist ironico che sdrammatizza la grandeur.
POLINIZACIÓN (Impollinazione)
Questo piatto rappresenta l’origine: un nido d’ape realizzato con una stampante 3D e tinto con una varietà di fiori, da cui le api ottengono il polline. L’Impollinazione è inoltre accompagnata dall’ACQUA DELLA GRATITUDINE, che mira ad accogliere e ringraziare l’ospite per la sua visita.
LEVANTE 2017
Il Levante è un tipico vento della costa mediterranea. Solitamente provoca tempeste di mare e pioggia. Questo piatto rappresenta il paesaggio che troviamo sulla spiaggia dopo una tempesta del “Levante”. Il mare ci restituisce le alghe, i resti delle specie marine, come le stelle marine, i ricci di mare … e inoltre, altri resti come i cocci delle bottiglie.
COMIENDO HUESOS (Mangiando Ossa)
Questo piatto rappresenta l’idea di “mangiare ciò che non è concepito per essere mangiato”, ossia un osso. Per questo, viene utilizzato il midollo osseo, parte interna dell’osso: si prepara un caldo di carne di manzo con latte. Una volta che assimila tutto il sapore, si cola e si emulsiona con agar agar. Si inserisce in uno stampo e si congela a -40°C. Il prodotto finale si liofilizza tra le 24 e le 48 ore. Risultato: un osso croccante con sapore carnico con ripieno di midollo cremoso.
Passeig Marítim, 7 – 17490 Llançà
Girona (Spagna)
Tel. +34 972 38 01 32